PROLOGO: Ungava Bay,
Northern Quebec, Canada
Vista dall’alto, la vallata era
solo l’ennesimo cumulo di neve e ghiaccio, niente di cui preoccuparsi, a meno
di finirci dentro senza poterne uscire se non a piedi, molto, troppo lontani
dalla civiltà.
Ufficialmente, non c’erano
risorse naturali di interesse, ad Ungava Bay. E se anche ci fossero state, per
ora l’interesse delle grandi compagnie Americane e Canadesi era diretto a
terreni più accessibili e dal clima meno aspro.
Eppure, pochi anni fa, Ungava
Bay era stata il teatro di una catena di eventi che, semplicemente secondo un
capriccio, potevano portare al più grande cambiamento nella storia e nel futuro
dell’umanità che chiunque potesse immaginare.
Cosa c’era ad Ungava Bay, per
giustificare tali eventi? Semplice: la stessa cosa che ora stava guidando una
nuova manifestazione a mostrarsi nel cielo limpido e gelido come un diamante.
La manifestazione apparve
sotto forma di luce, dapprima con la forza di un nuovo sole, così intenso da
dissipare all’istante il più vicino banco di nuvole. Poi, rapidamente, il sole
si attenuò. Si trasformò, da sfera a cerchio. La luce si attenuò ancora,
rivelando una causa davvero insolita di tale fenomeno.
Il cerchio era composto di
sei creature che un tempo erano state umane. Cinque uomini e una donna, uniti
dall’energia che erano diventati. Sopra di loro, splendeva il simbolico
cervello che rappresentava le loro menti unite.
“Stiamo per fare un passo
molto importante,” disse uno degli ‘uomini’.
Ci fu un assenso collettivo,
poi sei ‘bocche’ parlarono come una sola. “Noi siamo pronti. Dobbiamo farlo, dovevamo
farlo da tempo. È la cosa giusta da fare.”
L’energia fluì dall’entità
collettiva verso il suolo. La neve fu vaporizzata. Il vapore era molto fitto,
ma non riusciva a nascondere completamente una serie di frammenti piantati nel
terreno, frammenti delle più svariate forme, ma tutti disposti in una precisa
formazione
Continuando a fluttuare,
immerso nel vapore, il cerchio si portò al centro della valle..
Un’altra ondata di energia rimosse
ogni detrito da un cerchio nel terreno, un cerchio che si rivelò essere un
pozzo. Un pozzo che divenne sempre più profondo. E quando sembrava che l’entità
collettiva volesse scavare fino al centro stesso della Terra, l’emissione
energetica si fermò, lasciando miracolosamente le pareti di viva roccia fredde.
L’energia si era ritirata,
eppure qualcosa brillò in fondo al pozzo. Brillò di una luce pulsante,
come un battito cardiaco.
Il momento era giunto.
Bisognava agire in fretta.
Per la salvezza del mondo.
MARVELIT presenta
di
Valerio Pastore
Episodio 1 - LA NUOVA CONVOCAZIONE
Da quel momento erano passati
poco meno di 60 minuti, e già una freccia d’argento sfrecciava per i cieli
dell’Alaska: si trattava di un Quinjet, il veicolo da trasporto standard
dei potenti Vendicatori.
“Niente da ridire: le
modifiche apportate da Tony sono all’altezza delle promesse,” disse il pilota
dell’apparecchio, Wanda Maximoff, alias Scarlet. “Avevamo proprio
bisogno di apparecchi più veloci, per rispondere più efficacemente alle
segnalazioni di emergenze. E questa segnalazione meritava parecchia
attenzione: la rete energetica posta intorno al sistema Terra-Luna da Quasar
aveva rivelato una massiccia presenza di energia su Ungava Bay, un tracciato
sconosciuto persino al loro ben ampio database…
Accanto alla strega mutante
sedeva un’entità umana nella forma, ma composta di pura energia ionica: il
Vendicatore Wonder Man, intrappolato in quello stato dopo la loro ultima
battaglia con Null[i].
“Veloci o no, non credo sia
stata una buona idea muoversi senza altro appoggio, Wanda,” disse lui, fissando
l’orizzonte. “Capisco che sia necessario dare una pronta risposta, ma questo,”
e indicò il pannello, dove un quadrante stava andando fuori scala, “potrebbe
essere più di quanto possiamo gestire.”
