01- C’è minaccia e minaccia.
di Giuseppe Felici rossointoccabile
Il vicolo è buio. Come è giusto attendersi da un vicolo, in una città umana, attorno al XX secolo. Nord America, direi. Dall’odore una delle varianti di New York. Faccio uscire le pulci per avere dei dati più precisi sul luogo. Nel vicolo ci sono tracce di tela, una tela sminuzzata, vecchia. Il Ragno. Se c’è lui è possibile ci sia anche qualcun altro. Arrivano i primi dati, New York, gran parte degli edifici sono riconoscibili. Bene, ricerca dei mezzi di informazione. Mentre mi sintonizzo sulle emissioni radio spedisco altre pulci a cercare giornali. Li leggeranno e mi trasmetteranno direttamente le informazioni. Magari è un posto in cui sono già stato. Non è impossibile.
Mi arrivano le prime immagini del Ragno. Di sicuro qui non sono mai stato. Non c’è molto altro, apparentemente. Gli articoli di questo Thomas sono interessanti. Vero “modello Jameson”. Il suo lavoro è inconfondibile, qualunque sia il suo nome o aspetto. Il ragno è un mostro malvagio e malizioso, fin qui nulla di nuovo. Calamaro, si, va beh. Distrutto le rotative e fatto sparire delle prove importanti[i]. Questo Ragno non è privo di una qualche forma di intelligenza. Certo è un ragazzone, fa sparire delle foto quando la sua immagine è nell’intera rete di sorveglianza della città. A meno che in quelle foto non fosse veramente contenuto qualcosa di significativo. Qualcosa di più che il suo aspetto. Un Ragno meno gne gne sarebbe interessante da osservare. Uno malvagio una vera rarità. Purtroppo non sono qui per turismo. Ancora nessuna notizia rispetto ad altri. Può essere un caso, di certo sono di meno e meno concentrati.
Strano che manchino i 4. Grande visibilità e grande attenzione alla sicurezza sono il marchio tipico del loro atteggiamento.
Di certo il Mago c’è, questo mondo è troppo ordinato. Sono qui da più di due minuti e non sono stato attaccato da alcun demone. Spero solo non sia Mordo. È un’idiota, immancabilmente un idiota.
Greenwich Village. Nulla. È fuori città oppure è mascherato meglio del solito. Mi serve una guida telefonica. Magari una rete informatica se c’è. Niente Strange, cazzo, né Mordo, per fortuna, ma che i nomi fossero diversi già il Clarion lo faceva supporre.
Oltre tutto che non siano sull’elenco telefonico non vuol dir nulla. Mi do una sistemata ai vestiti per sembrare uno del luogo ed esco dal vicolo. Passo alla visione diretta, con i collegamenti in stand by, programmati per scaricare le informazioni ogni cinque minuti. Un sollievo per i miei sensi umani. Adatto le mie corde vocali al linguaggio di questo mondo, il processo è, come sempre, fastidioso. A volte penso come sarebbe viaggiare senza tutta questa roba addosso… a volte penso come sarebbe non viaggiare.
Sento le lacrime pressare per uscire. Le reprimo, certi giorni è più difficile di altri.
Una volta me lo disse un Warlock. Se è difficile per lui è difficile per tutti. Mi disse anche che non aveva mai dubitato di poter tornare. Lui e il suo fottuto, borioso autocontrollo. Io invece inizio già a dubitarne. Potrei sedermi in un angolo ad attendere il prossimo balzo, ma non servirebbe a nulla. E non posso arrendermi, contano su di me per lo meno quanto io su di loro. Esplorerò questo mondo alla ricerca di un modo per tornare a casa per tutto il tempo che mi è concesso. In fondo quello stronzo dorato aveva ragione.
L’illuminazione è molto bassa, è un mondo buio. Chissà se è lo stesso anche di giorno?
Comunque non adatterò la vista. È sempre un processo doloroso, del quale posso fare, per fortuna, a meno. Ho fame. Mi serve del denaro. Potrei nutrirmi in altri modi, ma anche il gusto vuole la sua parte.
Cabine telefoniche e telefoni a moneta. Un’accoppiata vincente. Entro, alzo il ricevitore e tiro fuori dalla borsa un sacco di tela. Forzare la cabina è più facile che in altri posti. Le monete sono sostanzialmente identiche a quelle che porto con me. Le date sono per lo più anteriori. È normale. Le ho prese quasi tutte in epoche future. Avrò tempo dopo per sceglierle. Per i miei bisogni immediati queste sono più che sufficienti.
