III
1.
Palestra del Quartier Generale del
Commando V. Oggi. La ragazza dai capelli rossi indossa una calzamaglia azzurra e dal
modo in cui si sta allenando è ovvio che ha molta tensione da sfogare. Sta
facendo una torsione agli anelli quando una voce echeggia alle sue spalle:
-Avrei dovuto immaginarlo che eri qui, Dallas.-
La
ragazza lascia gli anelli e compie una capriola. Contemporaneamente fa uno
scatto col polso destro e nella sua mano appare una lama che scaglia verso
l’intruso solo per riconoscerlo ed esclamare un…
-No!-
L’intruso è in questione
è un uomo massiccio, alto circa un metro e 87, il suo
fisico è un fascio di muscoli ben evidenziati da un costume completamente verde
che lo ricopre completamente a parte la zona inferiore del viso, gli occhi sono
coperti da un visore rosso, così com’è rosso il simbolo dell’atomo disegnato in
rilievo sul suo petto. Mentre la lama si avvicina proprio a quel simbolo sul
suo viso c’è un’espressione di stupore, poi il suo corpo emana una leggera
luminosità e la lama semplicemente scompare.
Dallas Riordan corre verso il suo
compagno di squadra ed istintivamente lo abbraccia.
-Oh Mio Dio, Bob.
Perdonami, ho reagito senza pensare.-
-Tranquilla,
Dallas.- risponde Robert Frank Jr. alias Nuklo con un’espressione
imbarazzata -Non è successo niente.-
-Ma avrei potuto
ucciderti,-
-Però, non è
accaduto, giusto?-
Dallas pensa che sia fin troppo
calmo. Da che fanno parte dello stesso gruppo non lo ha mai visto perdere le
staffe una sola volta. È quasi innaturale.
-La verità è che
sei ancora troppo scossa per il tuo incontro con la Baronessa. Non ti serve
allenarti, devi rilassarti. Darren e Julie vorrebbero che ci unissimo a loro
per… la hanno chiamata: un’uscita a sei con Wanda e Jamie.-
Dallas sta per rispondere no, poi ci
ripensa.
-Va bene… anche
perché sarà un’occasione buona per vederti con qualcosa di diverso dal tuo
costume.-
-Oh… è questo il
problema?- quasi istantaneamente il costume si trasforma in una maglietta, un
paio di jeans e stivaletti. Il cappuccio scompare rivelando il volto di un uomo
che dimostra circa trent’anni, dai lineamenti regolari, occhi azzurri, una
calvizie totale ed un ‘espressione quasi ingenua –Va meglio ora?-
Dallas scrolla i capelli e sorride
leggermente. Bob Frank le è davvero simpatico ma è anche un po’ inquietante.
Ha ragione, però, staccare la spina
per un po’ è la cosa più saggia da fare per evitare di pensare troppo al suo
scontro con la Baronessa.
Sotto l’Oceano Atlantico, due giorni
prima. Lo sparo non coglie di sorpresa Citizen V
che lo para con la sua spada molecolare.
-Complimenti.- commenta
Heike Zemo –Sei davvero brava. Meriti la tua eredità.-
-Lascia stare la
mia eredità.- ribatte l’altra –Che intenzioni hai?-
Si può indovinare il sorriso sotto
la veletta.
-Con te, dici?-
ribatte la Baronessa -Come ti ho detto, sapevo che mi saresti venuta a cercare
ed ho deciso di anticiparti in un certo senso. Personalmente farei volentieri a
meno di questo scenario da: “l’eroina e la sua eterna nemesi”, d’altra parte
devo ammettere che l’essere stata sconfitta da te mi brucia. Ti offro una
rivincita alle stesse condizioni dell’altra volta: se vinci tu mi arrendo, in
caso contrario sarete tu ed i tuoi amici a consegnarvi a me, che ne dici?-
-Che non posso
prendere decisioni per loro… e non credo che sarebbero d’accordo.-
-Peccato… beh io ci
ho provato.-
Improvvisamente le pareti si aprono
rivelando diversi uomini armati.
-Uccidetela!-
ordina la Baronessa.
Confine tra il Vietnam e la Cambogia. 1966.
L’uomo davanti a lui è un maniaco omicida, uno psicopatico con tendenze
cannibali. Qualcuno nelle alte sfere del governo americano ha avuto la
brillante idea di provare a rieducarlo e sottoporlo ad un trattamento
potenziante non dissimile dalla leggendaria formula del supersoldato. Hanno
resuscitato il ruolo di Capitan America apposta per lui, così come gli hanno
affiancato un nuovo Bucky, un altro pazzoide come lui. Se questa missione
segreta avesse avuto successo, li avrebbero presentati al mondo ma lui dubita
che accadrà ora.
A differenza del suo avversario, Tom
Raymond è un autentico eroe dei tempi che furono. Il suo nome in codice era
Toro ed era il partner in battaglia ed una sorta di figlio adottivo della
Torcia Umana, un nome che lui stesso ha adottato per questa missione in onore
del suo padrino scomparso da ormai 12 anni. Tom è un mutante: è immune al
fuoco, in grado di infiammarsi e da qualche tempo si è accorto anche di
un’altra cosa: ormai dovrebbe avere quasi quarant’anni ma ne dimostra appena
poco più di venti. Invecchia più lentamente della gente comune e forse è per
questo che ora si sente sempre meglio mentre poco prima era quasi moribondo.
Nella sua forma di fiamma non sente quasi dolore.
-Adesso pagherai
per quello che hai fatto.- dice all’aspirante Capitan America.
-Credi di
impressionarmi?- ribatte l’altro -Sei un cadavere che cammina.-
Nelle mani di Tom danzano palle di
fuoco.
-Ne sei così
sicuro?-
Una palla di fuoco colpisce lo scudo
e lo fonde.
-A quello vero non
sarebbe mai accaduto.- commenta Tom –Un’altra prova che sei un bluff.-
Dallo sguardo di Capitan America emerge
una furia che forse lo spingerebbe a saltare addosso a Toro nonostante la
sicurezza di bruciarsi se non fosse afferrato per le gambe da dietro.
