Presenta

 

BRAN MAK MORN

 

 

IL DESTINO DEI RE

 

Di Carlo Monni

 

 

PROLOGO

 

 

Anno 306 Dopo Cristo. 1059 Ab Urbe Condita. 2° anno di Regno dell’Augusto Imperatore Flavio Valerio Costanzo Cloro. Caledonia, oggi nota, come Scozia.

 

            Il luogo è chiamato Scone ed è la sede dei Re dei Pitti del Nord, chiamati anche Caledoni. La costruzione è, invero, misera per i parametri dei Romani, i cui insediamenti, come la superba Eboracum,[1] sorgono orgogliosi a sud del Vallo di Adriano, ma, ciò nonostante, essa è pur sempre, la sede del Re. Fuori dalla costruzione stanno le sentinelle, sempre all’erta, in questo paese selvaggio. Sono dei tipici Pitti: bassi e seminudi, armati di lance, pronti a scagliarle su qualunque nemico, ma non pronti alla vista che si para loro innanzi. Tre figure, vestite di lunghe tuniche, i cui volti sono celati da un ampio cappuccio, da cui spuntano ciuffi di capelli, unico indizio che si tratta di donne, sono apparse improvvisamente fuori dalla spessa nebbia. I prodi guerrieri restano, per un attimo, sconcertati, poi ordinano alle tre figure di fermarsi, ma il loro avvertimento sembra non essere stato udito, perché le tre donne continuano ad avanzare. Uno dei guerrieri scaglia la sua lancia, ma questa interrompe, inaspettatamente, la sua traiettoria ricadendo ai piedi della figura al centro. I selvaggi guerrieri, fortemente superstiziosi, rimangono sconcertati, mentre le tre donne sono, ormai, dinanzi a loro. Se mai hanno avuto intenzione di dire o fare qualcosa, basta uno sguardo delle visitatrici a far passare in loro ogni velleità. Le tre figure li sorpassano e, senza curarsi di niente, entrano nella costruzione.

 

In una sala disadorna sta un seggio di pietra su cui siede un uomo insolitamente alto, dai lineamenti marcati, il fisico robusto ed i capelli lunghi e neri, trattenuti da un cerchio di metallo al cui centro spicca una piccola pietra brillante, non indossa altro che una pelle d’animale intorno alla vita e stivali fatti con la stessa pelliccia, il suo fisico possente è avvolto da un lungo mantello, al suo fianco sinistro pende una lunga spada, a quello destro, un corto pugnale. La sua presenza sovrasta quella dei suoi sudditi, che, oltre ad essere molto più bassi di lui, hanno anche un aspetto più feroce e selvaggio. Lui è il Re indiscusso dei Pitti Caledoniani: Bran Mak Morn è il suo nome. Assisa su un seggio, alla sua sinistra, sta una donna, più giovane di lui, anch’essa alta e dal fisico perfetto, indossa solo una corta veste che le lascia scoperte sia le braccia, che le gambe, il suo corpo è adornato da strani monili ed i lunghi capelli neri scendono, selvaggi, lungo le spalle, il petto e la schiena. Lei è Goneril, sorella minore del Re, tanto bella quanto selvaggia e spietata. Alla destra del Re, sta, in piedi, un vecchio dalla barba ed i lunghi capelli bianchi ed il cui corpo è ricoperto di tatuaggi; nella mano destra stringe un nodoso bastone di legno. Il suo nome è Gonar, un nome portato da intere generazioni di sciamani Pitti, sacerdote di una religione cupa e sanguinaria. E’ tra i più ascoltati consiglieri del Re, anche se, più di una volta, le loro opposte visioni sulla società Pitta ed il suo futuro si sono scontrate con forza.

In questo momento Bran sta attendendo ad uno dei doveri meno piacevoli del suo ruolo di sovrano, deve sedare una disputa tra due sudditi. Egli china la testa verso la sorella per sussurrarle qualcosa, o, forse, chiederne il parere, quando l’attenzione di tutti è attratta dall’ingresso delle tre donne incappucciate.

Grom, che si autodefinisce il Primo Servitore del Re, balza dinanzi al trono e punta la spada contro le nuove arrivate:

-Chi siete, donne? Sempre che siate donne e non creature dell’inferno! Se avete intenzioni ostili verso il Re, non vivrete sino a vedere l’alba!-

            La donna che si trova al centro, si fa avanti ed alza il volto, lasciando che il re la veda bene: i lineamenti sono finemente cesellati, la pelle è del color dell’avorio, i capelli rossi ricadono sulle spalle e sul petto, gli occhi sono di un verde intenso.

-Come potrebbero delle semplici donne indifese essere un pericolo per Bran Mak Morn, potente re dei Pitti di Caledonia?- chiede con voce ferma

-Chi siete voi, che viaggiate di notte per queste lande desolate?- chiede Bran, incuriosito, mentre il volto del suo sciamano si fa cupo, scrutando le tre donne.

-Chi siamo?- replica la donna –Noi siamo figlie della perduta Ashandriar e di Avalon, l’Isola che solo gli eletti possono trovare. Serviamo la Grande Madre Terra ed in suo nome abbiamo compiuto i riti dell’estate al grande Cerchio di Pietra con i druidi dei Celti.-

            Un mormorio corre tra i presenti, uomini e donne: Ashandriar ed Avalon sono due leggende sia tra i Pitti, che tra i Celti del Sud, ma tutti sanno in cosa sono istruite le donne di quei luoghi favolosi ed un timore gela i loro cuori, mentre solo uno osa dar voce a quel che pensano:

-Streghe!- esclama Grom, mentre Gonar si concede una smorfia che potrebbe essere un sorriso.

-Chiamaci come vuoi, uomo, qui noi siamo solo in veste di pellegrine che chiedono ospitalità.- ribatte la donna dai capelli rossi.

-Io dico di cacciarle via, prima che gettino su di noi la sfortuna- ribatte Grom.

-Io penso che sarebbe davvero scortese da parte nostra, fratello.- interviene Goneril –Io dico di conceder loro l’ospitalità che chiedono.-

-E l’avrete!- proclama, infine Bran –Nessuno chiede ospitalità al Re dei Pitti senza ottenerla. Per questa sera, sarete ospiti alla mia tavola e godrete della mia protezione. Che nessuno tocchi queste donne od assaggerà la mia collera.-

            Nell’uditorio nessuno osa replicare.