Metto le monete nella sacca e non avverto più il loro peso. Magnifico. Sembra poter contenere qualsiasi cosa e trovo sempre per prima la cosa che sto cercando. Trovarla è stata una fortuna insperata. Anche se avrei rinunciato volentieri a vedere il mondo dove l’ho presa. Sospetto che abbia ben altre caratteristiche, peccato che io non sia in grado di conoscerle e il cadavere su cui l’ho trovata era irriconoscibile. Non ho quindi la possibilità di farmi spiegare la funzione da un suo analogo. Per ora sono costretto ad accontentarmi e a sperare in qualche banca dati.
Non è molto.
Hot Dog. Deliziosi. Senape, crauti, Tabasco. Mi chiedo solo come facciano i newyorkesi a consumarli con regolarità senza fattore rigenerante potenziato.
Con la pancia piena si ragiona meglio. Cosa mi serve in realtà? Anonimato, e ce l’ho, almeno per il momento.
Minori contatti superumani possibili, almeno compatibilmente con i miei obiettivi. Meglio dare istruzioni in questo senso alle cimici. Tecniche di controllo dei viaggi. Che poi sarebbe il mio obiettivo primario.
Mi servono le agenzie governative. Mentre le mie pulci cercano posso passare il tempo visitando un museo. Stando alle mie informazioni il più vicino ha dei prezzi abbordabili anche se pagati in monetine. Mi arriva l’allarme di una cimice. C’è il Ragno qui vicino, tre isolati. Nel dubbio meglio mettersi fuori vista.
Un bar. Entro e ordino un cappuccino. Original Cappuccino urlano tutti i gadget in vendita. È sempre New York. Finalmente vedo il Ragno. Non sono sicuro che quello che ha addosso sia un costume. È un coso enorme nero rosso e blu, con lancia ragnatele biologici e una bocca smisurata. Meglio non finire nel suo menù. Gli metto comunque alle costole una cimice. Chissà che non mi porti in un posto interessante.
Sto girando in tondo. Il mio unico indizio è un tizio semiumano che svolazza aggrappato a una ragnatela. Mi incammino di nuovo verso il museo… ed improvvisamente tutto diventa buio.
La cosa che odio di più di queste situazioni è che ti legano in posizioni veramente assurde. Sono quasi curioso di vedere a cosa serve questa cazzo di gabbia da realtà virtuale.
Cioè, la mia tipa fa parte di una tribù rigorosamente matriarcale, vi lascio immaginare il suo atteggiamento coi maschi, eppure non mi ha mai legato in posizioni così del cazzo.
Non sento più le cimici, c’è un campo di isolamento. Non posso aspettare semplicemente di andarmene, devo liberarmi. Pena la perdita della borsa e di gran parte del mio equipaggiamento. Gran parte di ciò che ho difficoltosamente recuperato, temo.
Nessun contatto con le cimici.
Quelle che ho all’interno del corpo funzionano adeguatamente, ma se escono potrebbero far scattare qualche allarme. Non so ancora qual è il mio avversario.
Il fatto che sia o siano riusciti ad eludere le cimici e che mi abbia sorpreso restringe pesantemente il campo.
Nella maggior parte dei mondi di questa classe ci sono si e no 10 soggetti in grado di prendermi di sorpresa.
2 sono individualmente pericolosi, se sono stato preso da un simil Richards o un simil Von Doom sono nella merda. Hanno l’intelligenza per intuire le cose che non conoscono e per bloccare la maggior parte delle tecnologie che non hanno mai visto. E se hanno un modus operandi ricorrente le mie limitate capacità non sono in grado di riconoscerlo.
2 sono organizzazioni, se sono finito fra le grinfie di AIM o SHIELD è un bel casino, hanno spesso i mezzi per incasinarmi per benino.
C’è inoltre la possibilità degli alieni, con tecnologie superiori, ma le linee dei macchinari mi sembrano fin troppo umane.
Per il resto per lo più non sono abbastanza svegli da trattenermi.
Non che sia messo bene, le variabili sono innumerevoli.
Per quello che ne so di questo pianeta potrei essere stato preso da un Punitore e potrebbe essere in grado di trattenermi.
Ok, tanto con le speculazioni non scappo. Proviamo l’opzione peggiore, Richards. È in grado di contenere i poteri del figlio, di livello divino.
Intanto vediamo con cosa mi stanno studiando. Farà male. Tatto, prossimità, temperatura, udito, olfatto e gusto sono sensi facili da alterare, con appena qualche piccolo fastidio. Un po’ meno da rendere volontari. La vista è un casino. Sento migliaia di piccoli (neppure tanto) aghi che mi trafiggono i bulbi, il dolore è quasi insopportabile.
Se solo conoscessi un modo per anestetizzare la parte mentre opero, purtroppo niente di ciò che so fare permette una ripresa immediata. Ma la maggior parte degli strumenti funziona per emissioni sullo spettro elettromagnetico, la vista è il primo senso su cui agire.
