PROLOGO: Non c’è bisogno di andare in cielo, Orazio, per scoprire quanto non
conosci… (Mastro Lykeus, 300 dC)
Questa è la cittadina di Revelation, Arizona.
È collegata al resto del
mondo da una strada statale in disuso. Sulla carta, non esiste. Nessuna guida
turistica, anche la più disperata, la cita. La sua unica miniera d’argento non
è di alcun interesse per alcuna compagnia. Il territorio su cui Revelation è
eretta è deserto senza scampo; le escursioni termiche, d’estate vanno dai 45°C
diurni ai -1°C notturni. D’inverno, si può morire assiderati. A suo confronto,
l’ormai abbandonata Benson è una
capitale della mondanità.
Nonostante una simile carta
di identità, Revelation viveva la sua placida, isolata esistenza dal 1701.
Pochi stranieri della Calico Corporation si
erano fatti avanti per l’argento, ma alla fine le condizioni ambientali li
avevano scoraggiati irrimediabilmente.
Agli abitanti, andava bene
così allora come oggi.
Una settimana fa, Revelation
era stata attaccata da una nave spaziale proveniente dal Microverso. Scopo degli invasori: distruggere il pianeta Terra,
partendo proprio dalla pacifica cittadina. Solo l’intervento dei potenti Shogun Warriors[i]
e di Stargod aveva impedito il
peggio.
Anche se la battaglia non si
era svolta senza danni, alla cittadinanza non dispiaceva più di tanto: non
c’erano stati morti, ed almeno avevano qualcosa da fare. Veniva un po’ a noia
aspettare che i tempi cambiassero, per adattare ad essi lo stile architettonico
locale. O quasi. Agli abitanti di Revelation piaceva restare almeno un secolo o
due indietro, giusto per amore dei bei tempi andati.
A tutti gli abitanti. Tranne
uno.
MARVELIT presenta
di
Valerio Pastore
Episodio 1 - COMPAGNI DI VIAGGIO (I parte)
Quest’uomo aveva due nomi,
due identità. Entrambe erano ben conosciute a Revelation, ma una di esse
era…più comoda, per la vita quotidiana.
Tale era l’aspetto ed il nome
di Solomon Quinn, da diciotto anni
cittadino con merito di Revelation. Un uomo di grande genio, che aveva devoluto
la propria mente a pensare al sistema difensivo del paese…e ad aprire un
negozio di riparazioni all’angolo fra Devotion St. e Wolf Creek St.
Oggi, Quinn era in ferie.
Anche se aveva giurato di usare il proprio sapere solo per migliorare la
propria vita e quella dei suoi concittadini, gli era stato difficile resistere
alla nuova sfida che il destino gli aveva presentato. E così, adesso, si
trovava nel laboratorio di casa sua, intento su un paziente molto speciale,
persino per gli standard di Revelation…
Il ‘paziente’ in questione
era un gigante: tre metri di muscoli e di acciaio di una bioarmatura simbiotizzata
alla squamosa carne blu. La creatura apparteneva ad una categoria fra le più
pericolose dell’Universo: era un Annichilatore,
una pura macchina di distruzione, un tecno-organismo concepito per seminare
morte.
La sfida era riuscire a
trasformarlo in un campione della vita. Un’impresa che solo poche menti elette
avrebbero osato raccogliere. Quinn era una di esse.
Da una parte, il lavoro era
facile: questo modello si era già adattato per interagire con l’ambiente della
Terra. Non aveva bisogno di modifiche.
Meno facile era programmarlo:
si trattava, da questo punto di vista, di una sfida meramente intellettuale. Un
Annichilatore era letteralmente telecomandato dalla sua nave-madre. Senza di
essa, era solo un guscio vuoto e senza intelligenza. Dargliene una era come
armare un missile con la più potente testata nucleare: uno sbaglio, e le
sofferenze recenti, le sofferenze di Quinn e della sua famiglia, sarebbero
state vane… “Miranda, ho bisogno dell’unità E6-3rD.” Niente ‘per favore’, il
che voleva dire ‘subito’. Quinn stese una mano col palmo in su.
Una specie di scatola nera fu
posata sul palmo. “Grazie. Ora…*?*” Con la coda dell’occhio, l’uomo si accorse
che a dargli l’oggetto era stata una mano coperta di brune scaglie, dalle dita artigliate, tozza. Inumana.