L’agente superumano britannico
chiamato Ivanhoe si rialza e si rivolge a Toro:
-A lui penso io. Tu
va a fermare gli altri.-
-Ne sei sicuro?-
-Non discutere,
vai!-
Toro esita solo un istante poi
prende il volo. Ivanhoe si rivolge all’uomo vestito da Capitan America:
-E ora che il boy
scout se n’è andato, posso sistemarti come meriti.-
Le sue mani cominciano a crepitare
di energia.
2.
Connecticut. Marzo 1955. Kent Blake
sa di trovarsi nei guai. Per quanto sia ben addestrato ed abbia un gran numero
di missioni difficili alle spalle, sa di non essere assolutamente all’altezza
di un superumano come Capitan America, ovvero l’uomo che lo sta prendendo per
il bavero.
-Devi essere una
spia comunista.- gli dice -Che cosa vuoi dal professor Rogers?-
Tenta di mantenere la commedia
dell’identità segreta. Abbastanza ragionevole, pensa Blake. Vediamo di
spiazzarlo un po’.
-Da te, vuoi dire?-
replica –Non sei tu Steve Rogers?-
L’altro rimane sorpreso abbastanza
da permettere a Blake di usare una mossa di judo per liberarsi dalla sua
stretta e farlo volare oltre la sua testa ma Cap ricade in piedi.
-Ci hai provato ma
io ho affrontato il Teschio Rosso ed Electro[2]
e sono ancora qui per raccontarlo. Tu non sei nulla in confronto.-
Fa per lanciarsi su di lui quando
viene colpito da un calcio alla schiena che lo fa cadere. Si volta e vede un
uomo sulla trentina dal fisico atletico ed i capelli scuri.
-Tu… chi saresti?-
-Quello che ti farà
intendere la ragione.- ribatte l’altro.
Cap non replica e gli lancia contro
lo scudo ma il nuovo venuto lo afferra a mezz’aria.
-Uhm… non male.-
commenta -Buona fattura, abbastanza resistente. Vediamo se sa fare… questo!-
Lancia lo scudo che compie un
semicerchio nell’aria piomba contro un albero e rimbalza finendo contro un
altro, poi tocca il cancello della villetta di Steve Rogers, rimbalza ancora
contro il portone ed infine torna nelle mani di chi l’ha lanciato.
-Come hai fatto?-
esclama Cap -Solo un’altra persona oltre a me sapeva farlo e tu… tu non sei
lui. NON SEI LUI!-
Con un urlo selvaggio balza addosso all’avversario e
gli stringe la gola.
Londra, Inghilterra. Qualche tempo fa.
L’Onorevole Jacqueline Falsworth Lady Crichton, tanto per citare il suo nome e
titolo completi, spegne il televisore mentre il maggiordomo introduce un ospite
appena arrivato.
-Joey… che piacere
vederti.- esclama andandogli incontro.
Si abbracciano e si baciano sulle
guance. C’è un po’ di imbarazzo in Joey Chapman, in fondo fino a non molto
tempo prima loro due erano stati amanti ed anche se ora è finita e sono rimasti
buoni amici, c’è ancora una certa tensione tra loro.
-Accomodati, sei
arrivato in tempo per il the.- parole banali per ignorare l’evidenza di non
essere solo comuni amici –Stavo guardando il notiziario. Che brutta faccenda
quella di Capitan America. L’ho incontrato una sola volta[3]
ma mi aveva fatto una buona impressione. Spero ancora che non sia vero. In
fondo quanti nostri vecchi amici sembravano morti e poi sono ritornati? Il
primo Cap, Namor, la Torcia.-
-A proposito… lo
senti ancora?-
-Jim? Non molto
spesso da quando è tornato negli Stati Uniti per lavorare ancora con Namor
nella sua società. Ci sentiamo ogni tanto al telefono o via Skype. Noi
vecchietti ci siamo messi al passo con le nuove tecnologie. Perché me l’hai
chiesto?- Jackie fa un sorriso ammiccante –Non sarai geloso di lui?-
-No di certo.- replica,
forse troppo in fretta Joey –E perché poi? Non stiamo più insieme e tu sei
libera di frequentare chi vuoi… come me del resto. Piuttosto, parliamo del
perché sono qui. Credo che lei sia tornata.-
Jackie è scossa da un brivido. Non
ha bisogno di chiedere di chi parla Joey, è fin troppo evidente: Lily Cornwell,
l’autoproclamata Baronessa Sangue.
Sopra
l’Oceano Atlantico. Due giorni fa.
La ragazza di evidenti origini giapponesi guarda fuori dall’oblò del velivolo
del Commando V, una navicella realizzata dal Wakanda Design Group, lo stesso
che fornisce i Quinjet ai Vendicatori. Il suo vero nome è Julie Tanaka ed è una
Nisei[4]
ma quando indossa il costume che ha ora, una specie di corto tubino dorato, una cintura
nera con un disco solare inciso nella fibbia. stivali anch’essi dorati, e una maschera in stile
domino dello stesso colore, il
nome a cui risponde è Glitter. È nata con il potere di emanare colpi di luce, un potere
ereditato dalla sua nonna materna, Gwenny Lou Sabuki, che con il nome di Golden
Girl è stata una supereroina negli anni 40 e non ci ha pensato due volte quando
quelli del Battaglione V, di cui sua nonna è membro di diritto, le hanno
offerto di addestrarla a fare la supereroina: l’eccitazione, il rischio,
l’avventura erano sirene a cui una ragazza della sua età difficilmente poteva
resistere. Nella sua nativa Contea di Los Angeles sta cominciando a farsi un
nome ma da quando il Commando V è stato formato non ha ancora avuto modo di
scontrarsi coi grossi calibri.