Gli occhi non sono fatti per percepire uno spettro così ampio e fino a quando non troverò un modo per apportare modifiche permanenti più sottili sono costretto a fare l’analisi cambiando continuamente il settore dello spettro che percepisco.
Gia è difficile, in più non devo urlare. Attirare l’attenzione il meno possibile. Nulla, un semplice flusso di onde radio dagli strumenti che ho addosso. Monitoraggio continuo. Ora sanno cosa possono fare al mio corpo le mie macchinette, probabilmente ne sanno più di me. Queste saranno informazioni utili.
Comunque se voglio fuggire di informazioni gliene devo fornire ben di più.
C’è un campo di forza, mi considerano pericoloso. Questo è certo. Non percepisco sistemi di rilevamento magici e questo è bene. Un Von Doom di quelli pericolosi non trascurerebbe una cosa del genere. Soprattutto dopo aver trovato la sacca. Probabilmente per loro è vuota. Testiamo il campo di forza. Provo a mandar fuori una cimice, una delle più piccole. Respiro quindi dovrebbe esserci permeabilità molecolare. Infatti passa, ma perdo il contatto. Poco male, le due successive sono ben istruite.
Aspetto. Appena finito di scaricare il virus nei computer il campo cade e le manette si aprono.
All’improvviso. Evito per un pelo di sbattere la faccia in terra.
Mi assale all’improvviso la marea delle informazioni provenienti dalle cimici che ho disseminato in giro. Dopo la relativa deprivazione sensoriale che ho provato nel campo stento a contenere la nausea.
Il Ragno sta mangiando. È notte. La città non dorme. Del resto è NY.
Scatto subito in piedi. Se il virus ha funzionato bene sulle telecamere dovrebbe passare una registrazione, comunque è il caso di non contarci troppo.
Le mie priorità diventano: 1. Sopravvivere. 2. Recuperare le mie cose. Comunque vada una via di fuga ce l’ho sempre.
Le cimici cominciano a scaricare le banche dati. Pur essendo la capacità dei miei chip quantici di gran lunga superiore a quella di questi computer al silicio le capacità di organizzazione delle informazioni del mio cervellino biologico non sono all’altezza.
Dovrò trovare al più presto l’occasione di rimpiazzare il software di gestione danneggiato.
Date le mie attuali capacità potrei impiegare dei giorni per trovare informazioni utili in mezzo a questa massa caotica.
Per il momento comunque ho le mappe del complesso, assieme a una mole di cartine di non ho la più pallida idea cosa. Le informazioni sono anonime. La tendenza a non riempire i documenti di simbologia governativa fa pensare a qualche associazione criminale. Ancora nessuna traccia sull’identità dei miei catturatori.
Chi ha organizzato questa banca dati era tosto e motivato. Sarà uno di quei gruppi “chi sbaglia muore”. Manica di fessi. Fessi, si, ma pericolosi. E io sono nelle loro mani. Vediamo di darci un taglio. I sistemi di areazione sono una mossa scontata, inoltre sono sporchi da far schifo e pieni di trappole. Il che in un mondo con un Ragno di quel tipo è più che saggio. Sempre che il Ragno sia indicativo. Comunque non è una via praticabile.
Non resta che la strada maestra. Mi avvicino alla porta. Serratura elettronica e nessun rumore all’esterno. La serratura è complessa, ma sono abituato a tecnologie più evolute quindi la apro. Non celermente quanto vorrei. A questo punto muoversi a caso è pericoloso. Mi connetto col sistema informatico e interloquisco col virus. Modifichiamo le impostazioni di sistema per cancellarmi dalle immagini ma darmi accesso alle telecamere. È rischioso ma con un po’ di attenzione non dovrei essere scoperto.
Comunque non ne dovrei aver bisogno per molto. Le mie cose sono in una stanza dall’altra parte del corridoio, ma un piano di sotto. Se avessi una torcia laser farei prima a fare un buco nel pavimento. Ma non ce l’ho, bando alle fantasie. Apro la porta già sapendo che il corridoio è libero. Percorro alcune centinaia di metri poi mi imbatto in un tipo che esce da una porta. Lo stendo con un pugno e lo trascino all’interno della stanza in cui si trovava prima. Vuota. Non indossa nessuna tuta ridicola ma sopra il camice ha una fascetta con la svastica. Corrisponde al modello, la maggior parte di queste organizzazioni sono costituite di nazi di merda.
Ste’ luride zecche infestano gran parte dei mondi. È pericoloso lasciare testimoni, con questi qua. Gli spezzo il collo e lo sistemo in un armadio. Poi continuo per la mia strada.
Aveva una pistola, a proiettili. Propulsione a polvere da sparo. Rumorosissima. L’ho comunque presa. Può sempre servire.