Quinn sospirò. “Figliola, lo
sai come la penso sulle apparenze.” Pronunciò quella frase con un tono
rassegnato, ma bonario come il suo sorriso.
Quinn aveva due nomi, due
identità. Sua figlia preferiva l’altra, ed ora appariva come il culmine
evolutivo di un velociraptor. Il muso
era più schiacciato, rotondo, per permettere una visione stereoscopica, ma le
gambe erano a postura digitigrada, e con il caratteristico grande artiglio a
uncino. Le sue scaglie erano di due sfumature di castano, mentre la cresta era
fatta di ispida peluria.
Non sembrava esserci traccia
di sentimenti gentili nella sua espressione ulteriormente accentuata dalle
zanne scoperte. La sua voce era sincronizzata a tale espressione. “E tu lo sai
come la penso io, papà. Qui siamo nel nostro territorio, i mammiferi non
possono imporci i loro costumi anche qui.”
Quinn tornò a lavorare ai
terminali, i cui cavi spuntavano dal corpo dell’Annichilatore come un sistema
di circolazione sterno. La sua espressione si fece più accigliata, e non solo
per la concentrazione. “Non posso impedirti di avere opinioni, Miranda, ma
desidero che tu la smetta di pensare ai nostri concittadini come ad avversari.
Dobbiamo loro il nostro bene più prezioso, la nostra vita, e la nostra libertà.
Sono la nostra famiglia, e non meritano il tuo sarcasmo.”
La pelle della giovane
rettiliana assunse le sfumature della vergogna, mentre lei chinava il collo. Il
suo corpo trasmise i suoi sentimenti anche sotto forma di odore.
Era solo frustrata. Era
giovane, impetuosa e testarda come sua madre. Bramava nuovi panorami,
avventura…Era nel DNA della loro specie, e se non le avesse permesso di
sfogarsi, avrebbe finito non solo col perderla comunque, ma solo un’irrimediabile
amarezza avrebbe accompagnato quella separazione…
In quel momento, si udì una
specie di cinguettio misto a dei sibili -un verso studiato per l’udito di
Quinn. Poi, il volto di un altro rettiliano apparve sotto forma di ologramma.
“Capitano, ho una chiamata sulla linea 3. Si tratta di un mammifero maschio
dominante…È un certo Alexander Thran.
Dice di…”
“Solo un momento,” lo
interruppe Quinn senza togliere gli occhi dalle cascate di dati. “Miranda, per
favore, esci. E attiva lo schermo, se esci di casa.”
Miranda obbedì quietamente.
Una volta chiusasi la porta,
Quinn disse all’olo del suo sottoposto, “Passalo, Zed.”
Un attimo dopo, l’ologramma
del rettile fu sostituito dalla figura impeccabile di un uomo di circa
quarant’anni, dai tratti misti occidentali ed orientali. “Possa la luce
splendere calda sulla vostra vita, Capitano,” disse Thran, facendo un inchino.
“Ho saputo che l’Evento si è svolto esattamente come previsto, con i suoi
dovuti…frutti.” Osservò ammirato il corpo dell’Annichilatore.
Quinn continuò a lavorare ai
terminali. Le sue dita danzavano veloci sulle tastiere fotoniche. “Sta
chiamando per assicurarsi il mio appoggio al Progetto Exodus?” Rispettava molto quel mammifero e le sue idee, ma
non saltava di gioia all’idea di coinvolgere il suo pulcino in una serie di
azioni pericolose e dalle prospettive incerte. Tali e tante erano le pedine
coinvolte, che Thran doveva agire come il più preciso direttore d’orchestra 24
ore su 24 e con un margine di errore quasi nullo…
Thran sorrise come una serpe.
“Sulla sua fedeltà non ho dubbi, Quinn. Soprattutto considerando i vantaggi per
il futuro della sua specie. È dell’imprevisto, che non mi fido. È sulla
sfortuna, che tengo un terzo occhio e due altre paia di orecchie. Ci sono
complicazioni con il…reperto?”
“Nessuna. Ancora un paio di
giorni al massimo, e sarà pronto…Ma continuo a chiedermi perché M’rynda…” ecco!
Aveva di nuovo usato il nome della figlia con la cadenza della lingua nativa.
