PROLOGO: Benson, Arizona
Il paese era uno sputo di case in mezzo al nulla,
pomposamente chiamato ‘città’. Un tempo, ospitava una delle tante miniere d’oro
durante la corsa febbrile al leggendario metallo…Una miniera piccola, come
ebbero modo di scoprire i suoi abitanti, che, lentamente, abbandonarono Benson
prima di divenire parte del suo desertico panorama. Rimasero in pochi, testardi
individui che non desideravano ritornare ad uno stile di vita che avevano
volontariamente lasciato.
La scoperta di una vena di rame ridiede vita ad
un’economia semplice, basata sul minimo necessario. Quei preveggenti testardi,
avendo meno ‘vicini’ con cui spartire la torta, trasformarono Benson in un
posto dignitoso, che oggi è un punto di riferimento prezioso per i viaggiatori
in disperato bisogno di un punto di R&R.
Erano passate 24 ore da Inferno2. Il
paese lo sapeva solo da una manciata di indizi -il notiziario televisivo, le
linee telefoniche, il cielo finalmente tornato azzurro dopo quella sinistra
oscurità che sembrava avere divorato il Sole. Anche il Reverendo Simmons aveva smesso di delirare sull’imminente Secondo
Avvento.
Benson era stato risparmiato dalla crisi mistica.
Nessun essere umano era stato posseduto. Nessun oggetto si era animato di
diabolica vita.
Forse, sarebbe stato meglio. La crisi avrebbe avuto
fine, la vita sarebbe potuta tornare alla normalità quotidiana.
Purtroppo, l’Inferno dimorava a Benson da molto più
tempo…
“Per l’amor di Dio, ti prego! Apri la porta, piccina!”
Ma le suppliche, i pugni battuti disperatamente, le
spallate –niente riusciva ad attraversare ne’ il fragile pannello di legno, ne’
alcun altro punto della baracca…una delle tante che costellavano Benson. Uno
dei tanti teatrini di quotidiane miserie di cui parlare in compagnia il giorno dopo,
a voce più o meno bassa…
Ma non era solo l’inaspettata resistenza della
vecchia struttura, a sorprendere la gente radunata all’esterno. Ne’ era il
gioco di luci che eruttavano come
geyser dalle due finestre sporche, abbaglianti al punto da rendere impossibile
il guardare dentro senza perdere la vista.
No, la gente temeva per la causa di quel fenomeno. I pensieri delle due dozzine di persone
erano divisi –da una parte, c’era chi sapeva che quel giorno sarebbe giunto.
Era solo inevitabile, gioca con il fuoco e resterai bruciato. Dall’altra, c’era
chi si vergognava di non avere fatto di più per coinvolgere la legge, ma che
ugualmente non aveva auspicato quello che stava ora succedendo…
In mezzo a quella folla persa nell’indifferenza o
nel timore, si distingueva una donna. Era giovane, dai neri capelli corti e
crespi, e grandi occhi nocciola. Il suo era un volto fatto per sorridere, ma
anche carico di saggezza…
Questa sera, la sola espressione che quel volto
poteva mostrare era la paura. Paura non per sé, ma per i protagonisti del
dramma domestico, e per tutte le anime di Benson che stavano per varcare una
terribile soglia su un futuro molto cupo…
Petunia
‘Penny’ Grimm
si parò istintivamente un braccio, appena la luce esplose da ogni interstizio,
ogni fessura, come a volere distruggere la baracca che osava contenerla.
Poi, l’urlo di un uomo squarciò il crepuscolo.
L’urlo di un’anima che sapeva di essere stata appena dannata per sempre,
un’anima che la morte non avrebbe liberato dal dolore!
Petunia urlò, espresse in quel verso il suo più
coerente pensiero. Pensiero diretto ad un nome solo. “WENDY!”
MARVELIT presenta
di Valerio Pastore
Episodio 11 – DAGLI AMICI MI
GUARDI IDDIO…
Non era impazzito. Aveva importanza, doveva averla, o sarebbe impazzito sul
serio.
Lo specchio gli restituì una visione da incubo. Un
volto che avrebbe avuto bisogno di una maschera. Un volto che conosceva bene,
avendolo già avuto una volta.
Non era impazzito. Non c’era un demone dentro di
lui. Lo sapeva. Lo sentiva.