A quelle parole, il volto di
Wanda si fece determinato. “Credimi, Simon: sono lontani i tempi in cui il mio
potere era o erratico o insufficiente al bisogno del momento. Chiunque ci sia
dietro a questo fenomeno, sapremo gestirlo. Se avremo bisogno di aiuto, lo chiederemo.”
Simon
annuì, ma dentro di sé si sentiva preoccupato dall’atteggiamento di lei. Era
successo qualcosa, era come se si fosse aperta una porta su una donna mai vista
prima…
Poi,
non ci fu spazio mentale per altri pensieri, salvo uno solo, “Mioddio!”
Le
ultime montagne della catena scorsero via, rivelando la maestà di una cittadella! Torri svettanti, guglie
dai fini intarsi, edifici di un’architettura che nessuna civiltà avrebbe potuto
produrre, un misto di stili antichi, fiabeschi, e di modernità futuribile.
Tutta la struttura, nel complesso, era come una grande isola, a pianta perfettamente
circolare delineata da massicce mura dorate e fregiate.
“Credo
che Dio c’entri poco, Simon,” disse Wanda, manovrando per rallentare. Alcuni
indicatori indicavano un clima esterno di esattamente 25°C, temperato, una vera
e propria oasi nel rigido clima artico. Il solo spazio per atterrare era lo
spiazzo erboso intorno alla cittadella-isola. “Cosa dicono i sensori, sulla
vita laggiù?”
“Danno
sempre fuori di matto. Neanche Tokyo nell’ora di punta registra simili
valori…Ehi, cos’hai?”
La
presa della mani di lei sulla cloche si era accentuata, e tremavano. “Non lo
so. È come se una parte di me fosse…aggredita da un potere esterno. Niente di
grave, è solo come un forte mal di stomaco.” Solo per prudenza, comunque,
attivò il pilota automatico.
Quando
l’apparecchio fu a terra, Wanda uscì per prima. Il ‘mal di stomaco’ non stava
migliorando, anzi, peggiorava, ma non era ancora giunto ad uno stadio che
dovesse preoccuparla. Riusciva benissimo a stare in piedi, pronta a combattere.
Dietro di lei, Wonder Man era pronto a sostenerla.
Erano
dei moscerini, di fronte alla maestà della cittadella. Avanzarono, ma dopo
pochi passi, una voce sopra di loro li fermò. “Vendicatori, non proseguite
oltre, o lei morirà.”
Si
voltarono a guardare la figura femminile, avvolta dalle fiamme. Aggraziata,
bellissima, una dea in forma mortale; la sua voce era carica di preoccupazione.
La
creatura atterrò davanti a Wanda. Le fiamme intorno a lei si spensero,
rivelando un abito rosa corallo, con guanti, spalline, cintura ed elmo dorati.
Sotto l’elmo, i suoi capelli erano rossi come il fuoco. La sua posa, il suo
tono, tutto di lei suggeriva una grande pacatezza interiore, non arroganza. “Io
sono Anodyne. Perdonateci, nobili eroi,
per non avervi avvertito.”
“Avverti…to?”
Quella donna doveva essere la causa del suo malessere, lo sentiva! La tensione
della strega fu solo comprensibile, quando una mano guantata si posò sulla sua
fronte; per un momento, il tocco bruciò dentro di lei! Poi, una fiamma calda,
piacevole, si estese lungo il suo corpo, e la strega recuperò le proprie forze
d’un colpo. Wanda ora perfettamente lucida, si accarezzò una tempia. “Non posso
dire di non essere riconoscente, ma…chi sei? Anzi, chi siete, visto che hai
parlato di un ‘noi’?”
Anodyne
annuì. “Io sono parte dell’entità che voi conoscete il Combinio. Siamo i responsabili
della rinascita di questa Cittadella, Superian.
“L’ultima
volta che ci siamo incontrati, Vendicatori, la vostra formazione era diversa, e
con voi c’erano il Protettorato del Popolo e Alpha Flight[ii]. In quell’occasione,
cercammo di dare il nostro contributo al destino del mondo con un atto di
morte. Una volta compresi i nostri errori, decidemmo di usare il nostro nuovo
stato divino per esplorare il Multiverso, imparare di più.