Era sempre così, quando si preoccupava per lei, cioè 9 volte su 10. Il suo
pulcino era l’unica cosa che gli restava della sua amata Yssa e, insieme a Zed,
del loro mondo, Z’Lyztaya…
“Ne abbiamo già discusso,
Quinn. M’rynda è il futuro, e deve essere pronta a viverlo con tutti i rischi
che comporta. Non può e non deve arrivare impreparata al giorno in cui il
Progetto giungerà al termine della Fase 1.”
Quinn non interruppe il suo
lavoro. Se lo avesse fatto, poteva non trovare il coraggio di riprendere.
La cosa più triste era che
Thran aveva ragione: non c’erano alternative, almeno per lei. Per il futuro.
“Concedimi almeno di metterle Zed al suo fianco.”
“Non
dovevi neanche chiederlo. So che saprai fare le scelte migliori, per lei, alla
fine. Buon lavoro e buona fortuna, Capitano.” L’ologramma si spense.
Se la sola flora per chilometri
intorno a Revelation consisteva solo di cespugli rotolanti e cactus, e qualche
miracoloso ciuffo d’erba, la fauna non era certo messa meglio. In distanza, si
poteva udire ululare, occasionalmente, qualche coyote, ma i versi venivano da
lontano. Qui, neanche gli avvoltoi avevano il coraggio di passare.
Per questo, la presenza di un
maschio di lupo in corsa lungo la statale era come minimo insolita. La bestia
era di un colore rossiccio, agile e robusta, e mentre correva la lingua le
penzolava dalla mascella.
Giunto a una macchina della
polizia parcheggiata al fianco della carreggiata, il lupo si fermò. Annusò
attentamente l’aria…e, in un batter d’occhio, come se un’immagine fosse stata
sovrapposta all’altra, al suo posto c’era ora un uomo! Un uomo di circa 45
anni, con il volto segnato dal sole del deserto, la testa coperta da un
cappello beige, con indosso una divisa dello stesso colore. Sul suo petto
brillava la stella dello Sceriffo di Revelation. Alla cintura portava manganello
e pistola.
Non fece nulla. Si appoggiò
alla sua macchina, calcò il cappello sugli occhi, ed attese.
Pochi minuti dopo, una nube
di polvere annunciò l’arrivo del veicolo che il lupo aveva percepito: un
vecchio pickup rosso Ford. Il veicolo procedeva ad una velocità di tutto
rispetto, tradendo un cuore molto forte dentro una carrozzeria con qualche
ammaccatura di troppo.
Lo sceriffo si mise in mezzo
alla strada. Estrasse e sollevò una paletta, tenendola alta.
Il veicolo iniziò una
lunghissima frenata, lasciandosi dietro parecchia gomma, ed arrivò a fermarsi
ad un metro dai piedi del rappresentante della legge.
Dalla cabina a vetri scuri
venne una sonora bestemmia. “Maccazz..!” poi il conducente si sporse fuori. Era
un uomo grosso modo dell’età dello sceriffo, con un gran paio di baffoni
bianchi. Era di costituzione robusta, con una marcata stempiatura, e un paio di
occhiali da sole a specchio. Vestiva una specie di uniforme azzurra di taglio
militare, e fumava ostentatamente un sigaro Cubano. Accanto a lui, sedeva un
enorme cane-lupo grigio e nero con gli occhi più cattivi che uomo avesse mai
visto. Era tutto muscoli come il suo padrone, non un filo di grasso. Dietro di
loro, sulla parete, stava un fucile perfettamente tenuto. “Insomma, capo! Non è
che stavo mettendo a rischio la sicurezza nazionale in ‘sto buco. Stavo facendo
solo una gara con la signorina, giusto per ravvivare il mortorio!”
“Non vedo nessuna
‘signorina’, mister. Favorisca patente e libretto e porto d’armi, prego. Il ‘wolfdog’
è suo?”
“Nessuna..?” l’uomo si guardò
intorno con aria decisamente sorpresa. Se recitava, meritava un premio…
Lo sceriffo si schiarì la
gola.
Il conducente non commentò,
ma porse i documenti. “Cerberus ed io
siamo inseparabili, capo. Come i poliziotti.” Ridacchiò, ma era una risata
vuota, formale. La stessa frase era stata pronunciata con un tono che diceva
‘prova a mettergli le mani addosso, e ti sego’. Nella maggior parte degli USA,
vigevano leggi molto severe che proibivano anche solo il possesso di questi
incroci, ritenuti anche più pericolosi dei pitbull o dei rottweiler; O.Z. Chase
di quelle leggi, e di diverse altre, se ne fregava altamente. E aveva diverse
armi per sottolineare tale punto di vista.