-Grazie o Re Bran, sapevamo che la tua generosità è pari solo al tuo valore.-

-Non lusingarmi, donna, non funzionerà con me. Ora, posso finalmente sapere i vostri nomi?-

-I nostri nomi? Cos’è mai un nome, un uomo od una donna sarebbero forse diversi, se i loro nomi fossero differenti da quelli che sono? Se, però, ci tieni a darci un nome, puoi chiamarmi Maeve ed il mio luogo d’origine sono le aspre colline dell’ovest, le mie compagne sono: Maeghan degli Iceni, dello stesso sangue dell’eroina Boadicea.-

…- indica la donna alla sua destra, anch’essa molto bella, pelle color del latte, capelli biondi, occhi di un azzurro profondo e poi, l’ultima donna, dai capelli neri e gli occhi grigi in cui è chiara l’origine Pitta -… e questa è Gwyneth dell’aspro Nord.-

 -Siederete, alla mia tavola, accanto a me.- ribadisce Bran. Lo sguardo delle tre donne lo turba e lui sa bene che non è solo il desiderio carnale, indubbiamente presente, ma anche qualcos'altro, qualcosa di indefinibile, come un’oscura premonizione.

 

 

1.

 

 

Al banchetto, le tre donne siedono in cerchio accanto al Re, a sua sorella ed allo sciamano Gonar. Gli occhi di tutti sono fissi su di loro, ma esse non fanno altro che mangiare e bere in silenzio, poi è Goneril a rompere il silenzio:

-Cosa vi porta così a nord e qual’è la vostra meta?- chiede alle tre ospiti

-Noi andiamo dove ci chiamano i venti del destino, Signora dei Pitti.- risponde quella chiamata Maeve –Ieri eravamo al Grande Cerchio di Pietra nel Sud, domani, forse, saremo tra le aspre scogliere del nord ovest.-

-Le scogliere del nord ovest?- esclama Goneril –Ma nessuno vive laggiù, in quel territorio aspro, eccetto…- e s’interrompe, sconcertata e, forse, preoccupata.

-…eccetto colui che unisce all’antica sapienza degli sciamani Pitti, le magie degli uomini del Nord ed il cui potere è temuto da tutti.- interviene Gonar.

            Maeve sostiene lo sguardo dello Sciamano e replica con un sorriso sibillino.

-Siete davvero streghe, dunque?-chiede Bran

-Ancora usi parole che non bastano a definirci, o Re.- replica colei che è chiamata Maeve –Comunque...- replica Maeve -… se desideri un saggio delle nostre arti, te lo daremo volentieri. Per ringraziarti della tua ospitalità, ti mostreremo ciò che ti attende nel futuro, se non ti spaventa vedere cosa ti riserva il fato.-

-Io non ho paura di nulla.- ribatte Bran –Le ombre non possono ferirmi e qualunque cosa sia di carne e sangue deve temere il mio braccio ed il filo della mia spada.-

-Parole coraggiose, mio re…- interviene quella chiamata Maeghan -… non dubito che ne sarai all’altezza.-

            Con un gesto, getta qualcosa sul fuoco e dalle fiamme si alzano volute di fumo da cui prendono consistenza delle immagini:

-Osserva, Bran Mak Morn, osserva il lontano passato. I tempi prima del grande cataclisma, quando Valusia era l’Impero più grande di tutti e Kull il suo fiero e Barbaro Re ed al suo fianco stava il Pitto Brule, l’Uccisore con la Lancia, tuo antenato. All’epoca, i Pitti erano una nazione forte e fiera che pochi osavano sfidare e molti volevano come alleata. Dopo il cataclisma che affondò Atlantide, quando le Isole dei Pitti divennero montagne e terre emerse, i Pitti ridivennero selvaggi e sfidarono sia la potenza di Aquilonia, che i fieri Cimmeri del gelido Nord, abbattendo imperi e guglie dorate e quando, infine, un nuovo cataclisma scosse il mondo, le loro terre divennero le isole chiamate Britannia ed Erin ed i Pitti erano signori di tutta la Britannia, finché dalle coste del grande continente e dall’isola di Erin arrivarono i Celti e spinsero i Pitti fin su nell’estremo nord, che essi difesero da ogni invasore, compresi i Romani, che tutto avevano conquistato. Qui arrivi tu, Bran Mak Morn del Clan del Lupo ed unisci le 28 tribù sotto il tuo dominio, nel regno che alcuni chiamano Caledonia ed altri Alba o Albione. In difesa della tua gente hai sfidato i Vermi della Terra, detti anche i Figli della Notte, per usarli contro il Tribuno Tito Silla[2] ed infine hai sconfitto le Legioni Romane con l’aiuto del leggendario Kull, richiamato dalle ere passate dalla magia del tuo sciamano e del suo lontano antenato dell'era di Valusia.-[3]

            Le immagini descritte da Maeghan sembrano vive a chi le osserva, per poi scomparire nel fumo. Allora si avanza quella chiamata Gwyneth e fa un gesto verso la fiamma, che si ravviva e dal fumo escono nuove immagini.

-Tu stai preparando un’incursione verso sud, Bran, per spazzar via gli insediamenti più a nord, vicino al Vallo di Adriano, e giungere fin sotto le mura di Eboracum. Hai radunato tutti i tuoi uomini validi, stretto un patto con i Pitti del Sud e con tutti coloro Britanni o di Erin, come il prode Cormac Na Connaucht, perché si uniscano a te in quest’impresa. Sappi che i Romani si stanno preparando ed in questo stesso momento le loro legioni si stanno ammassando ad Eboracum per il contrattacco, lo stesso Costanzo, detto Cloro, di recente innalzato al rango di Augusto, è sbarcato in Britannia per combattervi.-

-Che lo faccia.- esclama Bran –Un vero guerriero Pitta non teme i cani romani o i loro imperatori. Non mi dici nulla che già non sappia, donna.-

-Allora, forse, è il momento di parlare del futuro.- Dice la donna di nome Maeve ed ancora, tra il fumo appaiono, ancora, nuove immagini.