Il volto degno del suo maledetto nome in codice: Hobgoblin. Un volto dalle carni gialle,
con un buco dove c’era stato il naso. Occhi grandi, rossi, dalle pupille da
gatto, bordati di una specie di escrescenza che conferiva alla sua espressione
un permanente cruccio. Le labbra non c’erano più, e i denti erano file di zanne
attraverso cui schizzava una scarlatta lingua serpentina, forcuta.
Il fiato gli puzzava. Lui puzzava, di zolfo e cose oscene. Ma non era impazzito.
La testa aveva una forma simile ad una palla da
rugby, con orecchie larghe ed appuntite.
Non era impazzito. Si chiamava Philip Jason
Macendale, era stato un mercenario, un supercriminale, era stato posseduto da Demogoblin, era morto e risorto, e aveva
anche giocato a fare l’eroe. Non è roba da farti impazzire –c’era da
scommettere che succedeva ad almeno un supereroe su due.
La lingua saettava come dotata di vita propria. Non
voleva toccarla, e magari vederla avvolgersi intorno al dito. In compenso,
Hobgoblin picchiettò con l’indice lo specchio, come a volere assicurarsi che
quello che vedeva era vero.
Quando Demogoblin si era staccato da lui, Macendale
aveva stragiurato che le potenze infernali se le sarebbe ben tenute alla larga.
Naturalmente, non poteva immaginare del prossimo Inferno, ne’ che avrebbe
addirittura giocato a fare l’eroe contro N’Astirh…Almeno,
il bastardo era morto che più non si poteva[i].
Un peccato non poterlo mettere nel curriculum..
La mano guantata si aprì ad accarezzare il proprio
riflesso. Poteva rompere quello specchio, e poi un altro, e un altro ancora…Ma
lui puzzava! Gli bastava respirare, per sapere la verità.
In qualche modo, l’energia diabolica di N’Astirh si
era trasferita a lui. Lo aveva contaminato. Ma non era impazzito. Era…cosa? Sì,
un portatore sano…
Il riflesso aprì la bocca nella grottesca parodia di
un sorriso. Un portatore…sano…
Hobgoblin iniziò a ridacchiare. Poggiò entrambe le
mani allo specchio. Il riso si fece più forte. Le pupille si dilatavano e
restringevano a seguire il suo umore.
“Sano…Hee hee hee, sano, proprio così…” E finalmente
esplose, un verso agghiacciante, che ricordava più il gracchiare di decine di
corvi tutti insieme, che qualcosa connesso con l’allegria. Hobgoblin cadde in
ginocchio, reggendo le braccia al lavandino, la testa grottesca poggiata sul
bordo di ceramica. Rideva, e non voleva più smettere…
La porta del bagno fu spalancata con una spallata, e
Zachary Moonhunter irruppe.
L’indiano, ex-cacciatore di licantropi, si chinò sull’uomo-demone, che si lasciò
rimettere in piedi. “Hobbie, qualunque fosse l’argomento, me la devi raccontare,
se riesce a farti ridere così.”
Hobgoblin si staccò dall’uomo. Era debole,
emozionalmente esausto. Si rimise il cappuccio, parte di un costume ora
sbrindellato, frastagliato. Almeno, con quello addosso poteva nascondere
l’orrore che era. “Non credo ci sia qualcosa che possa farmi ridere, se non
l’ironia del destino, Moonhunter. Ho fatto il bravo ragazzo, e questa è la
ricompensa.” La sua voce aveva un timbro cavernoso e sibilante. “E visto che
siamo costretti a stare insieme,
almeno risparmiati le smancerie sulla solidarietà.”
I due procedettero lungo lo stretto corridoio, e si
trovarono nel grande salone principale, illuminato e scaldato da un ampio
camino di mattoni. Lì, si trovavano gli altri Supernaturals, nelle figure di:
Ø Nebulon, l’Uomo Celestiale, in piedi davanti al camino, lo sguardo ad
abbracciare il resto dei suoi compagni.
Ø Carrion, spettrale portatore dell’omonimo virus senziente, in piedi in un
angolo.
Ø Dreadknight, seduto al tavolo centrale.
Ø Nightshade, neo-licantropessa in stile Punk, che sul body nero stracciato
portava, in stridente contrasto, l’argentea armatura di Pintea. Stava alla finestra, a guardare l’enorme parco.
Ø Tagak, il principe leopardo, seduto sul divano davanti al camino. Accanto a
lui, stava
Ø Lilith, la figlia di Dracula.