Lo sceriffo esaminò i
documenti, annuì un paio di volte, poi li restituì a Chase. Il suo volto era
una maschera flemmatica. “Le chiedo scusa per averla fermata, ma Revelation è
un posto tranquillo, e gli stranieri li teniamo d’occhio con molta cura.
Prosegua per altri cinque chilometri, poi svolti a destra; si troverà sulla
Main Street. La percorra fino alla Middle Square, e lì troverà il municipio. Il
Sindaco Tredaine l’attende. Benvenuti a Revelation, signori. Io sono Derek
Trainor.”
“Piacere nostro, capo…” Era
la prima volta che O.Z. sentiva qualcuno rivolgersi a Cerberus come fosse stata
una persona…ed era anche la prima volta che il suo mastino se ne stava buono
buono e sottomesso; di solito era lui, a fissare gli altri e a mettergli
addosso il timor di Dio…
Forse era il caldo. Cerb era
tosto, ma erano due giorni che girovagavano per quel deserto, e il climatizzatore
si era pure scassato il giorno prima…
Chase riavviò il veicolo.
Percorse una cinquantina di metri, assorto nei propri pensieri, quando,
all’altezza di una curva una clacsonata fece sobbalzare lui e ringhiare
Cerberus.
L’automobilista era tornata…O
meglio, sicuramente quel SoB di Trainor le aveva permesso di passare a spese di
lui. Ma, alla fine, poco importava. Non capitava tutti i giorni di potere fare
una gara di velocità con uno schianto di pollastra alla guida di una Corvette
decappottabile Rossa del ’68. Chase se ne intendeva, di macchine, e quel
cavallo odorava ancora di cuoio fresco, e il suo motore faceva le fusa.
Del resto, lui stesso avrebbe
fatto le fusa se avesse potuto trovarsi a contatto con una bionda naturale con
le spalle scoperte, i calzoni più attillati del west e più curve di quante
consentite dalla legge. E che guidava da Dio: per quanto lui premesse
sull’acceleratore, e lo aveva truccato a dovere, il motore, lei continuava a
mantenere la distanza di sicurezza. E per giunta, ogni tanto, si metteva a
strombazzare in modo provocatorio. E quando lui faceva per superarla, lei gli tagliava
la strada come una vera professionista, costringendolo a delle manovre
pazzesche per salvarsi la pelle
La gara andò avanti per una
decina di minuti; a quel punto, Cerberus abbaiò con un profondo vocione.
“Che c’è, ragazzo…Oh, ci
siamo.” Fece una svolta rapida a destra, e si infilò sulla stradina che portava
a Revelation. Si sporse e voltò la testa per salutare la sua rivale in velocità…Ma
lei non c’era più. Neppure una nuvoletta di polvere o una nota dal suo motore.
Scomparsa su un rettilineo dritto a perdita d’occhio.
“Tipa strana. Obbe’, tanto ne
abbiamo viste, di stranezze, vero, giovanotto?” e arruffò il collo
dell’animale, che rispose con un brontolio.
Chase tornò a dedicarsi alla
sua destinazione –niente da dire, Revelation era davvero il classico sputo nel
deserto. La strada si collegava direttamente alla Main. Il limite di velocità
era talmente basso che c’era da scommettere che in nessun altro posto del mondo
civilizzato si poteva trovare una simile lentezza…
Cerberus uggiolò, alla vista
di un calesse. Chase lo guardò come un archeologo guarda una rara scoperta. I
veicoli, in città, erano pochi e se andava bene di una decina di anni prima i
più nuovi. Alcuni edifici erano in riparazione, ma si respirava un’aria
sonnacchiosa che spinse uomo e cane a sbadigliare allo stesso tempo.
Il veicolo giunse
all’ingresso della Middle Square. C’erano gli spazi per i parcheggi, ma c’era anche
un segnale di divieto d’accesso per i veicoli a motore. Chase fermò il veicolo
in uno spazio. Non c’erano pensiline o affini, il che voleva dire che la
macchina avrebbe potuto anche esplodere spontaneamente, tale era il calore.
Quindi, regolamenti comunali o no, col piffero che avrebbe lasciato Cerb
nell’abitacolo!