“Alla
fine, abbiamo deciso di tornare qui. Tutta la conoscenza del cosmo non poteva
essere di alcun aiuto, se l’Uomo non avesse imparato che ci sono vie migliori
della distruzione insensata, per trovare l’armonia e la pace con sé stesso ed
il mondo che lo circonda.
“Ma
comprendiamo anche che l’imposizione di un aiuto non avrà altro risultato che
peggiorare le cose. Sappiamo bene quanto sia vero, perché anche noi eravamo
umani, una volta.
“La
cittadella che vedete ospitò una volta nove esseri umani. Uomini e donne che
furono benedetti da un Dio Asgardiano per portare un dono di felicità sul
mondo. Ma il dono era corrotto, e invece della pace, questa valle fertile fu
teatro di una guerra. L’occasione fu perduta…fino ad oggi.
“Vogliamo
riunire quelle persone, Ms. Maximoff e Mr. Williams. Questa volta, sotto la
nostra tutela, esse sapranno fare quello che non fu fatto allora.”
Wanda
osservò la torre più alta di quello strano, ordinato mosaico edilizio. “Il
potere custodito in quel luogo è responsabile della mia debolezza? Influisce
sulla magia?”
Anodyne
annuì, tristemente. “Liberarlo nel mondo avrebbe conseguenze terribili: uomini
e mutanti avrebbero pari poteri e perfezione fisica, ma gli esseri umani perderebbero
la loro fantasia, la loro immaginazione, la capacità di andare, con la loro
fantasia, oltre lo stato di perfezione già raggiunto. Questo effetto non si
applicherebbe ai mutanti, e potete bene immaginare quali conflitti ciò
finirebbe col generare fra coloro che hanno tutto e chi non ha più da
guadagnare.
“E
le creature di magia, e la magia stessa, scomparirebbero, avvizzirebbero
pietosamente. Il mondo diventerebbe un posto prevedibile, vacuo, noioso. Un prezzo
troppo alto per risolvere i problemi di una sola specie che pomposamente si
definisce ‘dominante’.
“Quello
che abbiamo intenzione di fare, Vendicatori, è…” e lo disse. Spiegò ogni
particolare, senza omettere nulla. Wanda e Simon ascoltarono con iniziale diffidenza
-se non se sapevano loro, qualcosa, di sedicenti benefattori con mere manie
dittatoriali!- poi con interesse, e se anche non arrivarono alla piena
approvazione, era anche vero che non possedevano elementi per negare a
prescindere un’approvazione con riserva. Un altro fronte di cui preoccuparsi!
Avrebbero dovuto contattare Alpha Flight, e il nuovo Mago Supremo, Rintrah, per un’adeguata
supervisione… “Una cosa sia chiara,” disse Scarlet fissando Anodyne negli
occhi, ricambiata da pupille fatte di pura energia. “Mantenete fede all’impegno
senza
fallo, o
scoprirete che non ci chiamano Vendicatori per niente.”
Anodyne annuì, dentro di sé compatendo ed allo
stesso tempo ammirando questa piccola creatura che le ricordava sé stessa tanto
tempo fa. Avrebbero mantenuto fede alla parola data, soprattutto perché gli
stessi Vendicatori avevano deciso di intraprendere una strada simile a quella
che ora i loro paladini stavano per tornare a percorrere…
“Continuiamo
a non esserci, Paul.”
Erano
in quattro, nell’ufficio della Stone Building Corp. Quattro persone accomunate da un interesse
e separate da una bella scrivania in mogano. Da un lato, i tre massimi
dirigenti della SBG, dall’altro Paul Domenic, architetto di grido ed ingegnere.
Fra
di loro, sulla scrivania, stava un progetto per il nuovo quartiere residenziale
voluto dall’azienda appaltatrice. L’ennesimo, di Paul, che stava per venire
bocciato.
“Paul,”
disse uno dei tre, una donna in vestito elegante e occhiali a montatura nera,
“comprendiamo perché il tuo studio sia così rinomato. Le tue idee sono…diverse,
bellissime…”
“Ma
noi vogliamo condomini, non musei d’arte,” continuò uno dei due uomini, il più
anziano, con capelli grigi e stempiati. “Non solo la realizzazione di simili
‘opere’, ma anche la loro manutenzione, si mangerebbero il bilancio in men che
non si dica.”