Stanno imballando un mucchio di roba, significa che sono in fase di trasloco. I piani superiori sono già pressoché vuoti. Forse la copertura è saltata. Questo spiega come mai non mi hanno sottoposto subito a esperimenti. Scarico un virus standard nel sistema. Nella nuova base avranno delle sorprese.
Trovo le celle degli altri soggetti di sperimentazione. La differenza tra questo mondo e i miei standard non mi permette di riconoscerne la maggior parte. Malgrado ciò è evidente che la loro sperimentazione su soggetti super umani è su standard molto avanzati.
Non gradiranno le modifiche che apporto a queste informazioni.
Mi impadronisco dei codici di apertura delle celle e continuo la mia marcia. L’ascensore è la scelta più ovvia ma l’allarme delle scale di sicurezza è abbastanza facile da disattivare, io lo preferisco. Quindi apro la porta e mi inoltro giù per le scale. Disattivare gli allarmi dall’esterno è più difficile ma non impossibile. Apro la porta già sapendo cosa mi attende dall’altra parte. La prima guardia si trova col collo spezzato ancor prima di essersi accorta che la porta si è aperta. La seconda, che era di spalle, fa in tempo a girarsi ed alzare il mitra prima che il pugnale che ho sfilato dalla cintura del primo lo raggiunga. Per fortuna non fa in tempo a sparare. Io sono comunque già rotolato fuori dalla sua traiettoria. Mi rialzo prima che finisca di stramazzare a terra. Li trascino fino alla porta più vicina.
In terra c’è una scia di sangue che ripulisco sommariamente.
I due pugnali mi saranno utilissimi. Prendo la fondina e le munizioni per la pistola.
Mi metto anche a tracolla un mitra non si sa mai. Essendo progettato per individui meno forti e veloci di me non mi è di intralcio.
In mano tengo, comunque, un pugnale.
Anche questo piano è semivuoto ma il trasloco procede velocemente. Sono gia arrivati al piano al di sopra della zona di detenzione. Se mantengono questo ritmo prima che scoprano la mia fuga e la mia prima vittima mi rimane una mezz’oretta.
30 minuti dovrebbero bastare.
Sotto di me ci sono altri quattro piani. In un paio di ore potrei anche essermene andato. Ma così dovrei nascondermi da una ricerca che scatterà immediatamente dopo la scoperta della mia fuga. E dovrei abbandonare gli altri prigionieri.
Meglio abbozzare un piano per fuggire da qui, portando dietro più gente possibile.
Ma per il momento…
Ok, corridoio sgombro. Esco e mi avvio velocemente verso il mio obiettivo. La porta è aperta, la scosto con prudenza anche se so che la stanza è vuota. Non posso farmi prendere da eccessiva sicurezza dimenticando che questi sono stati in grado di sorprendermi malgrado i miei innumerevoli occhi.
La stanza è effettivamente vuota. Prendo la mia cintura, la mia preziosissima borsa e le altre cose. La borsa torna subito utile per contenere le munizioni, che erano ingombranti, in ultima analisi. Bene, consideriamo finita la mia comoda fuga verso il basso. Mi rimane il problema di togliermi dai guai. Una delle cimici esterne ha trovato il Mago. Questo mi rende ancor più motivato. Una lampadina si illumina sopra la mia testa.
Ecco come risolvere ben due problemi. Vorrei solo avere più tempo per curiosare qui dentro. Ma ho delle urgenze, afferro un paio di oggetti di cui non comprendo l’utilizzo e li metto nella sacca, quindi esco dalla stanza e mi avvio verso le scale. Risalire è un attimo. Il piano è ancora vuoto, mi dirigo verso la prima cella. Una delle guardie aveva una chiave elettronica, la provo, la cella si apre.
Stesa sul lettino, con uno strano collare, c’è una donna gatto, inequivocabilmente. Immobile. Per una coi suoi istinti la prigionia deve essere stata particolarmente dura.
- Stanno trasferendo la base. È il momento buono per fuggire. Proverò a toglierti il collare.
Mi avvicino con circospezione, non è detto che non mi consideri comunque uno dei suoi carcerieri. Non è detto che mi creda. Comunque comincio a lavorare sul collare, coi miei attrezzi da scasso me la cavo in fretta.
Il collare cade. Sembra che mi creda. In realtà ogni suo muscolo è contratto, mi attaccherà alla più piccola mossa falsa. Comunque ha deciso di rischiare.
Le passo la chiave elettronica. – Prendi, libera quanta più gente puoi.
Ci avventuriamo nel corridoio, lungo le due file di porte. Non c’è nessuna guardia. Questo mi inquieta.