“…ci riporta al problema originale,” stava dicendo
Nebulon. “Organizzarci. Trovare Master
Pandemonium e il Barone d’Arby.
Purtroppo, per ora, siamo costretti a muoverci sulla difensiva. Non sappiamo
dove sono, e possiamo solo aspettare che si rendano manifesti.
“Fra i due, quello di Serjey d’Arby dovrebbe essere
il problema di più rapida risoluzione. Lilith, tuo padre ti ha personalmente
nominata sua erede per il dominio dei vampiri. Questo dovrebbe garantirci una
rete di informazioni capillare ed estesa. Giusto?”
Lilith annuì, e si affrettò ad aggiungere.
“Purtroppo, nonostante sia stata io stessa a vampirizzare il Barone nel ‘500,
lui ha trovato il modo di spezzare il legame psichico che si genera in simili
casi. La mia gente è la sola connessione che…”
“Questo non è esatto,” intervenne Nightshade,
voltandosi. Si avvicinò al divano. Nonostante fosse difficile immaginarsela
come una feroce guerriera, con la criniera tirata a cresta con generoso gel, e
gli occhi di diverso colore grazie alle lenti a contatto, la licantropa sapeva
muoversi con una grazia che incuteva prudenza nelle valutazioni.
Nightshade si chinò e si appoggiò con gli avambracci
al divano. “Durante la mia permanenza a Starkesboro[ii],
ho avuto modo di capire che i lupi mannari sono molto più numerosi di quanto io
stessa mi aspettassi…e che sono organizzati in comunità. Presente Joe Dante?”
allo sguardo interrogativo di Nebulon, rispose, “Se il mio tocco vale ancora
qualcosa, potremo avere ancora più informatori…In fondo,” e qui voltò un muso
strafottente all’indirizzo di Lilith, “un mannaro può operare benissimo anche di giorno.”
Lilith emise un verso d’ira simile ad un sibilo.
Lei, come pochissimi altri della sua specie, era immune dalla luce solare. Le
parole di Nightshade le avevano riportato alla mente i racconti di suo padre
sulla Guerra delle Tenebre…Sul come
si fosse dovuto ricorrere agli umani
per salvare il salvabile, e giungere ad una tregua, perdurante a tutt’oggi,
basata su concessioni umilianti per i vampiri…Certo che era proprio umana,
quella femmina! Tradire così alla leggera i segreti dei suoi ‘simili’ che dice
di ammirare al punto di essere diventata una di loro volontariamente! Come aveva fatto, Pintea, a scegliersela per
indossare la sua armatura, era un mistero degno di essere risolto…
Nebulon annuì. “Signore, contiamo su di voi.
“Tagak. Poiché, evidentemente, il Caduceo che ci tiene uniti non ha
effetto sullo spostamento dimensionale, ti chiedo di adoperarti dalla tua
dimensione, per scoprire quanto possibile. La velocità è essenziale…”
“Puoi giocartici tutto, su
questo,” disse Lilith, con un cruccio. “Mio padre, ne’ alcun altro arcivampiro,
oserebbe vampirizzare l’intera popolazione terrestre: a parte il fatto che
moriremmo di fame in breve tempo, lo squilibrio mistico attirerebbe
l’indesiderata attenzione di molte entità mistiche. D’Arby, in qualche modo,
sembra avere pianificato tali conseguenze nei suoi piani di dominio…”
A quel punto, Victor
Conte Salisgrave passò una mano incartapecorita e curva sullo specchio
d’acqua. L’immagine del raduno dei Supernaturals si dissolse.
L’uomo, pallido, vecchio riflesso di quello che fu,
si mise seduto al tavolo di granito grezzo grigio coperto di incisioni runiche
bianche. Come per magia un impeccabile maggiordomo apparve accanto a lui,
portando un vassoio con teiera, tazzina e biscotti –per la precisione, tisana e
biscotti di erbe molto particolari, un cocktail che lo avrebbe tenuto in forze,
fino a quando la questione Pandemonium non fosse stata risolta…E lo sarebbe stata: quell’essere deteneva il
potere che poteva portare l’interregno
sul nostro piano, scatenando un disastro da fare sembrare Inferno2
il tè delle cinque. I Supernaturals erano stati creati per combatterlo, e lo
sapevano.
In cambio, ed anche per
proteggere la propria persona, lui avrebbe fatto la sua parte, appoggiandoli
quanto più possibile nonostante le sue condizioni.