Chase scese, e fece un
fischio al mezzolupo di seguirlo. L’uomo osservò l’edificio eretto al centro
della piazza: era indubbiamente il municipio, ma loro, indubbiamente avevano
bisogno prima di un bel R&R; e l’insegna di un negozio all’angolo, sulla
destra, prometteva bibite e gelati. Di bene in meglio!
Arrivati all’ingresso,
Cerberus si mise diligentemente seduto a fianco della porta. Chase spinse, ed
entrò, accompagnato da un argentino scampanellio.
“Che mi venisse…” varcando la
soglia, O.Z. ebbe davvero l’impressione di fare un passo indietro nel tempo. Il
locale era almeno quattro in uno, come nei secoli scorsi. La vetrina, accanto
all’ingresso, dava su un bancone d’emporio. Le scansie dietro il bancone erano
occupate dai vecchi ‘boccioni’ per spezie, caramelle, cacao in polvere,
zucchero e farina, più contenitori di generi alimentari di marche assolutamente
sconosciute a O.Z., ma tutte di un design che richiamava ai bei tempi che
furono. In angolo, come prosieguo del bancone, c’era il bancone del bar, con le
sue luccicanti leve di ottone e coperchi del gelato.
Dalla parte opposta, stava
l’emporio del barbiere, completo di tutto quello che serviva tranne di un
qualunque attrezzo ad energia elettrica. La quarta ‘stanza’ era separata dalle
altre da un divisorio, ma si sentiva un vago odore di medicinali…
“Bel cane, straniero,” disse
una voce. O.Z. si voltò, e vide un omino in piedi al bancone del bar. Doveva
avere gli anni di Noè, portava una camicia bianca ed un gran grembiule
immacolato. Era calvo come un uovo, e i suoi baffetti erano grigi e ben curati.
Era talmente parte di quell’ambiente da esservi mimetizzato!
“Grazie,” rispose O.Z. “Er,
me la può fare una coppia doppio cioccolato e soda? Con ciliegia in cima, se si
può.”
L’omino ridacchiò. “Amico, il
vecchio Ned non ha mai lasciato un cliente insoddisfatto. Non una sola volta.”
Dopo avere preso un gran coppa conica, Sollevò un coperchio, prese una paletta
e iniziò a lavorare con gesti collaudati. In un paio di minuti, aveva preparato
un capolavoro che diceva ‘mangiami’.
O.Z. si mise seduto al
bancone. Sullo sgabellino accanto al suo stava un giornale ripiegato; lo prese,
e lo spiegò. Guardò la data, per assicurarsi di essere ancora nel 21mo secolo
–sì, la data era giusta. In compenso, si trattava proprio di un foglio[ii],
un po’ più largo del formato standard, stampato fitto fitto su entrambi i lati.
Il titolo proclamava orgogliosamente ‘Revelation Weekly Courier’ – ç50
Un settimanale, per giunta
con metà dello spazio occupato da notizie locali. Mangiando il gelato, O.Z. non
seppe se invidiare questa gente o compatirla…Ma chi gliel’aveva fatto fare, di
accettare un invito per un impiego in questo posto dimenticato anche dal
Diavolo? Oh, già, i soldi. Non era più un ragazzino, e gli ‘indipendenti’ come
lui, con le nuove leggi antiterrorismo, non erano proprio ben visti…
Finito il gelato, O.Z. disse
al vecchietto –ma non si metteva mai
seduto?- “Di’, puoi prepararla una ciotola d’acqua e un pezzo di carne cruda
per il mio ragazzo?”
Il vecchietto ridacchiò di
nuovo. Sembrava di sentire un fantasma allegro. “Amico, posso dargli da
mangiare l’intero negozio, se avesse uno stomaco abbastanza capiente.”
Ridacchiò, e si diresse nel retrobottega. O.Z. lo sentì armeggiare, e poi si
udì il suono dell’acqua corrente. Fuori, Cerberus aspettava paziente, seduto e
vigile –del resto, se non fosse stato sfamato e dissetato presto, se lo sarebbe
cercato da solo, il cibo, e sarebbero stati cavoli acidi.
Ned tornò. In una mano
reggeva una gran ciotola metallica piena d’acqua, e nell’altra un piatto con un
bistekkone che sarebbe potuto bastare per una tavolata. Però, era forte il
vecchietto, e camminava con la schiena dritta e senza la minima traccia di
artrosi. Andò all’uscita, e, aperta la porta, depositò acqua e carne ai piedi
di Cerberus. Il wolfdog squadrò l’offerta, diede una veloce annusata, e decise
che andava bene –un gatto sarebbe stato meno schizzinoso.