-Scorrerà molto sangue, sia romano, che Pitta, che Britanno. Incontrerai un uomo senza età, che ti aiuterà nell’ora del bisogno ed impegnerai battaglia con l’imperatore Romano stesso, le vostre lame cozzeranno l’una contro l’altra.-

-Io contro l’Augusto?- esclama, ancora, Bran -Per gli dei, che battaglia sarà quella! Sapete anche chi ne sarà il vincitore?-

-Non vi sarà vincitore.- gli risponde Maeve –Entrambi perirete, l’uno per mano dell’altro, così è scritto nel libro del destino. Tuttavia, Il destino è nelle tue mani, Bran Mak Morn, Re dei Pitti e tu puoi cambiarlo. Se non dirigerai il tuo esercito su Eboracum, vivrai; se, invece, lo farai, il tuo nemico perirà, ma tu perderai la tua vita. Scegli liberamente, Bran Mak Morn, tua sola è la scelta!-

            Tutti tacciono e, dopo un istante volgono i loro sguardi verso il Re. Bran resta in silenzio, cupo, poi, infine, si alza.

-Non ho mai dato credito alle profezie, sono come il mutevole vento e non sempre si avverano. Se, dunque è questo il destino che mi aspetta, se è scritto che la  grande spedizione mi costerà la vita, ebbene, è stata una vita degna di essere vissuta. La vita di un uomo è decisa dal suo valore ed è appesa al filo della sua spada. Accada quello che accada, Bran Mak Morn vivrà e morirà come si conviene al Re dei Pitti, o non sarà degno del suo nome e del titolo di Re!-

            Così dicendo fissa le tre donne con aria di sfida. Maeve si inchina e dice:

-Con il tuo permesso, Bran, noi tre ci ritiriamo per la notte.-

-Permesso accordato.-

            Mentre le osserva uscire, Bran si chiede se lui riuscirà a dormire quella notte.

 

Il sonno del re è agitato da sogni di battaglia e di morte, e su tutto torreggia la visione delle tre donne e la loro voce che grida all’unisono:

-Il giorno che ci rivedrai, tutte e tre, sarà il giorno del tuo destino, sappilo. Ed ora addio Bran, noi ti abbiamo detto ciò che dovevamo, ora tocca a te. Scegli: una vita alla guida del tuo popolo o la morte da guerriero sui campi di battaglia…

SCEGLI!-

            Bran si sveglia ed ai piedi del suo giaciglio trova lo Sciamano Gonar. Come al solito, predilige un’entrata drammatica.

-Le tre streghe sono andate via, Bran, sparite, come se non fossero mai state qui.-

-Ma sono state qui, vero, sciamano?- replica Bran –E la loro profezia era vera, no?-

-Io… credo di si.- risponde Gonar.

            Bran abbassa la testa, poi impugna il suo diadema, il cerchio con la pietra al centro, una pietra che, dicono le leggende della sua gente, il mitico Brule ebbe in dono da Re Kull di Valusia e che, da allora, è stata tramandata di sovrano in sovrano.

-Sia quel che deve essere allora.- conclude –I Romani sentiranno presto la furia dei Pitti e Bran Mak Morn sarà alla loro testa, questo è il mio giuramento!-

 

 

2.

 

 

            Eboracum, nella Britannia Romana. L’uomo ha circa 50 anni e veste l’abito di un ufficiale romano, sormontato da un ampio mantello, si chiama Flavio Valerio Costanzo e da un anno è il nuovo Augusto dell’Occidente, uno dei reggitori di quello che, forse, è il più grande impero che il mondo abbia conosciuto. Al suo fianco sta un uomo di circa trent’anni, suo figlio, Flavio Valerio Costantino, che veste le insegne di alto ufficiale, le stesse degli altri interlocutori di suo padre.

-E così…- sta dicendo Costanzo -… le incursioni dei Pitti continuano?-

-Si, grande e potente Augusto.- risponde il Legato Publio Servilio Tacito –Attaccano gli insediamenti vicini al Vallo di Adriano e si dice che il loro Re progetti una grande spedizione a cui non parteciperanno solo i Pitti.-

-Il Re dei Pitti…- mormora Costanzo -… è sempre Bran Mak Morn, forse? Ho molto sentito parlare di lui sin dai tempi in cui ero Cesare ed anche prima. Si dice che abbia prestato aiuto al pretendente Allecto, circa dieci anni fa.-

-Mi sembra impossibile, Grande e Potente Augusto, Bran odia tutti i Romani.-

-Sia come sia, se quei selvaggi seminudi oseranno spingersi sin qui, nulla potranno contro le mura di questa fortezza. Tu che ne dici, figlio mio?-

            L’uomo che un giorno, sarà conosciuto come Costantino il Grande, fissa, risoluto, il padre.

-Io credo, padre…- dice -… che se il Re dei Pitti, scenderà a sud, sarà nostro dovere insegnargli che non si sfida impunemente il potere di Roma.-

-Credo che tu abbia ragione, figlio. Insegneremo a qui barbari a stare al loro posto, una volta per tutte! Che osino venire a sud, daremo loro una lezione che non dimenticheranno facilmente!-

            O loro la daranno a noi, pensa Publio, per oltre 250 anni questi selvaggi ci hanno sfidato con successo, resistendo ad ogni nostro tentativo di assoggettarli come abbiamo fatto con tutte le altre tribù della Britannia. L’Augusto dimentica che il Vallo di Adriano fu costruito per tenere sotto controllo la loro furia ed è quella furia che dovremo affrontare.

 

            Molto più a nord, Bran Mak Morn cavalca per la brughiera. Com’è sua abitudine, è solo, e, così, è l’unico ad udire i rumori, facilmente identificabili come quelli di un combattimento, proprio aldilà di una collina. Superata l’erta, Bran vede un gigante dai lunghi capelli biondi che si difende da una banda di predoni. Il Re dei Pitti non perde tempo a pensare, sprona la sua cavalcatura ed irrompe nel mezzo della battaglia, lanciando un grido selvaggio e menando fendenti col suo spadone. In breve tempo, i predoni sono messi in fuga e Bran ha, finalmente, modo di esaminare l’uomo che ha aiutato: è, indubbiamente, un uomo del Nord, proprio come aveva immaginato. È alto, robusto e con occhi azzurri dallo sguardo franco; sorride, mentre gli tende la mano destra aperta.