La gatta procede sicura al mio fianco. Alla prima porta ci fermiamo. Lei ha la chiave, io i codici che ho scaricato dal computer. È un attimo. Appena due parole e siamo già in quattro. Non so da quanto sono qui dentro, ma è come se fossero pronti, da tempo, a sfruttare la prima possibilità. A costo di essere uccisi o ingannati.
In breve il nostro numero aumenta. Sono quasi tutti uomini-animale, più ibridi del solito. Questo è un mondo più prosaico.
Un paio con poteri energetici.
Più o meno in mezzo al corridoio c’è una porta diversa, meno robusta di quelle delle celle.
Dentro non ci sono telecamere. Col mio udito potenziato sento che all’interno degli uomini parlottano. Qualcuno batte velocemente su una tastiera. Entro nella rete. Stanno isolando l’areazione del piano. Inserisco una mia subroutine che li fa uscire dal programma. Imprecano.
Faccio segno a due che mi sembrano i più adatti.
Uno è basso, tarchiato, ma si muove con un’agilità invidiabile. Le sue dita terminano con artigli affilatissimi.
Togliergli i ceppi, che non aveva quasi nessun altro, è stato difficile.
L’altro è più alto ma altrettanto massiccio. Stessi ceppi per le stesse unghie.
I loro canini sono altrettanto affilati.
Rispondono subito, sono avvantaggiato dal fatto che la gatta li conosceva, ma anche dal fatto che sono chiaramente ben addestrati.
Il modo in cui la gatta si affida a me, un perfetto sconosciuto, mi fa pensare che possieda un qualche talento psichico.
Non telepatia, però, me ne sarei accorto.
Apro lentamente la porta. Dentro ci sono cinque uomini armati. Indossano maschere antigas. Prima che possano vederci, il primo, quello seduto al computer, ha già un coltello conficcato nella gola. Sono sempre andato fiero della mia abilità di lanciatore.
Sia a casa, che durante l’addestramento, che nella caccia.
E da quel che vedo qui è un po’ come se fossi ancora in caccia.
Prima che io impieghi il secondo coltello i due hanno già sgozzato i loro obiettivi. Lancio colpendo il più vicino attraverso il vetro della maschera antigas.
Il più piccolo, che è più veloce, è già addosso al quinto. Lo sventra, non prima, però, di essersi preso una sventagliata di mitra in pancia. Fine dell’effetto sorpresa e prima vittima tra i nostri.
Invece si rialza, imprecando. Io stupidamente non l’avevo riconosciuto. L’altro quindi…
Non sono diversi solo i nomi ma anche i volti. Questa è una realtà divergente, farò meglio a non dimenticarlo.
Ok, affrontiamo il nostro nuovo problema. I forzuti entrano nella stanza e nelle celle limitrofe ed iniziano ad accatastare una barricata. Distribuiamo le poche armi. Sei mitra, sette pistole. Mi siedo al computer ed entro nel sistema. Apro tutte le porte, agli altri il compito di spiegare la situazione.
Consegno il poco plastico che mi era rimasto nella borsa ad un paio dei più veloci.
Prepareranno una bella sorpresina per i nostri carcerieri, sempre che abbiano realmente sentito il rumore degli spari. Comunque la mezz’ora che avevo previsto perché iniziassero il trasloco anche su questo piano è gia passata da un po’, probabile che stiano attendendo il la dei cinque che abbiamo ucciso qui sotto. Forse che si disperda il gas.
Guardo. In effetti c’è un gruppo armato che si appresta a scendere le scale. Un altro gruppo sta salendo sull’ascensore. Bene. Questo ci darà un piccolo vantaggio. Non appena la porta esplode attivo il virus dormiente che avevo messo nei computer. Secondo vantaggio. Subito dopo, attraverso i rottami della porta irrompe un’orda assetata di sangue. Le prime raffiche colpiscono la barricata senza fare danni, mentre i nostri pochi proiettili e i colpi dei pochi di noi in grado di sparare energia sortiscono un bell’effetto. Mai quanto quello della porta dell’ascensore che esplode. ‘Sti nazi son stati proprio fessi.
Ma quelli subito dopo sparano lacrimogeni e granate ed anche i nostri cominciano a cadere. Per fortuna molti hanno una buona pellaccia o fattori di guarigione accelerata.
Malgrado ciò, cinque restano a terra, due dei quali morti. Alla fine del primo scontro a fuoco, i velocisti partono a rastrellare il magro bottino.
Alcune armi e granate. Qualcosa è rimasto.
- È abbastanza chiaro che non possiamo resistere in queste condizioni. Il piccoletto ha una voce decisa, di chi sa farsi ascoltare, quando decide di parlare.