O.Z. decise che l’atmosfera
di quel posto era contagiosa: se un estraneo provava a dargli da mangiare,
Cerberus si mangiava come minimo la mano dell’estraneo…
“Spero che l’ospitalità di
Revelation sia di suo gradimento, Mr. Chase.”
Alle sue spalle. Preso di
sorpresa, di nuovo! Sì, doveva farsi un Gerovital, se continuava così. “Almeno
nessuno ha cominciato a puntare i fucili su Cerberus, il che mi va bene. E lei
sarebbe..?”
‘Lei’ era davvero una lei:
una donna anziana, modellata dalla vita dura dei campi, con i capelli crespi
bianchi e una pelle bronzea e rugosa nei punti giusti del volto. Mani callose,
da lavoratrice. Corporatura media, non era molto alta, ma non importava: quella
era una che poteva fissarti negli occhi e farteli abbassare. La donna sfoderò
un caldo sorriso e la propria destra, ricambiata da O.Z. “Martha T. Tredaine,
Sindaco di Revelation. Consideri il caro Ned un’eccezione alla regola: qui gli
stranieri non sono merce genericamente bene accetta. Ma se lei sa tenere un
animale come Cerberus in simili, eccellenti condizioni, allora non deve essere
un cattivo soggetto. Dia retta a me, giovanotto: dia loro un po’ di tempo, e
sarà più che benvenuto.”
“Grazie…credo.” Si toccò la
falda del berretto. “Le chiedo scusa per non essermi presentato subito come ha
detto lo Sceriffo, ma avevo bisogno di rifarmi un po’, dopo…”
“Sciocchezze,” sorrise
Martha. “Adesso vada all’Albergast.
E’ il nostro albergo, e hanno una cucina casalinga degna di tal nome. Girate
pure per la città, ma possibilmente a piedi; noi ci vedremo domani mattina alle
nove in punto. E ora, se mi vuole scusare…” un rapido inchino, e si diresse
verso l’uscita. Cerberus commentò con uno sbuffo.
O.Z. fece spallucce. Ai
villici potevano non piacere gli stranieri, ma l’amministrazione, apparentemente,
non aveva problemi con i tipi come lui…E poi, cosa faceva pensare a quella
vecchietta che lui avrebbe accettato l’offerta di lavoro?
Le parole del Sindaco si
erano mostrate più che veritiere. Per tutto il tempo impiegato dalla coppia per
esplorare Revelation, le occhiate diffidenti non si erano certo sprecate.
Inutile anche solo avvicinare qualsiasi locale: i corpi degli altri parlavano
di diffidenza al cubo. Neppure nel cuore più profondo della Sicilia aveva
trovato una simile riservatezza; il che non faceva che alimentare la sua curiosità.
Quel posto non aveva nulla di materialmente interessante! Cosa temevano?
Che si mangiasse le loro ragazze?
Camminando, Chase e Cerberus
erano arrivati al termine della Main Street. La strada si trasformava in una
‘T’. Un breve ramo frontale, un sentiero sterrato, portava ad una maestosa
villa bianca, lussuosa. L’edificio era circondato da un giardino
eccellentemente curato, l’unica oasi di verde in quel posto; Chase la guardò
con grande desiderio… “Ehi!”
Improvvisamente, Cerberus era
scattato in avanti! La recinzione era una semplice staccionata bianca, bassa, e
l’animale la superò con un salto. La porta sulla veranda era aperta -erano
finiti nell’unica abitazione i cui abitanti erano immuni alla diffidenza, santa
ciucca!- e Cerberus schizzò dentro.
O.Z. era arrivato sulla
soglia, quando udì l’ululato -il botolo era su una pista!
Dentro, era come stare in un
museo. L’ambiente profumava di legno curato, i pavimenti di detergente. Tutto
era tirato a specchio, i mobili erano pezzi originali di almeno 200 anni, li
sapeva riconoscere. Così come sapeva riconoscere l’odore del suo cane, che
seguì lungo un labirinto di corridoi…Certo che era grande, il posto: non gli
era sembrato, visto dall’esterno… “Ehi, botolo dei miei stivali! Che cavolo ti
è preso?”