-Ti ringrazio dell’aiuto.- gli dice lo straniero –Non capita spesso di riceverne in queste lande desolate.-

-Io sono Bran Mak Morn e questo è il mio regno. Nessun viandante viene assalito, se io posso impedirlo. Tu sei chiaramente un uomo del lontano nord, oltre quest’isola. Ne ho conosciuti altri come te, anche se, in genere, portavano la barba. – Replica Bran, afferrando la mano tesa e, poi chiede: -Cosa ti porta tanto lontano da casa, uomo del Nord?-

-Sono molto più lontano da casa di quanto tu possa credere, o Re, la mia antica patria è, ormai, perduta nella leggenda ed io non potrò mai ritrovarla.-

-Qual è il tuo nome?-

            Ancora, l’uomo abbozza un sorriso:

 -Ho avuto molti nomi nella mia lunga esistenza. Molti anni fa, un saggio di nome Aristotele mi disse che io ero destinato ad essere un vagabondo e mi chiamò col nome dell’eroe di un poema epico della sua terra: Ulisse. Mi piacque e lo adottai come mio. Da allora sono chiamato Ulisse dalla Pietra di Sangue.-

            Pietra di Sangue? Solo allora, Bran sembra notare, per la prima volta, quello che sembra un grosso rubino incastonato proprio nel petto del suo interlocutore, seminascosto dalle pelli che lo ricoprono. Avrebbe delle domande, ma decide di lasciarle per un altro momento, piuttosto, si rivolge all’uomo e gli dice:

-Se lo desideri, sarai mio ospite.-

-Ne sarò onorato, o Re dei Pitti.- risponde lo straniero ed insieme, i due prendono  a cavalcare verso le dimore dei Pitti.

 

 

3.

 

 

            L’ospite fa onore al banchetto e perfino il diffidente Grom non sembra aver molto da dire sul suo conto. Goneril d’altra parte, sembra letteralmente affascinata dai racconti che l’uomo chiamato Ulisse fa di alcune sue passate imprese. Quelle storie di esseri mostruosi sembrano la classica vanteria del cacciatore intorno al fuoco, ma Bran sente che sono veri. Del resto perché proprio lui dovrebbe dubitare di ciò, con tutte le esperienze avute in passato? Pochi come lui e Gonar sanno che c’è un mondo aldilà delle comuni percezioni, dove esistono creature che sono nemiche naturali dell’Uomo. Piuttosto, osserva preoccupato sua sorella allontanarsi con lo straniero.

Se è certo di aver inquadrato l’uomo, e di solito è un buon giudice in questo, crede di poter dire che non si fermerà a lungo. È uno spirito inquieto, predestinato a non aver mai una casa. Sa che Goneril non l’ascolterà, è fiera, indipendente e si è sempre presa gli uomini che voleva quando voleva, come quell’uomo del nord di alcuni anni fa. Secondo le leggi dei Pitti, sarà suo figlio ad ereditare il trono quando Bran sarà morto, ma sua sorella non ha ancora scelto un compagno e questo getta una luce sinistra sul loro futuro.

            Gonar si avvicina a Bran

-Stavo osservando la pietra color sangue incastonata nel petto dello straniero.- dice al Re –Anni fa, ne vidi una simile nel petto di un malvagio stregone, che affrontai nelle ventose regioni del nord.-

-Dimmi!-

-Il suo potere era grande, nessuna arma poteva ferirlo, la mai magia poté solo spingerlo in un sonno simile alla morte e lo fermai.

-Temi che lo straniero sia malvagio?-

-No, non sento vibrazioni negative da lui, ma attento Bran, ricorda la profezia. Un uomo senza età ti aiuterà e lui racconti di tempi troppo remoti perché un uomo comune possa averli visti.

            Bran corruga la fronte:

-Vedremo, cosa accadrà domani, vecchio.

 

            Nella città romana, Costanzo è già in piedi di buon ora e si prepara alla battaglia, arringando i suoi generali.

-Compatrioti, legionari, sono venuto qui per schiacciare i Pitti e vi garantisco che lo faremo. Che si facciano rivedere, noi combattiamo per la gloria di Roma e non falliremo.-

            Tutti assentiscono, come potrebbero dei selvaggi avere la meglio sul migliore esercito del mondo?

 

            I Pensieri dell’uomo che si fa chiamare Ulisse, sono lontani, vanno verso luoghi e temo dimenticati. Per oltre 8000 anni ha cacciato i mostri che ha conosciuto sperando di rimettere insieme la sua vita, ma, ormai non crede più che la ricerca avrà mai fine. Guarda la donna che è in piedi di fronte a lui nella stanza che Bran gli ha messo a disposizione, è la sorella del Re ed è molto bella. Lui sa cosa vuole e non dice niente, mentre lei si toglie i vestiti e l’abbraccia. Nella sua lunga vita ha avuto molte donne, non ne ha amate tante, ma, alla fine, le ha perse tutte. È la sua maledizione: non invecchiare, vivere in eterno e vedere coloro a cui tiene, invecchiare, avvizzire ed, infine, morire. Ha imparato a prendere l’affetto o la semplice soddisfazione sessuale, se è per questo, quando e come capita, senza farsi troppe domande. Si lascia andare sul giaciglio con la ragazza e lascia che i suoi pensieri scivolino via, come l’acqua dei fiumi.

 

 

4

 

 

            L’alba sorge sulla brughiera e trova Bran Mak Morn già sveglio, pronto ad ispezionare il campo, prima della partenza. Con lui c’è anche Ulisse.

-Ti unirai a noi contro i Romani, amico delle terre del Nord?- gli chiede Re Bran.

            Il biondo alza gli occhi a guardare il sole, poi sorride:

-Perché no? Devo ripagare la tua generosità di ieri, mio Re.-

-Il mio nome è Bran.- risponde pacato Bran –Puoi chiamarmi così, se ti va. Oggi è una giornata adatta per combattere, i romani assaggeranno il sapore del ferro Pitta.

-Cerchi la gloria nella guerra, Bran? Io dubito che ci sia.-

-Eppure essa è necessaria, spesso, per difendere il tuo territorio, per scacciare gli invasori per costruire il futuro della tua gente.