Chissà dove, ha preso un sigaro, e lo sta accendendo. Malgrado l’aspetto molto più bestiale è sempre lo stesso. Sono troppo impegnato a neutralizzare un altro tentativo di gasarci per interromperlo, ma non lo avrei fatto comunque. Se è anche solo alla metà delle sue capacità è comunque un tattico di gran lunga migliore di me.
Ed in situazioni come questa è essenziale avere un buon tattico. Da ognuno secondo le sue possibilità, come insegnano all’Accademia.
- L’unica speranza che abbiamo è quella di risalire in superficie a forza. Se rimaniamo tappati qui dentro prima o poi ci staneranno e ci uccideranno uno dopo l’altro, hanno il vantaggio del numero e dell’armamento. Noi, per quello che ho capito, siamo più versatili e disturbiamo la loro tecnologia, vero? e mi guarda.
- Si, riesco ad entrare nel sistema ed immettere virus, che loro neutralizzano più velocemente di quanto sperassi, però.
In più ho accesso alla rete di comunicazione ed uso le telecamere del sistema di sicurezza come centinaia di occhi.
- E sei in grado di non farti buttare fuori dalla rete?
- In quanto a questo non ho problemi. L’unico modo che hanno per escludermi è interrompere l’energia del sistema.
- Lo faranno, non illuderti. Ma per allora noi, se tutto va bene, saremo fuori. Sono libere le scale?
- Per quello che posso vedere si.
- Bene. Voi due siete invulnerabili ai proiettili, andate avanti in avanscoperta. Fateci due fischi brevi se è tutto libero.
I due partono subito, imbracciando i mitra con la mano di chi lo fa spesso.
- Tra di voi non c’è un telepate, vero?
Troppa grazia, darei un braccio per avere sottomano un telepate, quando serve.
Dalle scale giungono due brevi fischi. Ci muoviamo, quelli armati si mettono in testa e in coda, assieme a chi lancia raggi.
Superata una rampa, tiro fuori dalla borsa una bomba e collego la spoletta alla porta. Non farà gravi danni ma per lo meno rallentarli…
Saliamo un’altra rampa con tranquillità ma alla successiva dalla testa parte una raffica di mitra, subito i nazi rispondono.
Scontro vinto con una certa facilità, grazie al nostro scudo vivente sul davanti del gruppo.
Ma ci sono comunque alcuni feriti e ci adopriamo per trasportare i più gravi. Vicino a me un topastro si prende un proiettile nel cervello. Non so come funzionano le ricorrenze nella fisica temporale, ma nel complesso i topastri sono degli sfigati.
Sotto di noi esplode una delle bombe che ho istallato, poco dopo vedo cadere il gigante leonino con la pancia squarciata. Inizia a ricacciarsi dentro le budella senza smettere per un attimo di imprecare. Anche la gatta viene colpita, per fortuna in maniera non letale. Chiaramente non vedo nulla, su nessuna frequenza dello spettro. Né odori né rumori.
Se potessi morderlo il gusto non mancherebbe, ne sono certo.
Mentre colpisce la gatta sento una leggera brezza toccarmi. Non sono molto bravo ad orientarmi col tatto e questo è certamente un problema. Converto le percezioni tattili sulla corteccia visiva. Ora vedo una serie di onde luminose nella direzione del nostro nemico. Percepisco lo spostamento d’aria generato dai suoi movimenti e mi muovo cercando di prevenirli. Ho solo due coltelli, metto in borsa il primo, col secondo blocco in direzione delle onde in avvicinamento. Vedo scintille levarsi dalla lama che rimane intaccata. Qualsiasi cosa usi è bello forte. Infatti il secondo colpo che paro fa balzare via un pezzo della mia lama, lasciandomi indifeso. Quasi impercettibile, probabilmente è lui che mi ha catturato. L’avranno usato per catturare molti di noi. Vedo che le onde di movimento si dirigono nuovamente verso di me, ma a questo punto ho già impugnato la pistola. Gli sparo al corpo sperando che non sia invulnerabile e rotolando via per evitare il possibile colpo di lama. Cade a terra e il suo potere inizia a sfarfallare, segno che necessita di concentrazione mantenerlo.
L’ho colpito alla pancia, una ferita superficiale. È veramente una mezza sega, come tutte le zecche. Il mio successivo colpo alla testa gli impedisce di diventare più duro.
Intanto però sono arrivati i rinforzi sopra di noi. Il conflitto a fuoco si fa pesante e i nostri feriti aumentano.
- Bella performance, ragazzo. Non l’avevo sentito avvicinarsi e sì che i miei sensi sono piuttosto sviluppati.
- Infatti era invisibile su tutto lo spettro ed a ogni senso, ma non poteva evitare di spostare masse d’aria man mano che si muoveva ed il mio tatto fortunatamente era in grado di percepirlo.