Impeccabile
nella sua camicia italiana bianca con cravatta rossa, l’uomo dai capelli e
barba neri dall’altra parte della scrivania disse, “Potevate consultare i fabbricanti
di Lego, allora. Se sono solo scatole decorate, che volete, il mio studio ha di
meglio da fare.” Si alzò in piedi, e arrotolò gli acetati. Diede un’ultima
occhiata a un esempio di atrio concepito per simulare un pezzo di foresta, poi
anche quello scomparve fra gli altri fogli. In silenzio, prese il frutto della
sua fantasia e si voltò verso la porta. Fino all’ultimo, sperò che il silenzio
degli altri fosse gravido di dubbio...ahimè, non lo era, e Paul uscì senza
essere richiamato. Borbottò un insulto tosto, mentre chiudeva la porta. Non
avrebbe più ricevuto incarichi da quella gente, ma non gli dispiaceva. Non si
sarebbe prostituito per soldi, mai!
Uscito
dal palazzo, si slacciò la cravatta soffocante. Niente pause o spuntini.
Avrebbe preso la metro, si sarebbe diretto a casa e poi…
Il
colpo di clacson lo distrasse da quei quieti pensieri. Voltò la testa verso la
familiare monovolume Renault grigia. Al volante, c’era una donna dai capelli
castani ed un pullover giallo, sua moglie, la Dott.ssa Jeanne
Chretienne.
Lei fece un cenno di saluto sporgendo il braccio dal finestrino; lui ricambiò,
e si avvicinò al veicolo.
“Come
mai così presto?” chiese, salendo a bordo. “Oh.
Bonne Soir, Carla. Devo dedurre che la mia adorabile metà ti ha informato che era il mio
turno ai fornelli, stasera?”
Carla Ballengher, una donna di mezza età, di statura di poco
sotto della media, e piacevolmente rotondetta, aveva un volto solare, incline
al sorriso. Appena Paul si fu seduto, gli diede una pacca amichevole sulla
coscia. “Quello da solo sarebbe un motivo valido per correre in suo aiuto,
Paul. La verità è che il ristorante ha chiuso, e Jeannene mi ha offerto un
passaggio.”
“Chiusura
anticipata, sta…Ah. Mi dispiace, Carla.” Fu il turno di lui, di darle una pacca
sulla spalla. La crisi economica mondiale mieteva vittime a macchia di leopardo,
un po’ dappertutto. Il ristorante dove Carla lavorava da venti anni aveva
tirato gli ultimi, tutti sapevano che quel giorno sarebbe giunto.”
Carla
non sembrava sconfortata -a dire il vero, lei non sembrava mai sconfortata, era
un’ottimista fin nel DNA. “Non mancava poi così tanto, al pensionamento, ed ora
potrò pensare ad investire in quel servizio di catering che progettavo. E tu,
Paul? Non mi sembri proprio il ritratto della felicità, al momento.”
Mentre
il veicolo si immetteva nel traffico, lui raccontò del progetto respinto. “È
inutile. A che serve avere una fantasia come la mia, se poi mi è permesso solo
di progettare sterili alveari? A volte rimpiango il nostro…passato. Almeno, i
sogni che avevo nutrito fino a un certo punto, ero riuscito a realizzarli.”
Un
velo di tristezza scese su tutti. Non era solo l’amicizia di una vita, ad
accomunarli, ma un qualcosa di meraviglioso e triste avvenuto anni prima. Per
un brevissimo tempo, loro tre ed i loro compagni avevano afferrato qualcosa di
meraviglioso, e avevano dovuto lasciarlo andare, di loro scelta[iii].
Credevano di avere fatto la cosa giusta, ma ancora lo rimpiangevano. Lo
rimpiangevano talmente da parlarne il meno possibile, come se parlandone
avessero esorcizzato anche il ricordo, la speranza di un’altra occasione…
Il
traffico serale era al suo massimo volume. Il vuoto lasciato dalla Guerra dei
Mondi era stato riempito in fretta da un mercato immobiliare ed edilizio che si
era potuto permettere il lusso di forti sconti pur di riportare la città alla
propria vitalità. I danni principali alle infrastrutture erano stati
completamente riparati, e la strada era quella di sempre, con i problemi di
sempre.