<<Un penny per i tuoi pensieri Julie.>>
A parlare è stata una ragazza dai capelli
castano rossicci che spuntano
da una maschera che le copre interamente il volto. Gli occhi sono coperti da
lenti a senso unico come quelle dell’Uomo Ragno e all’altezza della bocca ha una
specie di microfono che le deforma
la voce. Indossa un costume completamente
azzurro, a parte guanti, cintura e stivali, che sono rossi. Sulle spalle ha
drappeggiato un corto mantello anch’esso azzurro.
-Li valuti così poco,
Jamie, o sei solo tirchia?- ribatte sorridendo Glitter.
<<Li valuto molto invece.>> replica Jamie Castairs, il cui nome di battaglia è Lady Thunderer, in
onore del nonno James, un tempo noto come Thunderer, posando una mano sulla spalla dell’amica.
-Stavo pensando che odio
l’attesa.- continua Julie -Citizen V è via da troppo tempo. Io dico di
raggiungerla ed entrare in azione.-
-Se è l’azione che
vuoi…- interviene un altro membro del gruppo, un
ragazzo di colore apparentemente
sui 20 anni che indossa un costume
completamente bianco, a parte stivali, guanti e
cappuccio ed un disegno a spirale sul petto e quello di una trottola sulla
schiena, che invece sono neri –… credo che
sarai accontentata subito.-
<<Che vuoi dire Topspin?>> chiede Lady Thunderer.
-C’è un po’ di attività
sott’acqua pare.- risponde Darren Mitchell –Qualcosa sta emergendo a tutta velocità –
Ha appena finito di parlare che le acque sotto di loro si
aprono per lasciar uscire.
-Missili!- urla Darren
mentre le micidiali armi si avvicinano al bersaglio.
3.
Confine tra Vietnam
e Cambogia, 1966. Martin Guille alias Bucky fissa apertamente con odio il giovane Joseph Ridd. È
uno sporco traditore anche lui. Tutti quelli in combutta con i mutanti lo sono,
non c’è dubbio alcuno. Prova disprezzo per la degradazione morale in cui stanno
scivolando le gloriose forze armate del suo paese e gli Stati Uniti stessi. I
negri sono dappertutto ormai e presto diverranno potenti anche a livello
politico. Sono nell’esercito e questo è una vera follia. Non si può armare chi
prova odio e disprezzo nei confronti di chi ritiene essere l’ex padrone. Non
importa che lo schiavismo sia finito da tempo. Non importa che si sia tentato
di trattarli in modo paritario. Negli stati del sud questo l’hanno già capito
da tempo. L’unico risultato che si ottiene allentando il controllo su di loro è
che presto o tardi si rivoltano contro i bianchi. C’è troppa rabbia in quegli
occhi scuri, troppa diffidenza, amarezza e questo Kennedy non l’aveva mai
capito, pensò. Certo, sentendo parlare un Luther King si è tentati di sperare.
Come si può rimanere indifferenti innanzi alle parole di quello che è, se pur
negro, un uomo di Dio? Lui stesso si è spesso sentito toccare da quelle parole,
anche se si è sempre guardato bene dal dirlo pubblicamente. Sarebbe stato frainteso.
Non l’avrebbero capito e l’avrebbero additato. No, non valeva la pena, specie
perché sa che quelle parole, quelle stupende parole sono solo parole. I negri
vivono solo con i negri e predano i propri simili. I loro modi di vivere sono
diversi e per quanto ci si possa sforzare di far finta, di vedere soltanto i
pochissimi elementi apparentemente integrati, per quanto si voglia dimenticare
quello che è successo in passato, il marcio continua ad accumularsi
infiltrandosi a tutti i livelli nella società americana. Gli uomini possono
essere anche tutti uguali agli occhi di Dio ma non agli occhi dei propri simili
e nel mondo si vive e con la realtà si deve fare i conti. Carezza la Smith e
Wesson che porta al fianco e stavolta è con uno sguardo di commiserazione che
fissa Ridd e Klencher. Un povero illuso ed un’aberrazione genetica destinata ad
essere odiata per tutta la vita dal resto dell’umanità. Non c’è nulla da fare:
ucciderli è la cosa più giusta, pietosa, cristiana da fare. Autoconvintosi che
le sue azioni sono giuste il giovane estrae un pugnale e lo lancia.
Vede il ginocchio di Ridd cedere,
come se la gamba gli fosse improvvisamente morta facendolo finire faccia in
avanti. Leonard Klencher, da parte sua rotola, sbalzato da quella caduta,
qualche metro più avanti e Bucky ghigna selvaggio, mentre si prepara a lanciare
l’altro pugnale, quello che avrebbe tolto la vita al mutante, un gesto che non
compirà mai perché l’arma è fusa da una palla di fuoco.
Si volta di scatto verso il nuovo arrivato:
un altro traditore. Sa che è inutile ma spara ugualmente verso la figura
avvolta dalle fiamme… i proiettili si fondono prima di raggiungerlo.
Toro si spegne mentre atterra e
avanza verso Martin che d’impulso gli getta contro l’ormai inutile pistola. Tom
Raymond si limita a fonderla con un gesto della mano e dice:
-Ora
faremo i conti giovane psicopatico.-
Prova un immensa soddisfazione nel
vibrargli un uppercut alla mascella.
Sopra l’Oceano Atlantico. Due giorni fa.
Il jet del Commando V compie un improvviso scarto evitando i missili.
-Ci
sono ancora alle costole.- urla una ragazza bionda
e snella, che dimostra meno di 30 anni. Indossa un costume sgambato rosso con i
bordi dorati come i guanti e gli stivali che arrivano sin quasi alle ginocchia,
porta grandi occhiali a specchio che fungono praticamente da maschera, Si
chiama Wanda Louise Mason, il suo nome di battaglia è la Bionda Fantasma ed in
questo momento si sente impotente: non ha superpoteri o gadget che le possano
essere utili adesso, è solo un’atleta ben allenata.
-Seguono la nostra
scia di calore.- ribatte Topspin -Prima o poi ci prenderanno.-
-Non è detto.-
ribatte Nuklo –Prendi i comandi.-
Il gigantesco mutante si alza e
guarda verso i missili che improvvisamente balzano verso l’alto per poi
esplodere lontano dal Jet.