Da li in poi è stato facile, questi dilettanti con superpoteri hanno raramente un addestramento degno di questo nome.
- Ci hanno imbottigliati quaggiù -. Mentre parla sta slacciando le lame dal cadavere del mio ex-avversario. – Dobbiamo tentare una sortita con quelli che non risentiranno di danni permanenti a causa del loro fuoco. Il problema è che qui sono quasi tutti dei veri dilettanti, quasi paralizzati dalla paura e dalla prigionia.
Mi farebbe comodo avere uno come te nel mio gruppo. Come sei messo?
- Le nanomacchine nel mio corpo sono in grado di riparare quasi ogni danno, il rischio, finché useranno armi a proiettile è minimo. Ma stanno arrivando con un bazooka per far saltare tutte le uscite di questo settore. Stavo giusto per venire ad avvertirti quando lui – indico il cadavere in terra – ci ha attaccato. Dobbiamo sbrigarci.
- Sei incredibile, strano che non ho mai sentito parlare di te. È un po’ che mi hanno beccato ma uno col tuo addestramento ed esperienza deve essere in giro da ben più tempo. Da dove vieni?
- Da un’altra linea temporale, ma è lungo da spiegare. Magari se ci resta tempo, una volta usciti…
Intanto lui ha finito di allacciarsi le lame ai polsi. – Ok, andiamo.
Siamo io, lui, il gigante leonino che sembra ormai sostanzialmente rimesso, un altro con la pelle che sembra di pietra, con qualche scalfittura, ma non evidente. Poi c’è l’altro tipo invulnerabile, con una pelle scagliosa, tipo rettile.
Cinque contro un’intera pattuglia armata in un attacco diretto, poteva andare meglio.
Riduco al minimo la risposta dei ricettori di dolore, la trasmissione nervosa non posso intaccarla, spero non diventi un problema.
Farà male, comunque.
I miei capelli lunghi, acconciati in treccine e legati, sono gia da tempo tramutati in fili metallici.
Questo dovrebbe preservarmi da un danno celebrale serio.
Per il resto sono quasi certo di poter guarire. Del resto, se ci imbottigliano qua dentro siamo quasi certamente morti, ergo…
Gli altri armati, ormai quasi tutti dato che man mano che avanzavamo abbiamo raccolto le armi, si preparano a coprirci.
Mentre si susseguono le raffiche noi strisciamo il più possibile in alto, fin quasi alla curva delle scale. Poi i due tipi invulnerabili si alzano sparando. Approfittiamo dell’attimo di scompiglio per balzare avanti con le nostre armi che sputano fuoco ininterrottamente, sento un proiettile di striscio rimbalzare sui miei capelli. Non che non faccia male. Commozione celebrale, seppur lieve e sangue dal naso ma in pochi secondi il danno, circoscritto, viene riparato.
Altri due proiettili si conficcano in un polmone. Le nanomacchine si mettono subito al lavoro, paradossalmente è più doloroso il processo di rigenerazione accelerata che la ferita. In poco tempo siamo addosso al gruppo. Sulla distanza ristretta e nel corpo a corpo con le lame siamo avvantaggiati, malgrado il numero. Li eliminiamo in fretta. In quel momento se ne va la luce. Poco male, le lampade di emergenza si accendono quasi subito ma in questo modo mi hanno messo fuori dalla rete delle telecamere. Replico qualche cimice che mando in giro.
Mentre alcuni forzuti si occupano di contenere la porta che il colosso di pietra ha chiuso, gli altri si affrettano a scalare piano dopo piano.
Il sistema è sempre lo stesso. Si blocca la porta, il gruppo passa, si piazzano le bombe, si lascia la porta.
Con questo sistema guadagniamo sei piani. Siamo quasi fuori prima del successivo scontro a fuoco.
Avremo fatto fuori più di 200 nazi, non ce ne dovrebbero essere ancora molti.
Comunque una pattuglia cerca di fermarci all’uscita, mentre sento saltare una porta più in basso.
Cercano di prenderci da due parti.
Comincio a lanciare granate in basso, la mia scorta è cospicua, ne ho saccheggiata un’armeria piena, un po’ di tempo fa. Malgrado ciò non sono una quantità infinita. Serve comunque a rallentare quelli di sotto. Le ammucchio a disposizione di chi resterà indietro e ci muoviamo per tentare di nuovo il nostro giochino di sfondamento. Il gigante di pietra si prende subito un colpo di bazooka in pieno petto che lo ributta giù per le scale. Noi quattro scattiamo sotto il fuoco nemico mentre lui si rialza. I nazi fanno in tempo a ricaricare un’altra volta, la pelle di rettile del nostro compagno regge bene ma l’impatto è sufficiente a ricacciare anche lui indietro. Investe in pieno il gigante biondo, non tra i più fortunati quest’oggi.