“Fin qua tutto bene,” disse Moonhunter, sorseggiando
un bicchiere d’acqua. “Troviamo i bastardi, e li calciamo nel culo per
benino…Ma nel frattempo? Insomma, stando con i Vendicatori, un po’ del loro modo di pensare mi si è attaccato
addosso. Non credo che sia…uhm, giusto starcene con le…mani…” Parlando, l’uomo
aveva spostato lo sguardo un po’ su tutti gli altri ‘angeli dell’oscurità’. In
effetti, non sapeva nemmeno cosa
suggerire. Se si fossero mostrati in pubblico, il pubblico avrebbe pensato ad
una recrudescenza infernale. Metà dei superbuoni di questo mondo sarebbe stata
loro addosso in quattro e quattr’otto!
“Comprendo la nobiltà del tuo ragionamento,
Zachary,” disse Nebulon, notando Tagak annuire a sua volta. “Credo che sia
opportuno…”
T: Ora.
Il volto dalla pelle dorata si corrucciò in
un’espressione di dolore. In un attimo, tutta l’attenzione dei presenti fu per
l’Uomo Celestiale –e non poteva essere altrimenti: se lui percepiva qualcosa che non andava…
Il dolore passò, ma la preoccupazione era ancora
visibile. “Ho appena avvertito un pericoloso turbamento nelle leylines. L’equilibrio della biosfera ha
subito una scossa, non saprei come altrimenti descriverlo.”
“Per ‘turbamento’ cosa intendi, esattamente?” chiese
Moonhunter, che già, comunque, aveva aperto la sua valigia, rivelando
l’armatura leggera d’argento contenuta in essa.
Mentre l’indiano si vestiva, Nebulon disse, “Sono in
costante contatto con la biosfera planetaria, per poterla usare per alimentare
il mio potere. Le leylines sono come il sistema circolatorio principale delle
energie del mondo, mantenendo un determinato equilibrio.
“Un evento come quello che ho appena percepito deve
essere grave, per ripercuotersi sull’intero corpo planetario. Volevi sapere
cosa avremmo fatto fino al prossimo incontro con D’Arby, Moonhunter? Ora lo
sai.”
“Proprio quello che temevo,
platinette,” mormorò ‘hunter, indossando il giubbotto di pelle nera sopra
l’armatura. Ebbe appena il tempo di verificare che l’arma fosse a posto e che
le munizioni fossero abbondanti; poi, lui e l’intero gruppo scomparvero.
La Sterling poteva essere una puttana integrale, per
averli infilati in quell’alleanza forzata, ma almeno aveva mantenuto la parola.
Oltre alla magione, aveva fatto predisporre una riserva di tutto quello che
serviva ai Supernaturals per essere in forma e pronti alla prossima minaccia…
“Mi sa che avremmo bisogno di un po’ di potere di
fuoco in più. Una bombetta atomica o su di lì, voi che dite?”
Grazie al potere di Nebulon, il gruppo si era
materializzato ad un passo dall’epicentro della crisi. Alla periferia di Benson,
per la precisione.
Alla periferia dell’incubo.
Il cielo era un caleidoscopio di colori impazziti,
come se un’aurora diabolica fosse stata vomitata dalla terra stessa. Non c’era
vento, eppure l’aria era satura di piccoli oggetti volanti, dai sassi alle assi
di legno, e giocattoli e farmaci…Una danza assurda, muta, frenetica,
punteggiata solo dal sibilo dell’aria al passaggio degli oggetti.
L’osservazione di Moonhunter non era, in un certo
senso, buttata lì a caso. Certo, Benson non era grande come NYC, ma questo restava un fenomeno difficilmente
gestibile da soli otto super-esseri…
“Un fenomeno di Poltergeist,”
disse Nebulon. “Energie già presenti sono state convogliate da una mente
potente o dalla lettura di un incantesimo.
“Per ora, dobbiamo pensare ai civili. Sarà anche
un’occasione per testare la volontà e le capacità del ‘nemico’ contro gli
estranei. Una volta sistemati loro, ci occuperemo della causa. Domande?”
“Rimandiamole a un momento più adatto,” disse Hobgoblin. Un suo cenno, e l’aria sotto i suoi piedi prese fuoco. In un attimo, la familiare versione diabolica del suo aliante, simile ad un pipistrello infuocato con il muso di drago, fu pronta. La creatura emise un ruggito, e si levò in volo lasciandosi dietro una scia di fuoco allo zolfo.