-Sistemati.- si
limita a dire –Ed ora andiamo ad aiutare Dallas.-
Connecticut. Marzo 1955. Kent Blake
osserva la scena davanti a lui. Capitan America ha perso ogni controllo e sta
cercando di strangolare Jeff Mace. Al diavolo gli ordini, pensa, devo aiutarlo.
Estrae la sua pistola e la punta
sull’uomo in costume, ma un calcio al polso lo disarma.
-Eh no, amico…
niente armi.-
Davanti a lui c’è Jack Monroe,
l’attuale Bucky in uniforme con tanto di mascherina.
-Non so chi sei...-
dice -… ma se volevi sparare a Cap devi essere di sicuro un rosso.-
Tenta di sferrargli un altro calcio
ma Kent riesce a rotolare di lato appena in tempo e lo evita.
-Però… sei in gamba
lo ammetto, ma non ti servirà contro di me: mi ha addestrato il migliore che
c’è. Chi è che ti manda: la SMERSH,[5]
il KGB, il Teschio Rosso?-
Kent prova a rimettersi in piedi e
replica:
-Sono un agente del
Governo… del tuo governo, credimi.-
-Ben tentato ed
ammetto che parli un Inglese perfetto ma non ci casco. Sei sicuramente uno di
quegli infiltrati di cui tanto si parla: un agente dormiente.-
Un altro calcio prende Blake al
petto mentre s sta rialzando fratturandogli un paio di costole.
Si mette male, pensa l’agente.
Bell’epitaffio per la mia lapide: pestato a morte da un tredicenne.
4.
Sotto l’Oceano
Atlantico. Due giorni fa. Con tanto piacere
al combattimento leale, pensa Citizen V mentre si avvolge nel suo mantello.
Aveva riso quando le avevano detto che era fatto di uno speciale tessuto invulnerabile
ricavato studiando il mantello dello Spirito del 76 ed inserendoci fibre di
vibranio wakandano, invece si sta dimostrando efficace almeno con le armi di
piccolo calibro e visto che per ora non hanno un cannone con cui spararle, va
più che bene.
Il fuoco cessa e lei si getta contro
quelli più vicini. Nel corpo a corpo è sicuramente più in gamba di loro e lo
dimostra abbattendone un po’ a pugni e calci, poi quelli rimasti le si gettano
addosso tutti insieme sommergendola.
Potrebbe essere un serio problema
per lei ma ecco che una parete si sgretola ed il Jet del commando V irrompe dal
foro…insieme ad un bel po’ d’acqua.
I membri del Commando saltano a
terra e cominciano a darsi da fare: Topspin rotea su se stesso travolgendo
chiunque al suo passaggio, Glitter acceca i suoi avversari più vicini, la
Bionda Fantasma e Lady Thunderer fanno quel che sanno fare meglio, ovvero
picchiano senza riserve.
E Nuklo? Ignorando i futili
tentativi di assalirlo con ogni arma possibile si libera degli avversari e si
china su Citizen V aiutandola a rialzarsi.
-Tutto bene?- le
chiede.
-Solo qualche
ammaccatura.- risponde lei –Certo che sapete fare un’entrata spettacolare…
anche se avrei preferito fare a meno dell’inondazione. Già ero zuppa prima,
adesso…-
-Oh… se è solo per
questo…-
Nuklo la tocca ed in un istante il
costume è completamente asciutto. Non si abituerà mai a questo lato del potere
di Robert. Chissà se lui capisce tutte le implicazioni delle sue capacità?
Improvvisamente le torna in mente
una cosa:
-Ehi… dov’è la
Baronessa?- chiede.
-L’ho vista
scappare da quella parte...- risponde la Bionda Fantasma mente sferra un calcio
all’inguine di uno degli scagnozzi -… ma ero troppo occupata per fermarla.-
-Ci penso io.-
proclama Dallas –Voi occupatevi di questi tizi e, se potete, portateli fuori di
qui. Con tutta l’acqua che sta entrando, mi sa che questa struttura non reggerà
a lungo.-
Senza aspettare risposta si lancia
lungo il corridoio. Non permetterà a quella sgualdrina di scappare al castigo
che l’attende.
Eccola che sta tentando di entrare
in un piccolo sottomarino. Con uno scatto Citizen V le balza addosso ed insieme
rotolano sul pavimento.
-Lasciami, pazza.-
urla la Baronessa divincolandosi –Qui tra poco crollerà tutto, dobbiamo
scappare.-
-Ce ne andremo
insieme.- replica Citizen V sferrandole un pugno alla mascella –Io non…-
Non finisce la frase: con uno
schianto terribile il soffitto cede e precipita su di loro.
Confine tra Vietnam e Cambogia. 1966.
Ivanhoe guarda l’uomo che pretende di essere Capitan America mentre tenta di
rialzarsi. Gli lancia un’altra scarica dalle mani ma lui la ignora e gli salta
addosso. Dai suoi occhi è sparita ogni traccia di razionalità umana, c’è solo
la furia, la brama di uccidere. Tutto quello che quei sapientoni del P.H.A.D.E.
hanno tentato di sopprimere o almeno seppellire nel suo subconscio sta ora
riemergendo con forza. Lo vede digrignare i denti e tentare di mordergli il
collo. Non pensa nemmeno più: risponde solo a stimoli che soltanto lui capisce.
Ospedale militare di S. Michael, sezione
psichiatrica. Dicembre 1955. Era
fortunato. C’era tanta gente che il giorno del Santo Natale era sola.
Incredibile il solo pensarlo. Come si poteva vivere una simile, pietosa
condizione? Eppure, si disse, era così e forse, non tutti potevano dare la
colpa al caso. Chissà quanti erano quelli che la solitudine se l’erano
guadagnata con anni ed anni di comportamenti sbagliati, ignorando le persone
che gli stavano intorno, chiudendo il proprio cuore al mondo esterno. Non ci si
sarebbe mai dovuti chiudere in modo così ermetico, totale, distaccato perché
poi, alla fine, aprirsi nuovamente sarebbe stato difficilissimo e forse, una
volta riuscitici, ci si sarebbe ritrovati completamente da soli.