-Ho viaggiato molto e per molti anni.- dice l’altro –Ho visto imperi, un tempo potenti, farsi polvere e città orgogliose cedere sotto i talloni dei conquistatori e quei conquistatori cedere, a loro volta, sotto le spade di altri conquistatori e mi sono chiesto che senso avesse tutto questo. Poi ho smesso di farmi simili domande e sono andato avanti.-

-Confesso di non capirti, straniero, ma se la tua spada combatterà per i Pitti, io so quel che mi serve sapere di te. Che oggi si viva o si muoia, noi dimostreremo il nostro valore al nemico.

 

            Eboracum, qualche giorno dopo. Le notizie giunte alla città non sono incoraggianti. I Pitti sono sciamati oltre il Vallo di Adriano ed hanno attaccato alcuni presidi ed insediamenti isolati, uccidendo e bruciando. Si dice che non si fermeranno, se non sotto le mura di Eboracum stessa e Costanzo è deciso a provocare una battaglia in campo aperto. Anni di esperienza in quei luoghi gli hanno insegnato che i soldati romani non sono adeguatamente preparati alle tecniche di guerriglia dei Pitti, ai loro agguati, al loro colpire e ritirarsi, mimetizzarsi con le ombre e colpire da ogni albero ed ogni cespuglio… ma, se riesce a spingerli ad una battaglia tradizionale, allora la disciplina e l’addestramento delle sue truppe avranno, certamente, la meglio. È a questo che pensa, sdraiato nel suo ricco giaciglio nella sua stanza ed, ignora che il destino gli ha fissato un appuntamento proprio questa stessa notte.

 

            Le sentinelle sugli spalti sono nervose e ne hanno ben ragione, perché, all’improvviso, una freccia si conficca nel collo di una di loro che si abbatte con un grido strozzato. Subito dopo, un’orda di Pitti si arrampica lesta sulle mura.

            Costanzo è svegliato dal rumore e balza dal suo giaciglio indossando rapidamente la corazza e le armi.

-Cosa sta succedendo?- chiede imperiosamente

-I Pitti ci stanno attaccando, o grande Augusto.- risponde un Centurione –Stanno scalando le mura.-

-Come osano quei selvaggi? Li ricacceremo sulla punta delle nostre spade.

-Si arrampicano come scimmie, padre.- gli dice il figlio Costantino, accorso al suo fianco.

-E come scimmie li tratteremo. A me soldati di Roma, ricacciamo questi pezzenti nelle loro tane!-

            La battaglia è intensa, ma breve, i Pitti vengono, infine, respinti aldilà delle mura, ma Costanzo non è soddisfatto.

-Non consentiremo loro di fuggire per poi tornare a minacciarci. Questa volta daremo loro una lezione indimenticabile.

 

            . Bastano pochi minuti e le truppe romane sono pronte all’inseguimento. Alla loro guida, l’Augusto in persona ed al suo fianco suo figlio Costantino. Si lanciano al di fuori delle mura, all’inseguimento dei Pitti fuggiaschi. La prima è la cavalleria, seguita dalla fanteria. Con spietatezza colpiscono gli avversari che fuggono a piedi. L’ordine dell’Augusto è chiaro: “Niente prigionieri”.

            Il Legato Publio Servilio Tacito è preoccupato..La forza che ha assalito la fortezza era troppo piccola.Si chiede se dovrebbe render noti i suoi dubbi a Costanzo, quando questi parla:

-Non vedo il loro Re, che fine ha fatto Bran Mak Morn?-

            Come in risposta alla sua invocazione, su un vicino rilievo appare un cavaliere. Avvolto nel suo ampio mantello, con in capo l’insegna del suo potere, Bran da il segnale che i suoi seguaci attendevano.

 

 

5.

 

 

            Sulla piana di Scone sta, seduto, lo Sciamano dei Pitti. I suoi tatuaggi sembrano brillare alla luce della livida alba ed i suoi occhi sembrano scrutare immagini lontane, scene che si svolgono a miglia di distanza più a sud. Gonar è l’ultimo della sua stirpe, una lunga genealogia di sciamani che ha servito i capi dei Pitti sin dall’alba della Razza. La sua mano traccia strani simboli sul terreno, la sua espressione è cupa

-Cosa vedono i tuoi occhi Gonar e qual è il significato di quei simboli?-

A parlare è stata Goneril, sorella di Bran Mak Morn. Gonar non si muove, continua a tracciare i suoi segni, usando la punta del suo bastone ed intanto parla alla donna alle sue spalle:

 -Sto osservando la battaglia nella brughiera di fronte alla città dei romani.-

            La ragazza non mette in dubbio le parole di Gonar, conosce anche troppo bene le capacità del vecchio stregone e se dice di vedere il lontano campo di battaglia, lei gli crede. Ora i suoi pensieri vanno a suo fratello, Fin da quando lei era appena nata e lui solo un ragazzino, Bran mostrò le capacità del vero capo. Chi altri, dopo la morte del loro zio, capo del Clan del Lupo, avrebbe avuto le capacità di unire tutte le Tribù sotto un unico comando? Chi avrebbe potuto convincere i riottosi Pitti del Sud ad accettare di marciare sotto un'unica bandiera? Chi avrebbe mai potuto farsi alleati i fieri Scoti di Dalriada, figli della verde Erin? Chi altri poteva infliggere tante sconfitte agli invasori Romani? Se oggi dovesse morire, come profetizzato dalle tre streghe, che ne sarebbe del suo sogno di una forte nazione Pitta? Bran non ha eredi diretti ed anche se li avesse, ciò non avrebbe importanza. Secondo il costume dei Pitti, il potere regale si trasmette secondo la discendenza femminile, ma Goneril non ha ancora scelto uno sposo ed il nuovo Re sarà, dunque, uno dei suoi cugini. La donna si accorge che il flusso dei suoi pensieri l’ha distratta dal fatto che Gonar non ha risposto ad una delle sue domande e la ripete:

-Qual è il significato di quei simboli?-

            Lo stregone fa una smorfia e risponde:

-Questo è il simbolo di antiche creature che solo gli sciamani Pitti sanno comandare. Io ho chiesto il loro aiuto e, se ve ne sarà necessità, la loro forza verrà scatenata contro i Romani.-

Ed è saggio vecchio Gonar? Non fosti tu a dire che le creature delle tenebre non dovrebbero mai essere risvegliate dal loro sonno? Che il prezzo del loro aiuto è sempre troppo alto da pagare?-

-L’ho detto, si, e non sarò io a farlo, infatti, ma non sono l’unica forza in gioco, oggi.-

-Che intendi dire?-

-Io mi auguro che non succeda, ma, se dovesse accadere, Vedrai.- è la sibillina risposta di Gonar.