“*coff*, questo sì che è fumo passivo,” disse
Moonhunter. “Per me, niente diavolerie. Cara nuova tecnologia andrà benissimo.”
Un tocco di un pulsante nascosto sotto il guanto,
e lo skycicle
apparve in un lampo di teletrasporto. La carrozzeria era sagomata in modo da
rappresentare un lupo in corsa, con le ‘ruote’ magnetiche chiuse fra le zampe.
“L’ultimo che arriva paga da bere!” Il cacciatore saltò a bordo, seguito a
ruota da Nightshade. Il veicolo partì a razzo.
Mentre Moonhunter chiamava il suo veicolo,
Dreadknight evocò magicamente il suo nero destriero, Batwing. Il cavaliere montò con sorprendente velocità ed agilità
per un uomo così bardato. Il ‘cavallo’ s’impennò, nitrì/ruggì, e partì ad ali
spiegate.
Carrion scomparve teleportandosi. Tagak colse il
riflesso di uno specchietto per bambole, e vi si gettò dentro.
“Di volare non se ne parla,” sentenziò Lilith. “Che
quei mortali imparino ad apprezzare la virtù della prudenza,” detto ciò, si
trasformò in una robusta lupa dalla pelliccia rossa, e scattò dentro il cuore
della tempesta.
Nebulon decise di tentare un approccio diverso.
Aveva la massima fiducia negli altri, che per quanto irruenti, violenti, e
motivati da ben altro che altruismo, erano comunque capaci di svolgere
l’incarico loro assegnato.
No, lui sarebbe stato di troppo, per il momento.
L’Uomo Celestiale si concentrò sul puro potere che si manifestava davanti a
lui. Osservò con sensi che nessun umano possedeva, e vide la bellezza
elementare del gioco di forze…
Nebulon inarcò un sopracciglio. Curioso! Sembrava
che l’intera città fosse stata eretta su un punto nodale! Le forze di una
Leyline stavano convogliando in quel punto, infiammando l’etere invisibile. Le
persone più sensibili e gli animali dovevano sentirsi molto a disagio…
Nebulon spostò lo sguardo, seguendo il sentiero di
fuoco che da Benson andava verso le cime vicine…Hmm, un altro punto nodale… E un fenomeno speculare si stava
manifestando, lì. I due punti nodali stavano scambiandosi energia…
Nebulon si levò in volo.
Di una cosa Dreadknight era certo: se Batwing non
fosse stato un destriero magico, col
cavolo che avrebbe superato quella tempesta psichica! Ondate di emozioni
accompagnavano lo spostamento cinetico –emozioni ostili, negative, distruttive…I
dispositivi schermanti del nuovo elmo, in quest’occasione, reggevano bene lo
sforzo, ma non era il caso di portarli al limite.
Bram Velsing osservò le strade sottostanti con i sensori che gli conferivano una vista d’aquila…Ma non trovò tracce di vita. I pali delle linee telefoniche ed elettriche erano crollati. Le antenne, dalle paraboliche ai modelli tradizionali, erano state divelte. Il posto era una città fantasma, isolato dal resto del mondo…E con le autorità occupate a riparare ai danni di Phoenix e quelli post-Inferno, c’era da scommettere che la cavalleria ce ne avrebbe messo, ad arrivare…
Buona questa! Pensò…un attimo prima di
notare una donna in fuga! Di corporatura robusta, con indosso un vestito a
fiori stracciato, i capelli rossicci tinti di sangue, la poveretta urlava la
sua disperazione, e procedeva su un percorso erratico, come se non comprendesse
quale direzione prendere.
Dreadknight attivò il suo comunicatore. “Moonhunter,
c’è un recupero, qui. È terrorizzata, e non oso avvicinarmi, o…Maledizione!”
Un’asse stava arrivando addosso alla donna!
L’oggetto roteava abbastanza velocemente da poterle segare la testa…
Dreadknight puntò la sua lancia -al diavolo le
finezze! Un colpo di energia, e l’asse fu polverizzato.
“Tutto bene? Scusi le mie apparenze, ma…” Il cavaliere
era atterrato di fronte alla donna, che, caduta in ginocchio, stava cercando di
rialzarsi. Lei annaspava, urlava mozziconi incoerenti di parole, e non avrebbe
certo fatto caso all’aspetto del suo salvatore.