Sì: lui era
fortunato invece perché non era solo. Aveva fatto di tutto per non esserlo e si
era sempre preso cura di tutti i suoi cari, con affetto e dedizione, così che
nessuno lo aveva abbandonato.
C’erano poi tutti i suoi amati
commilitoni, gli amici con cui da tanto tempo ormai condivideva tutto. Ogni
pena, ogni paura, ma anche tutta la gioia dell’esser vivi. Avevano combattuto,
mangiato e pregato insieme. Cos’altro potrebbe legare tra loro tanti uomini
provenienti da posti diversi con così tanta intensità? Sorrise nella penombra.
Eccolo lì, pronto a festeggiare il Natale con tutti quanti, amici, parenti, la
sua famiglia insomma. Ed ecco la sua Stella. Era bellissima nell’abito rosa e
bianco del ballo di fine anno alla Coleman High. Aveva ancora l’orchidea che
gli aveva regalato e che le aveva aiutato a mettere sotto lo sguardo benevolo
dei genitori di lei.
-Signori Tuckerman, potete star tranquilli. Riporterò la vostra
principessa a casa sana e salva.-
Sorrise. Eccoli
che stanno ballando un bel lento, stretti l’uno all’altra. I loro corpi premuti
con dolce forza mentre qualche lacrima le cola sulle guance, rovinandole un po’
il trucco.
-Shhh bambina mia. Andrà tutto bene.- Glielo promette ancora,
ancora e ancora.
Erano giovani. Erano innamorati e
il mondo pareva così luminoso, tutto carico di promesse per loro e la loro
felicità. Il mondo era ancora così e quindi nulla poteva andare male. Nulla era
andato mai male.
-Hai visto? Hai visto che sono tornato e che va tutto bene?-
Lei gli sorrise ancora una volta.
Gli occhi leggermente arrossati, le labbra tremolanti. Era come un esile fiore
agitato dal vento del sud.
Le prese il mento tra due dita e
portò la bocca di lei vicino alla sua.
Sorrise. Non era solo. Non lo
sarebbe mai stato. Mai più. Tutti gli uomini del suo plotone applaudivano. I
suoi genitori applaudivano. I genitori di lei applaudivano. Il Presidente
Truman e il Sgt. Alloy applaudivano. Anche gli uomini del villaggio Hung
applaudivano. Uno scrosciare di applausi che riempiva la grande sala da ballo
mentre il sangue gocciolava con ossessiva, ritmica precisione a terra. Sorrisi
affabili su volti dalle guance strappate, pacche su spalle forate o bruciate.
Andava tutto bene. Come sarebbe
potuto andare meglio di così? Erano tutti lì, con lui, per sempre.
-Da
quanto tempo è così?- chiede il
generale osservando l’uomo davanti a lui, lo sguardo perso nel vuoto di un
mondo tutto suo.
-Da una settimana dopo che
ce l’hanno portato.- risponde il medico.
-Perché lo tenete lì?
Sembra tranquillo ora.
-Ha detto bene: sembra. Se
avesse visto cosa ha fatto a quei due infermieri e ai pazienti a cui è riuscito
ad arrivare… senza contare le povere Janet e Missy. Delle due la prima se l’è
cavata con un occhio nero, un incisivo saltato e qualche costola incrinata.
Missy è stata molto meno fortunata. Poverina. Aveva vent’anni appena compiuti e
doveva sposarsi a maggio. Ha tentato di tagliarsi le vene per la vergogna
quando è uscita dal coma. Per fortuna gli uomini della sicurezza sono riusciti
a buttare giù la porta prima che lui potesse
dedicarsi anche a Janet e sono riusciti ad immobilizzarlo. Non prima che
volasse qualche altro dente. Una bestia. Ecco che cosa era, una bestia
inferocita.-
-Eppure quando è arrivato
era calmo. Lei stesso nel rapporto ha scritto che si era sottoposto a tutti gli
esami e aveva risposto a tutte le domande senza mai protestare.-
-Avevo anche indicato che
il suo comportamento era allarmante. Nessuno che abbia vissuto un’esperienza
come la sua può essere così tranquillo ed indifferente. Era ovvio si trattasse
solo di una maschera, una fase in cui si trovava per rifuggire dalla propria
coscienza.-
-Lei crede? Cosa ne pensa
della sua attuale condizione. Ne uscirà?-
Il medico prende
tempo prima di rispondere osservando
da dietro il reticolo metallico il paziente che se ne sta, come sempre,
immobile, con la schiena puntata contro il muro. Ogni uomo è un mondo a sé
stante e la geografia di quel mondo risente fortemente delle interazioni con
ciò che lo circonda e con gli altri. Si chiede quanto profondamente ne abbia
sconvolto la fisionomia qualcosa di tanto drammatico e crudele come quello che
ha vissuto quel
paziente. La sua rabbia e quella
sorta di ebete stato catatonico in cui si trova ora sono
solo passaggi di una mente che sta affondando inesorabilmente in un abisso
senza fondo.
-Sono convinto che ne
uscirà, presto o tardi.-
risponde infine -È sempre stato un
individuo pragmatico ed è solo questione di tempo: si renderà conto che quanto
vede intorno a sé è solo una proiezione dei propri desideri; guardi il suo
sorriso. Un sorriso demente, appaiato ad uno sguardo vacuo e allucinato. I
ricordi lo hanno ubriacato al punto da sedarlo meglio della roba che gli diamo
noi. Non è la realtà quella che sta osservando, non quella oggettiva ma bensì
quella che vorrebbe fosse la realtà. Sta guardando al passato, prima di quanto
accadesse. Sta osservando una riedizione della sua vita, come dovrebbe a suo
giudizio essere.-
-Detto così sembra
qualcosa di confortante.- osserva il
militare mentre continua a studiare quei lineamenti così delicati da far quasi
dubitare della virilità dell’uomo che aveva sotto lo sguardo. In altre
circostanze, incontrandolo magari in un bar, avrebbe pensato ad un adolescente
che stava sviluppando in ritardo o a qualche checca in cerca di compagnia. Sa
che di fronte non ha né l’una, né l’altra cosa ma un coraggioso soldato dell’esercito U.S.A.
che sta combattendo con una malattia invisibile e devastante. Un soldato che
deve assolutamente recuperare. -Quasi, quasi verrebbe anche a me la voglia di trovare un simile
riparo dagli affanni delle vita quotidiana.- dice infine.