Ma
la tensione, da qualche parte, nei sopravvissuti al conflitto, era rimasta, e
ancora in molti guardavano al cielo con una punta di timore. E la tensione non
facilitata dai fatti di terrorismo che regolarmente insanguinavano le cronache.
Per
tali ragioni, quando l’interno di una Renault grigia si accese di una luce
abbagliante, che uscì da ogni finestrino come una sciabola, ci furono grida
spaventate, imprecazioni, frenate improvvise e tamponamenti.
La
monovolume sbandò, ed uscì di strada, sempre proiettando luce dai finestrini.
Però, prima dell’impatto fatale con il guard-rail, l’intera carrozzeria fu
avvolta dalla luce.
Sotto gli occhi terrificati e meravigliati della
gente, il globo di luce si levò in volo! Le sue forme cambiarono rapidamente,
fino a quando non fu un elegante e bellissimo velivolo interamente fatto di
cristallo, a continuare il suo viaggio per i cieli Canadesi.
L’uomo
era giovane, fisico da culturista all’apice della forma, ed era appena ubriaco
-tutte le condizioni necessarie a spingerlo a pensare che il vecchietto che
aveva di fronte era solo un pollo da spennare e da battere un po’.
Sbagliato,
come provò la stecca da biliardo che arrivò come un fulmine sul suo ventre
6-pack. L’aria gli uscì in un rantolo strozzato, poi un colpo della stessa
stecca alla nuca lo spedì definitivamente nel mondo dei sogni.
Il
suo antagonista era un uomo di quarant’anni, con i baffi neri e la barba di un
paio di giorni, il volto affilato, e la nera capigliatura tenuta insieme da una
bandana rossa, bisunta come i capelli stessi. “Lo dicevo io che eri un
coglione, lattante. Faccio ‘sto gioco da prima che tu nascessi, figurati se non
so riconoscere un baro.” Afferrò una bottiglia posata sul tavolo da biliardo, e
ne scolò il contenuto d’un fiato. Una volta finito, gettò la bottiglia a terra,
e si mise la stecca in spalla; si voltò verso la piccola folla che aveva
assistito alla breve rissa, e disse, “Coraggio, nessun altro ha voglia di
vedere se riesce a spillarmi un centesimo?”
Nessuno
si fece avanti.
L’uomo
uscì dal locale. Camminava con la postura ingobbita che gli era diventata
naturale da quando…da quando era tornato un misero umano. Il freddo del Canada
non gli schiarì le idee, niente del resto poteva aiutarlo a smettere di pensare
al Dono, all’offerta fatta da Loki di
Asgard.
Quando quell’avventura era finita, lui non ce l’aveva proprio fatta a tornare
al suo lavoro, alla sua umanità quotidiana. Aveva assaporato il nettare, ne
voleva ancora…e sapeva che si trattava di un veleno! Gli altri avevano creduto
nel sogno di salvare l’umanità, lui voleva solo gloria e adorazione. Così
diviso, fra avidità e rifiuto, Moreau si era lentamente consumato, iniziando a
vivere di lavori sempre più umili, di scommesse e infine di furtarelli. E
l’alcol era la sua sola compagnia. Stava male, non aveva più uno scopo, ma non
aveva il coraggio di farla finita. Cosa chiedeva, in fondo? Un’altra
possibilità, solo una…*!*
<E
la potrai avere, Jacques Moreau. La tua preghiera, alla fine, è stata
ascoltata.>
Una
voce! Femminile, familiare, che arrivò direttamente alla sua mente! Si voltò.
La
vide, al termine di un vicolo cieco. “Maddie..?” Non ne era sicuro, la sua
visione era annebbiata dalla stanchezza post-adrenalinica e l’alcol. Vedeva una
donna in un costume fin troppo familiare, il volto familiare. “Maddie, tu sei
morta. Ho ricevuto il telegramma…Ho *urp*, scusami, vishto la tua tomba.”
La
creatura gli si avvicinò, offrendo la mano. “Vorrei dirti che sono Madeline
Pryor, ma non è così. Sono solo un frammento dei vostri ricordi. Sono il potere
plasmato dalla vostra memoria.”
“Oh.