 

            Più a sud, sul campo di battaglia, Bran Mak Morn fa un gesto con la mano ed alle sue spalle, un arco viene teso ed una freccia viene scoccata in direzione dei Romani. A quel segnale convenuto, ecco che la brughiera si anima: decine, centinaia di Pitti si alzano dall’erba in cui erano stati acquattati sinora, e colpiscono senza pietà. Le loro lance sventrano i cavalli, facendo cadere i cavalieri dell’avanguardia romana, per poi colpirli prima che possano riaversi dalla sorpresa.Più indietro, i fanti si trovano aggrediti da nemici che sbucano da sotto i loro piedi. I fieri Pitti, praticamente nudi e col corpo dipinto, urlano ferocemente, mentre le loro lance affondano nei corpi dei nemici presi di sorpresa.

            Una trappola, pensa Publio, mentre il suo cavallo cede e lui riesce a balzare a terra, l’assalto alla città era solo un diversivo per attirarci allo scoperto. Con questa consapevolezza, evita un colpo di lancia e ribatte con un affondo di spada, trafiggendo il Pitto che l’ha affrontato.

 

            Ancora Bran alza il braccio destro ed a questo segnale, dagli alberi ecco uscire una serie di piccoli carri a due ruote, alle cui ruote sono assicurate delle lame di falcetto. A bordo dei carri, tre uomini armati. È il piccolo esercito di Cormac Na Connaught, ovvero Cormac di Connaught, signore dell’omonimo regno della verde isola di Erin, ad ovest. I carri dei Celti sciamano sul campo di battaglia e qui smontano dai carri, per avventarsi, urlando, sui Romani.  Nello steso momento, Bran dà l’ordine finale e lui ed i suoi cavalieri piombano sui Romani, lanciando le loro urla di battaglia.

 

 

6.

 

 

            Quel demonio di un Pitto, pensa Costanzo con rabbia, non disgiunta dall’ammirazione, li ha attirati in una bella trappola! Ma ne usciranno, ce la devono fare. Nel parapiglia, è rimasto appiedato anche lui, ma non ha importanza. Ha passato la sua vita sui campi di battaglia e non sarà un piccolo inconveniente a fermarlo. Evita il colpo della lancia di un Pitto e gli affonda la spada nel cuore. Nel centro della scena vede un uomo, che si batte come un leone, ma non è un Pitto e nemmeno un Celta: i suoi capelli sono biondi e sembra, piuttosto, un Germano od un appartenente ad un’altra popolazione dell’estremo nord, ma, fatto strano, gli sembra di averlo già incontrato anni fa, ma non è possibile. All’epoca lui era solo un ufficiale novellino e sono passati almeno trent’anni e quell’uomo sembra sempre uguale. Dev’essere il figlio, oppure... ricorda quel che si diceva di quel, guerriero e, per un attimo, ha paura.

 

            L’uomo chiamato Ulisse non sente niente, solo la furia della battaglia, il furore selvaggio che, a volte, prende i membri della sua razza sin dai tempi più antichi. La sua spada colpisce, seminando il vuoto tra i nemici, quando, una lancia romana si conficca nel suo petto. L’uomo del Nord barcolla sotto l’impeto del colpo, ma, non appena la lancia viene ritirata, la ferita inizia a guarire e, pochi istanti dopo, è come se non ci fosse mai stata, mentre la rossa pietra incastonata nel suo petto brilla. Il soldato romano esclama:

-Magia!-.          

            Con un colpo netto della sua lama, Ulisse gli stacca la testa dal collo.

 

            Bran ha osservato la scena, stupefatto. A quanto apre, il suo nuovo amico ha una grande magia che lo protegge dall’essere ferito. Benedizione o maledizione? Se un uomo non può morire, che senso ha il suo valore? Mentre continua a pensare a ciò, il Re dei Pitti ha continuato ad avanzare in un campo di battaglia dove i soli rumori che si sentono sono il clangore delle spade e le urla dei morti e moribondi, mischiate e quelle degli eserciti in battaglia. Lo sguardo del Re si posa, per un attimo, su una piccola altura e lì le vede: le tre viandanti, le tre streghe, come le aveva chiamate il fido Grom. È la visione di un attimo, il tempo di uno sbatter di ciglia e non ci sono più. “Il giorno che ci rivedrai, tutte e tre, sarà il giorno del tuo destino.” Aveva detto uno di loro, quel giorno è, dunque, giunto?-

-Bran Mak Morn!-

            Il suono del suo nome veniva non dalla lingua di un Pitto, ma da quella di un Romano e Bran si volta per vedere un uomo con le insegne del comando. Sa chi è, ha visto una moneta con inciso un volto simile a quello, una volta.

-Costanzo!- esclama a sua volta.

            I due sovrani si fronteggiano senza parlare e, del resto, cosa potrebbero dirsi? Poi, con un urlo feroce, il Re dei Pitti si lancia a spada sguainata contro l’Imperatore dei Romani.

 

 

7.

 

 

            Le spade cozzano l’una contro l’altra. I due contendenti si dimostrano bravi guerrieri, ognuno di loro anticipa le mosse dell’altro, senza perdere terreno.

-Sei in gamba, selvaggio!- dice Costanzo.

-Anche tu, Romano, sei un bravo combattente.- risponde Bran in latino.

-Conosci la mia lingua? Sono sorpreso.-

-Per mesi, mi sono finto ambasciatore della mia gente ad Eboracum, ne ho appreso quanto basta.

-È davvero un peccato che tu sia un nemico di Roma!-

-Voi non avete amici, solo servi e, finché io vivo, non sarò mai il servo di nessuno!-

            Lo scambio di battute, non ha impedito il continuare del duello, con cui nessuno osa interferire, come, se una mano invisibile tenesse a bada i gruppi di contendenti.

 

            Poco distante, il biondo Ulisse, ha continuato a combattere, falciando i nemici come fossero grano, sino a trovarsi di fronte un ufficiale romano, uno, i cui capelli sembrano biondi come i suoi.