-Nessun rifugio può durare
per sempre. Specie quando pretende di tenerci al riparo da noi stessi. L’errore
è stato compiuto a monte. Quando lo hanno trovato in Corea, non avrebbero
dovuto rispedirlo a casa dopo avergli fatto fare un colloquio frettoloso con un
maldestro psicologo che aveva fretta di tornarsene a casa. Diamine! Quello è
stato un dannato irresponsabile! Avrebbe dovuto capire subito cosa gli stava
accadendo dentro! Invece tutti erano ansiosi di concludere quella brutta
vicenda, dandogli il minor peso possibile. Tutti volevano dimenticare ma non
avevano pensato che quel povero diavolo lì, non poteva certo dimenticare.
Quando è tornato a casa ha cominciato a dare i primi segni di squilibrio e
quando ha scoperto che la sua ragazza se la faceva con suo padre… dopo aver
letto le sue cartelle cliniche e come era stato calmo, persino remissivo
durante l’arresto, ho subito capito che era un soggetto veramente pericoloso.
Vi avevo anche inoltrato un rapporto, che però voi avete puntualmente
ignorato.-
C’è decisamente un severo e risentito rimprovero in quella voce
baritonale che l’altro accoglie con una certa imbarazzata costernazione.
-Come ha osservato lei,
l’Esercito e noi anche volevamo che la storia avesse la minor risonanza
possibile ed eravamo così presi dalla cosa che non abbiamo dato il giusto peso
alle sue richieste e ad i suoi avvertimenti. Me ne dolgo.- si
giustifica con imbarazzo.
-Comunque sì ne uscirà…- conclude il medico -… e quando questo accadrà poveri noi. Solitamente in questi
soggetti, la libido narcisistica si allenta, rivolgendosi a compensare il senso
di colpa. Colpa e libido si annullano ed il soggetto perde la cognizione morale
del bene e del male, ritrovandosi a vivere una lucida follia nichilista. Se
solo non lo avessero rispedito a casa ma lo avessero mandato subito qui.-
-Forse la decisione è
stata presa anche per una questione umanitaria. Dopo quello che ha dovuto
passare sembrava quasi voler aggiungere una crudele beffa al danno subìto
mandandolo in un manicomio.-
commenta l’ufficiale.
-Questo non è un manicomio
ma una struttura moderna e all’avanguardia per tentare di riabilitare soldati
che hanno subito gravi shock, in modo da reinserirli produttivamente nella
società. Qui non ci limitiamo a rinchiuderli dentro una stanza e a scordarcene,
ma tentiamo in tutti i modi di restituire loro la dignità che gli spetta
sottraendoli alla follia. Purtroppo con lui abbiamo fallito miseramente. Non risponde
a nessuna terapia, e a nessuno stimolo. Il processo innescato sembra
irreversibile.-
L’ufficiale ascolta quelle parole con un certo nervosismo. Lo
psichiatra non può fare a meno di notare il leggero tremolio delle mani incrociate dietro
la schiena e capisce che in quel momento dentro di sé l’uomo deve
star vivendo un conflitto tra i suoi doveri e quello che reputa essere
realmente giusto.
Non dice nulla, attende che sia lui a
parlargli per primo e alla fine, questi dice:
-Il suo parere, dottore,
lei lo sa, lo tengo in grandissima considerazione ma qui ci troviamo di fronte
ad un dilemma molto serio. Lei è uno dei pochi uomini a conoscenza del Progetto
Prometeo e dei suoi scopi. Con la Seconda Guerra Mondiale sono venute due cose:
la bomba atomica ed i paraumani; sappiamo
che il numero delle une e degli altri è destinato ad aumentare. Stiamo parlando
di un futuro dove lo spettro di una guerra atomica potrebbe divenire realtà,
cancellando dalla faccia della terra tutta l’umanità, oppure dove i paraumani
saranno tanti, e molto probabilmente utilizzati come vere e proprie armi
viventi. Il vantaggio di questa ultima soluzione è che con loro possiamo avere
un controllo maggiore su eventuali bersagli da distruggere, ed effettuare
operazioni di tipo chirurgico, che con le bombe a non potremmo ottenere.
Truman, quel gran bastardo, voleva atomizzare la Cina! Se lo avesse fatto, ci
saremmo trovati sulle teste i missili dei sovietici e allora sì, che avremmo
potuto dire addio al mondo. È per questo che abbiamo chiuso
in Corea anziché nuclearizzare Pechino. Siamo riusciti a convincere il
Presidente che quella non era un un’opzione fruttuosa e ci ha dato una mano la
promessa di riuscire, entro dieci anni, a poter contare su un esercito di super
uomini capaci di imprese straordinarie. Promessa da marinaio. Tutti gli studi
fatti nel settore delle bio-armi non si sono rivelati
assolutamente fruttuosi. Abbiamo un buon numero di esemplari unici che però non
riusciamo a riprodurre su larga scala e che con il passare del tempo si
rivelano soggetti a gravi problemi di salute. Poi ci sono i
mutanti. Sappiamo quasi con certezza che la popolazione cosiddetta mutante
aumenterà del 150 per cento nel corso dei prossimi 30 anni circa. Ma i mutanti
sono altrettanto instabili e fino a questo momento non siamo riusciti ad
indurre una mutazione favorevole nei soggetti degli esperimenti effettuati.