I suoi occhi
erano orbite vuote e sanguinanti.
Lui sobbalzò. “Occazzo..!”
Saltò a terra, e si chinò a cogliere la poveretta, che nelle sue braccia si
agitava come una forsennata. “Hunter! Lascia stare il recupero, ci penso io…Oh,
e qualcuno di voialtri sa in che condizioni è l’ospedale?”
Fu Lilith, questa volta
nella sua forma transpecie lupina, a rispondere. “Ci sono davanti. Sembra che
ci sia passato Attila; non riesco ad annusare anima viva, qui.” Aveva una
ragione in più, per essere frustrata: un ospedale voleva dire sangue, e in
quelle condizioni –il piccolo edificio demolito fino alle fondamenta, con poche
pareti rimaste miracolosamente in piedi- tanto valeva trovarsi in un cimitero!
Che le piacesse o no, avrebbe dovuto risparmiare le forze, o i mortali di
questo posto avrebbero avuto una ragione in più di preoccuparsi…
“Portala in chiesa,” disse Hobgoblin, che si librava
di fronte al sacro edificio in legno eretto al centro della città. Quando era
uno con Demogoblin, soffriva di paranoie religiose, ed era convinto di essere
un messia. In quello stato di follia, una cosa l’aveva imparata: in grandi
momenti di crisi, le comunità si radunavano in chiesa, come era successo, di
recente, a Sapanta[iii].
In chiesa, la donna avrebbe trovato aiuto.
Come se avesse intuito le
intenzioni degli stranieri, il vento si levò con forza insospettata…Ma contro
il crudo potere di Hobgoblin, era del tutto inefficace. Anzi, causò una sorta
di esaltazione nell’uomo-demone!
Meno contento fu Moonhunter, che di colpo si sentì
di stare cavalcando il padre di tutti i puledri selvaggi! “Whoa! Adesso
sappiamo che chiunque sia, è un Testimone di Geova…”
“Zachary!”
l’urlo di Nightshade arrivò troppo tardi: il bidone della spazzatura colpì lo
skycicle in pieno! Non era un colpo abbastanza forte da danneggiare il veicolo,
ma fu sufficiente a sbalzare la licantropa dal sellino!
Moonhunter fu svelto come la sua fama voleva: senza
perdere un secondo, estrasse la frusta che portava al fianco, e la scagliò per
afferrare la caviglia della sua compagna…
Purtroppo, il vento ebbe da
dire altrimenti. Una raffica deviò la frusta un attimo prima dell’aggancio!
La sua tattica si stava mostrando quella vincente:
Chiunque avesse attaccato Benson o non possedeva doti mistiche, o non si era
premunito per qualcuno capace di saltare tra le dimensioni.
Tagak apparve nell’ennesima casetta, passando
attraverso uno degli specchi. Ancora una volta, fu accolto dagli scricchiolii
strutturali. Alcune abitazioni già visitate avevano perso chi la porta, chi il
tetto…
Il suo naso lo percepì all’istante. Non ebbe bisogno
di andare di sopra, per verificarlo: il lezzo di morte permeava anche questo
posto. Tagak scosse la testa, tristemente. Altre vite sprecate, vite innocenti
macchiate dei loro piccoli peccati, ma niente
che potesse giustificare la morte. Meno che mai, la morte dei bambini il cui sangue si era unito a
quello dei genitori…
Tagak si voltò verso lo specchio, e vi entrò come se
il vetro fosse stato liquido.
Tagak era una creatura indubbiamente sensibile,
dotata di sensi eccezionali e degni di un onorevole guerriero di nome Devil con il quale aveva incrociato il
cammino tempo addietro[iv]…E,
come l’Uomo senza Paura, Tagak era totalmente cieco. Avrebbe potuto percepire una foglia cadere, o il più leggero
degli odori; avrebbe potuto avvertire una presenza che fosse amichevole od
ostile…
Non avrebbe materialmente potuto percepire la cosa che, da un angolo della scala che
portava al piano di sopra, zampettò come un ragno fino al punto occupato da
Tagak un attimo prima…Una cosa che sembrava un omuncolo, con occhietti bianchi
e un cranio che si apriva in due ampie ali curve all’indietro. Era nera, nera
come un frammento di tenebra.
La boccuccia senza labbra della creatura si stirò in
un sorriso…