-Tu non sei umano!- esclama il romano –Ho visto spade e lance colpirti, ma tu non hai nemmeno una ferita.-

            Ulisse fa un amaro sorriso ed avanza:

-Vattene soldato. A che serve combattere, ormai?- dice.

-Io devo aiutare mio padre.-

-Tuo padre? Sei il figlio dell’Augusto? Lascia che lui e Bran combattano la loro battaglia, è il loro destino non il tuo e nemmeno il mio.-

-Togliti dalla mia strada, oppure, immortale o no, troverò il modo di sconfiggerti.-

            Magari tu potessi, pensa Ulisse, ma non avrò mai la pace della morte, finche non avrò adempiuto alla mia missione, finché non avrò ucciso il mostro che mi ha reso ciò che sono ora.

            Ancora una volta, le spade si scontrano.

 

            Da quanto dura il duello? Nessuno dei due contendenti saprebbe dirlo, ma è solo questione di tempo, prima che un colpo vada a segno ed, infine, il privilegio tocca al Romano. Costanzo coglie un attimo in cui la guardia di Bran è scoperta ed affonda la lama della sua spada. Con un grido, Bran osserva il sangue sfuggire dalla ferita, ma non si ferma e si lancia verso l’avversario.

 

-NO!- esclama Gonar e le sue dita tracciano, rapide, nell’aria, un segno.

 

            A miglia di distanza, nell’estremo nord dell’Isola, in un luogo situato a ridosso di un precipizio naturale, battuto dalle più feroci e gelide correnti che il Mare del Nord possa offrire, sta un uomo, un Pitta, più alto di quanto siano di solito quelli della sua razza, il fisico asciutto ed atletico, i capelli neri e lunghi su una carnagione forgiata dal mare. Sul suo petto sono dipinti strani simboli di una lingua dimenticata da Dei ed uomini. Indossa solamente un perizoma ed una cappa dai colori nero, azzurro e verde. Nel momento stesso in cui Gonar traccia il suo segno nell’aria, egli compie un gesto simmetrico a quello dello Sciamano dei Bran e, poi, le sue labbra si stendono in un sorriso maligno.

-La morte colpirà i nemici dei Pitti stanotte.- mormora –Ma tu, Gonar, pagherai il prezzo dovuto per i miei servigi.-

 

            Con un ultimo slancio, Bran si precipita su Costanzo e lo colpisce, al petto con la spada, poi, entrambi ricadono a terra, inerti.

-Padre!- urla Costantino e si distrae, consentendo ad Ulisse di colpirlo e disarmarlo, puntandogli la lama alla gola.

-Uccidimi, dunque, se è questo che vuoi.- esclama fieramente il giovane.-

-No!- ribatte l’altro –La battaglia è finita.Noi prenderemo i nostri caduti e voi i vostri e torneremo alla nostre case. Il Re dei Pitti è ferito, forse morto, e lo stesso può dirsi di tuo padre. Che la guerra continui un altro giorno.-

            Costantino riflette in silenzio, poi risponde:

-Così sia, dunque, per oggi.-

 

8.

 

 

            I Romani riprendono la strada per Eboracum. Su una lettiga, giace Costanzo Cloro, la sua ferita è grave e lui delira.

 

            I Pitti ed i loro alleati superano, ancora una volta, il Vallo di Adriano e sostano per la notte. Nella sua tenda, Bran Mak Morn giace, in preda alla febbre.

            Il rumore di cavalli al galoppo spinge le sentinelle all’erta, ma i nuovi arrivati sono subito identificati: sono Goneril e Gonar. La donna salta da cavallo e si rivolge al fido Grom:

-Mio fratello…-

            Senza parlare, Grom indica la tenda e li segue. All’interno, accanto al giaciglio di Bran ci sono i suoi compagni d’avventura, il rosso Cormac Na Connaught ed il biondo Ulisse. I loro volti mesti, dicono tutto quel che c’è da sapere ai nuovi arrivati. Goneril si china su di lui.

-Bran…- mormora.

            Lui apre gli occhi e la vede.

-Sorella…- dice -… non dolerti per me. Per ogni uomo viene l’ora in cui deve… incontrare i suoi dei… ho vissuto bene, sono stato un guerriero e sono caduto per mano di un uomo prode, non temo di morire io…- il suo tono si addolcisce, la sua mano stringe quella della sorella, mentre esclama: -Tu! Sei così bella… così bella!-

            La sua testa ricade indietro e non si muove più.

-È morto.- dice, semplicemente Gonar, mentre Goneril, con la testa sul petto di Bran, piange.

-Cos’ha detto, prima di morire?- chiede Ulisse –Sembrava che vedesse qualcuno, una donna.-

            Gli risponde Cormac:

-Noi di Erin crediamo che la morte dei prodi sia pianta dalla fata Shan Van Vocht, Bran non è uno di noi, ma era nostro amico, io credo sia lei che ha visto e che ora lo stia accompagnando nell’altra vita.-

-Si, nessuno lo merita più di lui. –commenta Ulisse.

 

            Nella sua stanza ad Eboracum, Costanzo riposa. La sua ferita è grave, ma la sua fibra è forte e può sopravvivere se è fortunato.Purtroppo per lui, la fortuna gli ha voltato le spalle.

            Improvvisamente apre gli occhi e vede di fronte a se qualcosa che sembrano due occhi di fuoco. A poco a poco, la vista gli si schiarisce e vede cosa è in piedi a fianco del suo letto. La sua mano corre ala ricerca di una spada, ma è inutile, ha solo il tempo di urlare.

            Richiamati dall’urlo, suo figlio ed il Legato Publio Servilio Tacito entrano nella stanza, ma non c’è nessuno… a parte Costanzo, con lo sguardo rivolto al soffitto e gli occhi sbarrati. Morto. Nell’aria ristagna un lieve odore di zolfo.