Siamo solo riusciti a far nascere povere creature disgraziate afflitte da
malformazioni così orribili che mi perseguitano negli incubi. Il Progetto
Prometeo invece sembrerebbe in grado di poter realizzare il combattente
americano per la massiccia produzione in serie che andiamo cercando. Però hanno
bisogno di un test-type sul quale lavorare e mettere in pratica le loro teorie
e lui, clinicamente parlando, è il candidato ideale. Ce ne sono altri 80, ma
lei sa come vanno queste cose: se si può averne 81 è meglio; il suo fisico è
perfetto ma il problema è la mente.-
Il dottore lancia uno sguardo carico di comprensione all’uomo.
Capisce perfettamente il suo dramma interiore ma purtroppo non può aiutarlo in
alcun modo.
-Lei, se ho capito bene,
sta chiedendo, più che un parere medico, il mio benestare.-
-Forse, se riuscissimo davvero a produrre su larga scala individui dotati
di capacità straordinarie, potremmo effettuare un’invasione lampo della Russia
ed impedirgli di lanciare le loro atomiche su di noi. Allora, una volta
neutralizzati, potremmo smettere questa assurda corsa agli armamenti. Ha idea
di quante ne stanno costruendo? È ormai
è certo che tra qualche anno, saranno in grado di costruire un esemplare molto
più potente di quelle di Hiroshima e Nagasaki. Questo non deve accadere! Sono un militare,
e tutto ciò che so fare è la guerra, questo è vero. Qui però non si parla di
una guerra come le altre. L’obbiettivo è cercare di vincere ma con un conflitto
di quel tipo non si può vincere, indipendentemente dal risultato. Ho bisogno di
quel super soldato. L’America ne ha bisogno. Ha bisogno di un’alternativa a
quel diabolico fungo di fuoco che distrugge indiscriminatamente ogni cosa.-
La sua voce tradisce la disperazione di chi sente di avere un
dovere inderogabile nei confronti dell’umanità intera. Il medico prova simpatia
e rispetto per quell’uomo ma non può dargli la risposta che cerca:
-Mi ascolti bene: capisco
ed ammiro il suo punto di vista ma purtroppo questo soggetto non è adatto; so
che lei non ascolterà questo mio parere e che lo porterà comunque via per
sottoporlo ai vostri esperimenti. Ricordi però quello che le dico: voi non ne
farete un super soldato ma un super assassino folle. Lei vuole dare dei super
poteri a qualcuno che è rimasto intrappolato tra le montagne per due mesi, che
ha visto morire i suoi compagni in modo orribile uno dopo l’altro, che con i pochi
sopravvissuti si è vendicato sterminando un intero villaggio e che ha passato
il tempo di lì al suo recupero dedicandosi allo stupro e al cannibalismo; lei
ha visto le foto? Ha visto quella foto scattata dallo scout? Lo ha visto mentre
strappava le carni arrostite di un bambino di due anni? Lei
ha uno scopo nobile, e sono sicuro della sua buona fede ma che Dio l’aiuti. Lei
ha scordato che anche i fisici che hanno lavorato a qualcosa di tanto terribile
come quella bomba atomica che tanto l’atterrisce erano convinti di farlo per il
bene dell’umanità. La strada per l’inferno è lastricata dalle migliori
intenzioni. Un vecchio detto ma molto veritiero. Come medico, questo è il mio
parere, come uomo, anche se so che non mi ascolterà, la prego di pensarci bene e
lasciarlo qui, dove dovrebbe stare.-
Il Generale fissa il suo sguardo su quel mostro la cui anima è
stata spazzata via dalla guerra. Lo fissa con intensità bruciante, drammatica,
sperando nel miracolo di una completa guarigione ma sa benissimo trattarsi di
una speranza del tutto vana. Non si torna indietro da qualcosa di così
definitivo e terribile.
Il dottore ha ragione: avrebbe ignorato il suo parere, anche se
dentro se ne sarebbe sempre pentito.
Dio mio, aiutami e guida le mie azioni e se dovessero essere
sbagliate, perdona gli errori di questo peccatore. La preghiera è pronunciata
nel silenzio della sua testa e la decisione viene finalmente presa.
5.
Sotto l’Oceano Atlantico. Due giorni fa. È finita, pensa Citizen V. Non sa nemmeno
lei come ha fatto a sopravvivere al crollo ma ora non ha scampo: è bloccata
dalle macerie e probabilmente ha qualcosa di rotto e l’oceano ha invaso la
stanza. È solo questione di tempo ed il poco ossigeno che ha nella maschera
finirà e non dovrà preoccuparsi più di niente. Spera solo che l’agonia duri
poco e che i suoi compagni se la siano cavata. Ha perso di vista Heike Zemo e
non sa se sia viva o morta ma anche questo non ha più importanza ormai. Jeff …
solo ieri piangevo per te ed ora sto per raggiungerti. Peccato che tra me e te…
Un momento… cos’è quella? Sta
sognando o quella che sta arrivando a nuoto è una donna? Deve essere
un’allucinazione.
No… è davvero una donna bionda con
indosso un costume da bagno intero blu. Dai capelli spuntano orecchie a punta e
alle caviglie ci sono delle alucce. Ma certo: è…
La donna, che ora lei sa essere
Namora, reggente dell’impero sottomarino di Atlantide, l’ha raggiunta e con
facilità irrisoria sposta le travi pesantissime. Le sta dicendo qualcosa ma
Dallas non riesce a capirla, tutto si perde in un gorgoglio inintelligibile.
Namora la afferra come se fosse senza peso e si dirige verso la superficie ma a
questo punto Dallas perde i sensi.
Quando rinviene è sulla spiaggia di
una vicina isola ed accanto a lei ci sono i suoi amici e la sovrana di
Atlantide. Si rende conto di essere senza maschera ma non importa: non ha certo
segreti per loro.
-Sono viva.-
dice. Constatazione semplice ma niente affatto scontata.