Che bello,” Paul si appoggiò alla parete. Adesso vedeva anche i fantasmi, non
gli bastavano i ricordi…ma, in fondo, perché no? Si era innamorato di Maddie, giusto? Troppo codardo
anche per dirglielo.
Ma
la mano che lo toccò era reale, il metallo era tiepido, morbido. “So cosa ti
angoscia. E so che non sei un codardo. Non tutti reagiscono allo stesso modo,
quando perdono la divinità. A loro modo, anche gli altri soffrono ancora.”
“Gli…altri?”
“Puoi
tornare ad essere quello che sogni, Jacques. Puoi tornare ad essere un dio fra
gli uomini.”
Tale
fu il sollievo, che Jacques si sentì mancare. La mente gli si schiarì, e solo a
quel punto vide bene le pupille luminose di lei. E, per un momento, ebbe anche
paura.
Anodyne
non lasciò la sua mano. “Sarà una vita dura, amico mio. Tu e gli altri, noi
tutti, dovremo vivere in isolamento dagli uomini, interferire con giudizio nei
loro affari, non a caccia di gloria, ma esclusivamente per il loro bene.”
Il
fuoco sgorgò dal metallo, e si sparse intorno a tutto il corpo di Jacques.
L’ubriachezza, il dolore, la disperazione -tutto svanì d’incanto. Stava bene, e
si sentiva ebbro di quel potere, proprio come la prima volta! I suoi pensieri erano
lucidi. Avvolto com’era dalle fiamme, afferrò la mano di Anodyne con entrambe
le proprie. “Lo voglio. Ti prego, chiunque tu sia, ridammi la forza, sono
pronto a fare quello che vuoi per…”
Lei
gli posò un dito sulle labbra. “Non devi fare giuramenti che non potresti
mantenere. Sii solo felice di avere quest’opportunità.”
Poi, entrambi si trasformarono in una sfera di
luce. Brillarono di un’intensità tale da accendere la notte nel quartiere, e
quando finalmente si udirono le sirene della polizia, nel vicolo era tornato il
buio.
Il
quartiere residenziale era uno dei più vecchi della città. Qui ci andavano a
vivere i pensionati con le loro famiglie, in villini non lussuosi ma dignitosi
e offerti ad un prezzo ridotto dal piano previdenziale.
Da
qualche tempo, in questo complesso viveva un residente di una certa popolarità.
Tutti i bambini ed i ragazzi lo chiamavano ‘Zio Sam’, e questo non mancava di
fare sorridere ironicamente Samuel Ross, ex trasportatore e magazziniere. Zio Sam era un po’
più giovane del modello originale, un po’ più basso e rotondo…ed era nero.
Mostrava con orgoglio la sua bella pelata, e non si preoccupava più di tanto
dei suoi anni. Era sempre vitale, e, soprattutto, aveva la biblioteca più
fornita del quartiere. Si poteva dire che stava nutrendo la mente di una
generazione, prestando libri a chiunque glieli chiedesse, e partecipava a tutte
le iniziative a sfondo culturale, che fossero promosse dal ministero o dalla
scuola…
“Quasi
lavoro di più adesso che sono in pensione di quando scaricavo casse,” disse
Sam, osservando la strada dalla finestra, sorridendo alla vista dei bambini giocare.
“Ne vale la pena, sai? Molti adolescenti hanno finito con lo scoprire che c’è
qualcosa di meglio della droga e dell’alcol, come alternativa alla noia o alla
tristezza. Mi mancheranno.”
Dall’altra
parte della stanza, Anodyne abbassò gli occhi. Di tutti gli altri, finora, era
il solo ad avere dato un senso alla propria vita, dopo il ritorno all’umanità.
Il trauma era stato sepolto sotto il suo desiderio di fare qualcosa per gli
altri e per sé stesso. Diffondere cultura era, per Sam Ross, un istinto
naturale. Non era felice di strapparlo a questa vita per un futuro incerto…ma
il numero sarebbe stato incompleto, senza di lui.
“In fondo,” disse l’uomo, voltandosi verso di lei,
“ho fatto quello che dovevo, qui. I ragazzi potranno tirare avanti senza di me,
ora che ho dato loro una direzione in cui andare. Ci sono altre persone che
hanno bisogno di me, e non mi tirerò indietro…Lasciami solo preparare le mie
cose e fare qualche telefonata, in modo da potere fare sembrare che sia
partito. Non voglio angosciare nessuno dei miei vicini.”