Noi due balziamo sui due che badano al bazooka e li sgozziamo, l’arma cade nella tromba delle scale. Intanto gli altri stanno salendo. Facciamo in tempo a sventrarne un paio che il resto fugge. Non hanno nessuna possibilità contro di noi e lo sanno.
Siamo in cima, ci spingiamo con circospezione oltre l’uscita. Anche in basso il rumore degli spari si fa più rarefatto. Forse hanno rinunciato. Certo, e forse io sono un ranocchio di pezza.
È più probabile che si stiano riorganizzando per operare all’aperto. Questo è, comunque, un momento di pausa che sfrutteremo al massimo.
Ci spingiamo fuori. Proprio adesso inizio a sentire la sensazione, quasi una vertigine, dell’inizio della transizione.
- Non controllo i miei spostamenti, ma posso avvertire quando inizia il processo. Entro 10 minuti, al massimo, non sarò più qui. Torno dentro e faccio più casino possibile per coprirvi la fuga. Vi do 5 minuti, forse più, spero vi bastino.
- Li faremo bastare. Addio, spero il tuo viaggio proceda bene.
- Grazie e in bocca al lupo.
- Crepi.
Lascio il piccoletto che si sta gia concentrando nel suo improvvisato comando.
Per quanto possa sembrare impossibile ha ancora il sigaro acceso in bocca dopo tutta questa battaglia. Bene.
Rientro. Lancio le mie ultime due granate lungo la tromba delle scale poi imbraccio il mitra e comincio a scendere, accovacciato.
Scendo tre piani in questa scomoda posizione prima di incontrare qualcuno. O meglio prima che le mie cimici incontrino qualcuno.
Ci sono una decina di guardie appostate al quarto piano. Credo che mi stiano aspettando. Del resto lo scopo delle granate era quello. Dietro la porta del terzo, invece, non c’è nessuno. Rimuovere le granate è un attimo. Aprirla anche. La scosto lentamente, così da non far rumore. Poi tolgo le sicure alle granate e le faccio rotolare giù per le scale. Prima che esplodano ho già richiuso la porta. L’onda d’urto danneggia la cimice. Poco male, per il momento sono qui per attirare l’attenzione e distrarli. Il danno reale dipende solo da quanto tempo riesco a rimanere qui dentro. Scendendo mi sono portato dietro la sacca coi razzi del bazooka. Improvviso una spoletta a strappo, tolgo tutte le sicure ed appoggio con delicatezza la sacca alla porta. Ma è un lavoro fatto in fretta e male, probabilmente non servirà a nulla.
Mi avvio velocemente lungo il corridoio fino alla porta dell’ascensore. È bloccata ma riesco a forzarla. A costo di uno strappo muscolare, però. Bestemmio mentre le nanomacchine riparano il danno.
Tentiamo con la levitazione. In fondo non è un gran volo e peggio della volta scorsa non andrà. Prima o poi imparerò anche questa. Salto, pronto ad afferrarmi alla fune dell’ascensore, operazione fra le più dolorose del nostro mestiere. Non funziona un gran che, ma quel tanto che basta a rallentare la caduta.
Quindi scendo, non tanto lentamente, fino al tetto dell’ascensore. O meglio fino a ciò che ne resta, sventrato dall’esplosione che ha dato inizio alla nostra fuga. Rieccomi al punto di partenza. Scendo fra le lamiere della cabina, esco attraverso la porta contorta e sono di nuovo nella sezione detentiva. Attraverso quello che resta della porta delle scale, raccolgo un po’ della roba sparsa per terra ed inizio a scendere, sempre con circospezione. Il piano sottostante è sgombro. Provo la porta, è ancora aperta. All’interno ferve il lavoro di smantellamento dei laboratori. Apro la porta e sparo una raffica nel mucchio. Poi corro verso il piano sottostante. Prima che si accorgano di qualcosa irrompo sparando anche qui. C’è poca gente, due guardie e tre o quattro scienziati. Cadono subito sotto il mio fuoco. Corro fino alla prima porta aperta. Entro nella stanza sparando, è vuota. Sento le urla delle guardie che stanno arrivando mentre chiudo la porta. Faccio in tempo a piazzare il mio ricordino, uno dei due che mi sono rimasti. Detonatore barometrico, poi ditemi che sono stronzo. Scarico questa storia per te, in una delle cimici destinata a rimanere su questo mondo e salto. Se mai passerai di qua, io ci sono stato. La bomba ad alto potenziale dovrebbe provocare il crollo totale di due o tre piani, espandendo la palla di fuoco anche a quelli superiori, fin quasi alla superficie. La scossa si sentirà da lontano.