-Sono
arrivata giusto in tempo.- commenta la cugina di Sub Mariner -Per tua fortuna
ero giunta da queste parti per indagare sulla costruzione che mi era stato
riferito essere stata fatta in questi fondali.-
-Una bella
fortuna.- commenta Topspin –Noi non ti avremmo mai trovato in tempo, Dallas.-
-Se mi
aveste avvertito delle vostre intenzioni, avremmo potuto collaborare sin
dall’inizio.- li rimprovera Namora –Forse avremmo evitato il pericolo per la
vostra amica.-
-Ci scusi,
Altezza… o Maestà… o quello che è…- interviene Glitter -... ma siamo nuovi del
giro e non conosciamo ancora bene il protocollo per questi casi.-
-Non fare
l’insolente con me, ragazzina.-
Dallas li ascolta a malapena.
-Credevo di
essermi rotta qualcosa.- dice tentando di alzarsi appoggiata a Nuklo.
-E invece
sei tutta intera.- risponde lui sorridendo -Non hai avuto neanche un’embolia.-
Dallas non ha nulla da replicare… a
parte…
-E la
Baronessa?-
-Se c’era
un’altra donna con te, io non l’ho vista.- risponde Namora –Forse l’acqua l’ha
portata via prima che io arrivassi,-
-O forse in qualche
modo è sopravvissuta anche lei.- conclude Dallas –Non ne sarei affatto
sorpresa, ma se è così… un giorno saremo di nuovo faccia a faccia. Me lo
sento.-
Confine tra Cambogia e Vietnam. 1966. La
mascherina domino di Martin Guille cade mentre lui barcolla sotto i colpi
ripetuti di Tom Raymond, che quasi non si ricorda più che solo poco prima si
sentiva prossimo alla morte. Con un gesto di stizza strappa al suo avversario
il giubbotto dell’uniforme di Bucky che lui
indossa.
-Non sei
degno di questi abiti,- esclama.
Martin cade a terra e Toro si volge
verso coloro che lui stava per uccidere per vedere se stanno bene.
Grosso errore: “Bucky” è ancora
cosciente e con un certo sforzo estrae un’altra pistola che portava con sé. Ha
ancora un caricatore pieno e se quel dannato mutante continua a volgergli la
schiena anche solo per un altro secondo...
Lo sparo echeggia nell’aria e Toro
si volta di scatto per vedere Martin Guille crollare a terra con un foro nella
fronte. L’uomo di nome Joseph Rudd lascia andare la sua pistola e mormora:
-Se lo
meritava quel serpente.-
Londra, Inghilterra, Oggi. Sir Roger
Aubrey avrebbe voluto essere presente di persona ma deve accontentarsi di un
maxischermo portato nella sua stanza. Maledetti acciacchi dell’età, pensa con rabbia
<<Benvenuto
Sir Roger.>> dice l’uomo sullo schermo <<Siamo pronti per la
dimostrazione.>>
-E allora
non perdiamo tempo.- replica il vecchio -Ormai non me ne rimane molto da
sprecare.-
<<Come
desidera. Venga avanti, miss Hawthorne.>>
La ragazza che si presenta davanti a
loro non dimostra più di vent’anni e sembra decisamente intimidita e a disagio.
Veste un costume attillato di colore verde con sul petto disegnata una testa di
falco stilizzata. La maschera che indossa ha due alucce ai lati ed è disegnata
per lasciarle liberi i capelli castani.
<<Sir
Roger, le presento Falconet.>>
FINE
TERZA PARTE
NOTE
DELL’AUTORE
Solo poche note, a dire il vero:
1) Che cos’è il P.H.A.D.E. citato in questo
racconto? Si tratta di un’organizzazione paragovernativa introdotta per la
prima volta da Yuri Lucia nella sua run come autore dell’Uomo Ragno MIT.
L’acronimo sta per Para Humans Activities Department E dove la E intende significare che si tratta
della quinta versione di questa struttura, anche se in molti pensano sia parte
dell’acronimo visto che la pronuncia è pressoché identica a quella della parola
inglese “fade” ovvero: “svanire”, perfetta per definire un’organizzazione che
fa dell’evanescenza una delle sue caratteristiche base (a volte penso che Yuri
sia un genio incompreso -_^). Il destino moderno del P.H.A.D.E. dovrebbe essere
rivelato prima o poi sull’Uomo Ragno MIT
2) Sempre a proposito di Yuri, a lui si deve la creazione
del Capitan America e del Bucky psicopatico. La prima sequenza con “Bucky” e quella
che descrive la patologia dell’ignoto soldato scelto per il ruolo di Capitan
America son riprese pressoché parola per parola dal suo Invasori Revival #5 e 6
e gliene va riconosciuto il credito. Sono molte cose ma non un plagiario.
3) Per la cronaca, Namora, cugina di Namor il Sub Mariner, è
comparsa per la prima volta in Marvel Mystery Comics #82 datato maggio 1947 ed
è stata creata da uno sceneggiatore ignoto (forse Bill Everett stesso almeno
come soggetto) e da Ken Bald, matite, e Syd Shores, chine. Possiede quindi i
requisiti per la tessera del Battaglione V come il cugino. -_^
4) Per chi non lo sapesse, Joseph “Joey” Chapman e l’attuale
Union Jack, ultimo di una stirpe di eroi britannici e risale a quella Prima
Guerra Mondiale di cui si sta celebrando il centenario.
Nel prossimo episodio: il fato di ben due Capitan
America, due Baronesse al prezzo di una, vampiri, supercriminali, supereroi
misteri svelati e… una festa? Tutto può essere. -_^
Carlo
[1] Chiedo umilmente perdono ad Alan Moore.
[2] No non il nemico dell’Uomo Ragno ma un agente sovietico
[3] Su Capitan America Annual MIT #2.
[4] Americana di ascendenza giapponese ma nata negli Stati Uniti
[5] Acronimo di SMERt' Shpionam, Morte alle Spie in Russo. Un ramo dei servizi segreti sovietici creato per eliminare le spie nemiche in seguito fuso col KGB.