Per
il personale impiegatizio ‘comune’, cioè coloro che non prendevano ordini dalle
teste d’uovo della AB (come l’azienda veniva affettuosamente chiamata da tutto
il personale), la fine della giornata lavorativa significava uscire
dall’edificio, farsi fare uno scanning giusto per precauzione, andare a casa e
dimenticare il mondo fino al giorno di lavoro successivo.
Per
le teste d’uovo ed i loro iellati sottoposti, significava un’occasione di fare
straordinari spesso lunghi tutta la notte e in una maggiore tranquillità. E
intervallare l’attività extra con dei robusti panini e una chiacchierata
amichevole.
Anche
con un’amica morta e bella pimpante.
“Vediamo
se ho capito bene,” disse il Dr. Boyd Wilson, addentando un panino vegetariano di pane
integrale. “Se uno va dentro, devono andarci tutti. Se uno rifiuta, non se ne
fa nulla.”
Stavano
in una sala mensa desolantemente vuota. Un neon illuminava solo il loro tavolo,
Anche se le telecamere mostravano solo due ospiti intenti a parlare al vuoto,
erano in tre: Wilson, del dipartimento Zoologia, Eric Descard, di Botanica, e Anodyne
dall’altro lato.
“Anche
se foste radunati e ‘benedetti’ con l’inganno,” disse Anodyne, “il potere
scorre ancora in voi, vi unisce a distanza. Una parte di voi lo sa, ed è per
questo che ancora soffrite. Potete riavere quello che fu vostro, potete stare
insieme ancora una volta, e se poteste, lo fareste.”
Eric,
con il suo volto magro, i capelli neri aggrediti da una calvizie che si
sforzava di tenere sotto controllo, e gli occhi da buono, sembrava un maestrino
impaziente di una promozione. Sullo ‘stare insieme’, questa creatura aveva
senza dubbio ragione! Dopo la loro avventura, si erano tenuti insieme, anche se
a distanza. Si scrivevano regolarmente lettere, si scambiavano gli auguri…anche
se non avevano avuto ancora il coraggio, in tutto quel tempo, di riavvicinarsi fisicamente.
Come Paul aveva notato, avevano paura di sprofondare nella malinconia, se
avessero ricordato troppo a fondo i bei tempi…
Lui
aveva chiesto ed ottenuto il trasferimento presso l’AB perché Boyd lavorava lì,
per esempio. Paul e Jeanne si erano sposati…Ed ora, il momento della verità..!
Fu
a quel punto che Boyd, caro vecchio cinico Boyd, inghiottito un altro boccone, disse, “E
Nick?”
Eric
strinse i denti. Nicholas Rodriguez, che fra gli dei era stato Pathfinder. Lui non era tornato da
quell’avventura. Lui era morto. Sventrato dal maledetto mutante Wolverine.
Eric
scosse la testa -non era un pensiero giusto, Wolverine si era autodifeso, erano
stati Rodriguez e Boyd ad attaccarlo con intenzioni omicide…Ma, alla fine, non
cambiava molto le cose. Senza Rodriguez, niente numero. Finis…oppure..?
Infatti,
la donna dal volto di Madeline sorrideva, i gomiti sul tavolo ed il mento sulle
mani incrociate.
Eric
guardò Boyd. Per
la prima volta, nei suoi occhi c’era una luce di felicità, e persino la sua
espressione rifletteva quella luce!
C’era
voluto tempo, fatica e molto coraggio, ma alla fine ce l’aveva fatta.
Procedendo
con l’ausilio di un bastone, le racchette da neve rimaste indietro, ai margini della
valle verde, insieme all’equipaggiamento da neve, l’uomo arrivò fino alle mura
di Superian. Il vento era dolce, tiepido.
Dell’attrezzatura
usata per coprire i chilometri dal momento in cui aveva udito il richiamo, era
rimasta solo una leggera giacca a vento. Con mani callose, increspate dal
freddo e dal duro esercizio, l’uomo si tolse il cappuccio.
Nicholas
Rodriguez annuì e sorrise, la stanchezza sopraffatta dalla gioia.
Era
tornato a casa, finalmente. Ora cominciava per davvero la sua strada verso la
redenzione. La loro strada, cioè…