 

             Lo sciamano Gonar è solo, in piedi di fronte ad un monumento megalitico, alle sue spalle, una voce dall’oltretomba:

-Gonar! Devi pagare il prezzo!-

            Il vecchio si volta. Dinanzi a lui un demone di fuoco, che si solidifica sempre più. Lo sciamano mormora:

-Sono pronto, sapevo che sarebbe arrivato questo momento.-

-Colui che evoca i figli di Jhebbal Sag, sa che c’è un prezzo da pagare, quel prezzo è la tua vita.-

-Fa quel che devi alla svelta, demone e, prima di tornare al tuo inferno, riferisci al tuo padrone come ha saputo morire Gonar dei Pitti Caledoni.-

-Fermo mostro! Nessuno morirà stanotte, non finché io potrò impedirlo!-

            A parlare è stato Ulisse, che avanza con la spada sguainata:

-Patetico mortale, pagherai per al tua arroganza!-

            Il demone gli si avventa contro, ma Ulisse evita il suo attacco e comincia a colpirlo.

-Un semplice mortale, dici?- replica –la tua genia mi conosce bene: il mio nome è Ulisse dalla Pietra di Sangue, ma sono anche conosciuto come l’Uccisore di Mostri!-

            Con decisione, egli si avventa sul demone, menando fendenti su fendenti. Egli sa che, se un demone prende consistenza fisica, è vulnerabile all’acciaio. Ricorda i racconti della sua infanzia su Re Conan e le sua avventure.

La sua pietra lo protegge dalle, ferite e lui colpisce, colpisce e colpisce, finché un fendente non stacca la testa del demone dal collo e la creatura crolla, per consumarsi nelle sue stesse fiamme.

-È finita, sciamano.- dice il guerriero, rinfoderando la spada –Puoi ringraziare il mio istinto che mi ha spinto a seguirti. Non so che razza di patto avessi stretto con quella creatura e chi l’ha evocata e non voglio nemmeno saperlo. Quello che so è che il nuovo Re dei Pitti avrà bisogno dell’aiuto di tutti, compreso il tuo, vecchio. Quindi torna alla tua gente e fa ciò che devi per il loro bene.-

-E tu?

-Io? Il mio destino è di essere un vagabondo, di errare per il mondo senza casa e , forse, senza una meta. Non curarti di me, ma pensa ad onorare la memoria del tuo re.-

            Così dicendo, raggiunge un cavallo poco distante, vi salta in groppa e si allontana.

 

 

EPILOGO

 

 

            Ad Eboracum, Costantino esce nel cortile, attratto dalle grida dei soldati, quel che dicono è molto chiaro:

-Ave Costantino, ave al nostro Augusto!-

            Augusto, pensa Costantino, perché no? Molti Imperatori sono diventati tali acclamati dall’esercito, pensa, sarò un Imperatore migliore di molti altri, ne sono certo.

 

            A Scone, Goneril guarda l’orizzonte, tenendo le braccia strette in grembo e Gonar la raggiunge:

-Tutto è pronto per la nomina del nuovo Re.- dice lo sciamano –Sarà Maelchon Mak Othna, il figlio della sorella di tua madre-

            La sorella di Bran Mak Morn sorride mestamente.

-Una donna non può governare i Pitti, vero?- chiede, retoricamente. -Ho deciso, Gonar.- dice –Sposerò Maelchon e governerò al suo fianco ed infine, mio figlio sarà Re dopo di lui.- si volge a guardare lo Sciamano e sorride ancora –Ed io sarò presto madre, lo sento.-

            Gonar sorride a sua volta:

-Sarà come desideri, mia signora.-

            Il sangue di Bran Mak Morn non perirà, pensa.

 

 

FINE

 

 

NOTE DELL’AUTORE

 

 

Il racconto che avete appena letto fa, praticamente, parte di una serie di racconti “storici”, ambientati, comunque, nel classico Universo Marvel, inaugurati con la storia di Marada La Lupa. È mia intenzione dedicare almeno un racconto a quegli eroi minori o sconosciuti, spesso figli della letteratura pulp o ispirati alla classica narrativa avventurosa le cui avventure si svolgono nel passato dell’Universo Marvel, sino ad arrivare, pian piano al presente. In questi racconti, ove possibile, non mancheranno le citazioni e le strizzatine d’occhio a luoghi, fatti e temi ben conosciuti a lettori Marvel.

Ed ora, un po’ di informazioni:;

1)       Bran Mak Morn, il Re dei Pitti è una delle tante creazioni di Robert Erwin Howard, ma l’idea di legare la sua morte a quella di Costanzo Cloro è solo e soltanto mia;

2)       Va da se, naturalmente, che la descrizione della morte di Costanzo è frutto esclusivamente della mia fantasia e, se non corrisponde alla realtà storica, me ne assumo l’intera colpa.

3)       Ulisse della Pietra di Sangue è, ovviamente Ulysses Bloodstone, personaggio sulla cui complessa storia torneremo in futuro, ma ho preferito, scrivendo in italiano, non usare il suo nome inglese in un racconto ambientato almeno 300 anni prima della comparsa di questa lingua; Risentiremo parlare di lui, contateci.

4)       I Figli di Jhebbal Sag sono un’invenzione di Robert E, Howard in un racconto di Conan: “Oltre il Fiume Nero”, adattato da Roy Thomas in Savage Sword of Conan #26/27 (In Italia su Conan il Barbaro, B/N, Comic Art, #15/18) da cui ho, pari, pari, ripreso il demone.

5)       Erin, patria di Cormac Na Connaught, ovviamente, altro non è che l’Irlanda

6)       Il titolo di Augusto dato all’Imperatore è dato dalla divisone del Governo dell'Impero voluta da Diocleziano, la cosiddetta Tetrarchia, in cui a capo c’erano due Augusti coadiuvati da due Cesari, che ne avrebbero preso il posto in caso di morte od abdicazione. Prima di essere augusto, Costanzo era Stato Cesare d’Occidente.

Per oggi è tutto, alla prossima, dove, se seguirò l’ordine cronologico, vedrete un’avventura di Cormac Mac Art, avventuriero e pirata Irlandese, discendente dell’omonimo Cormac Na Connaught, altro eroe creato da Robert E, Howard, che, assieme al suo fedele amico: Wulfhere Spaccacrani, il Danese, agisce nello scenario del crollo dell’Impero Romano d’Occidente dopo il Sacco di Roma da parte di Alarico nel 410 D.C.

      E con questo, per ora è tutto,

 

 

Carlo



[1] L’odierna York, capoluogo dello Yorkshire in Inghilterra.

[2] In Savage Sword of Conan #16/17 (Conan La Spada Selvaggia #69)

[3] In Savage Sword of Conan #42/43 (Conan La Spada Selvaggia #69)