Cerberus se ne stava in piedi
nel mezzo dell’ennesimo corridoio, esattamente di fronte a una parete.
Uggiolava, e muoveva una zampa come a volere chiamare qualunque cosa percepisse
là dietro.
Chase si tolse il berretto, e
si grattò la testa. Conosceva Cerb abbastanza bene da fidarsi del suo istinto:
e se lui non vedeva niente di strano, in quella parete, allora si stava
sbagliando. Tuttavia… “Senti, bello, qui siamo in piena violazione di
domicilio. Se non ce ne andiamo subito, finiremo nell’albergo dello stato. Ora,
coraggio, e…” si era chinato per afferrare il collare del cane…quando,
improvvisamente, la parete scomparve. Così, senza un suono, senza botti
di luce. Puf, un momento, e al suo posto c’era una porta sull’impossibile!
“Santa ciucca…” Va bene che
poteva avere sottostimato le dimensioni della villa, ma questo era
davvero troppo.
O.Z. Chase e Cerberus si
trovavano sulla soglia di una fottuta giungla. Una roba che neppure in
Amazzonia l’uomo aveva visto…e, per giunta, una roba chiusa da una cupola che
sembrava senza fine. La cima doveva trovarsi a 80 metri di altezza. L’aria era
satura di umidità e di un odore estremamente forte di vegetazione ed animali.
Era ufficiale: avevano appena
varcato la soglia sui Confini della Realtà.
Una parte di O.Z. avrebbe
voluto svignarsela in fretta…ma l’altra era curiosa, quella stessa curiosità
che lo aveva ficcato nei guai un casino di volte. E poi, aveva la sua pistola,
Trish. Si affrettò a tirarla fuori. Cerberus si mosse, con cautela, il pelo
della schiena dritto, ma silenzioso come la morte.
Avanzarono in quella immane
serra, facendo attenzione ad ogni singolo passo, i sensi tesi al massimo…
“Fate ancora troppo rumore,
mammiferi.”
Si voltarono di scatto! “Di
qua,” fece la voce, gutturale, inframmezzata da ticchettii, sibilante. E questa
volta veniva da un’altra direzione.
Cerberus mantenne una
posizione. O.Z. coprì l’altra direzione.
Un fruscio di foglie, da
un’altra direzione ancora. “Patetici.”
“Chiunque tu sia, amico,”
disse Chase, che ormai si era abituato a quel ‘gatto-e-topo’, “hai fatto appena
una fesseria di troppo: hai perso la sorpresa. Se ci volevi attaccare, dovevi
farlo prima. Trish è un’automatica, e ti posso assicurare che è stata
modificata per fare male.”
Altro frusciare, da due
direzioni contemporaneamente. C’era un qualche animale, ed era veloce! “Tipico
di voi mammiferi ‘dominanti’: le armi come prima risposta. Sei un intruso in
casa nostra, e vorresti anche conquistarla?”
“La mia intrusione in casa è
stata del tutto involontaria, mister. Quanto all’essere qui, sei stato tu ad
aprire la porta. Io stavo per andarmene…E puoi stare certo che non me ne andrò[iii],
adesso, senza farti venire un po’ di acidità di stomaco. Se provi a fare il
furbo, s’intende.”
I fruscii si fermarono. Uno a
destra e uno a sinistra.
Poi, la vegetazione sembrò
esplodere! I due animali si mostrarono…e persino a Cerberus quasi venne un
coccolone. Chase dovette fare uno sforzo per non fare cadere la pistola. In
compenso, quasi tranciò il sigaro in due.
Gli animali erano animali,
oh, sì…ma erano anche due fottuti, grossi dinosauri. Certe cose alte un
paio di metri simili ai ‘raptor, e sembravano anche più cattivi!
Da dietro un tronco d’albero
ne venne un terzo. Era più piccolo, grosso modo dello stesso colore, e…portava
una tuta!
Senza togliere gli occhi di dosso
da quelli di Chase, la creatura si avvicinò ad uno dei due bestioni, e iniziò
ad accarezzarlo lungo la gola. Se fosse stata una donna, quella posa sarebbe
stata sexy… “Siete stati ‘invitati’ qui per una ragione precisa, mammiferi:
considerate tutto questo come un test, un esame. Se sopravvivrete,
vivrete. Se fallirete…be’, potete immaginarlo.”