Presenta

 

MARADA LA LUPA

 

 

LA CANZONE DI MARADA

 

Di Carlo Monni

 

 

PROLOGO

*

 

Anno 14 Dopo Cristo. 767 Ab Urbe Condita. 44° anno del Principato di Cesare Augusto Imperatore

 

In una taverna di Alessandria, capitale della Provincia Romana dell’Egitto, si sta svolgendo una scena piuttosto inusuale. Ad un tavolo, si sta svolgendo una gara di braccio di ferro ed i contendenti sono: un legionario romano ed una donna ed è proprio questo a rendere il fatto così speciale. La giovane donna, dal portamento fiero ed orgoglioso, è vestita solamente di una cotta di maglia dorata, che le lascia scoperte braccia e gambe, nonché, la zona dal collo all’attaccatura del seno. Il suo corpo è di proporzioni così perfette, che la stessa venere di Milo l’invidierebbe, i suoi occhi hanno il colore dell’azzurro del cielo e la sua pelle, normalmente bianca come l’avorio, è abbronzata, come capita a chi viaggia sotto il sole di queste regioni; i suoi capelli sono, incredibilmente, del colore dell’argento, fatto che, sin dalla sua più tenera età, fu considerato un segno degli dei. La spada ed il pugnale, che le pendono al fianco, la identificano come una guerriera e coloro conoscono il suo nome, sanno, anche, quale fama di temibile combattente si sia fatta in quest’epoca, dove le donne guerriere sono una rarità. Il suo polso è fermo e sorride, mentre con un improvviso movimento del polso, costringe il braccio dell’avversario sul tavolo.

-Mi hai battuto Marada.- ammette il legionario.

-Non prendertela, Marco, avrai miglior fortuna la prossima volta.- gli risponde la donna, poi, presa da un improvviso impulso, salta sul tavolo e grida

-Oste! Da bere per me e per i miei amici e tu, menestrello, canta qualcosa di allegro, che ho voglia di ballare.-

            La ragazza dai capelli d’argento comincia una danza sul tavolo ed è presto raggiunta da una ragazza, più giovane di lei di almeno sette od otto anni, le sue forme sono più acerbe, ma già tali da attirare lo sguardo degli uomini presenti, i suoi capelli sono color nero corvino e scendono, lunghi, lungo tutta la schiena ed oltre, gli occhi sono verdi come le acque del mare; indossa una corta tunica bianca, tenuta ferma in vita da una cintura in seta, stretta da un nastro azzurro, ai piedi dei calzari tenuti fermi da legacci di cuoio, ai polsi dei bracciali dorati. Insieme le due donne si lasciano andare al ritmo della musica in movimenti, via via più sensuali, che ipnotizzano lo sguardo degli avventori, compreso uno che si tiene un po’ discosto dagli altri.

-Chi è quella donna così straordinaria, capace di battersi in un gioco da uomo ed intessere una danza così sensuale subito dopo?-

-Non lo sai davvero, uomo?- gli risponde uno vicino a lui –Il suo nome è famoso in tutto il mondo conosciuto e, ci scommetto, anche in quello sconosciuto. Dovunque tu vada, non troverai mai una donna come lei, una vera guerriera che ha posto la sua spada al servizio di Roma. Non ha paura degli uomini o degli dei. e non è mai stata vinta da alcun uomo. Il suo nome è Marada, ma per il suo carattere ed il suo valore, tutti la chiamano la Lupa. La ragazza che è con lei è una sua compagna di viaggio, dicono sia Britanna.-

            L’uomo annuisce, poi si avvicina al tavolo dove Marada sta tracannando un boccale di vino.

-Tu sei Marada, detta la Lupa, vero?-

-Si, sono io.-  risponde la donna con aria diffidente –E tu chi sei? Cosa cerchi?-

-Il mio nome è Eraclito e sono un mercante.- risponde l’uomo -Ho un incarico per te, se vorrai accettarlo.- mette sul tavolo un sacchetto da cui estrae un piccolissimo scrigno, accuratamente chiuso.-

-Dovrai consegnare questo scrigno ad un uomo di nome Democrito, in Sicilia e dovrai difenderlo a costo della vita. Ti procurerò io un passaggio per arrivarci ed una lettera per lui.-

-Sento che da quest’oggetto emana una grande magia.- dice l’amica di Marada –Una magia malvagia.-

            Il mercante spalanca gli occhi e Marada sorride.

-Arianrhod è britanna, viene dalla favolosa Ashandriar ed è una maga, seppure ancora inesperta.-

-Molto bene. Ora so di aver scelto bene. Ora prendete. Questo sacchetto d’oro sarà la vostra ricompensa ed il mio amico ve ne darà un altro al vostro arrivo. Custodite lo scrigno con cura e, qualunque cosa succeda, non apritelo mai, mi capite? Mai!-

            Così dicendo si alza e, rapidamente infila la porta, lasciando la  taverna. Marada scuote la testa. Rimette lo scrigno nel sacchetto di cuoio e se lo lega alla vita. Non ci sono problemi, farà quanto ha detto il mercante, anche se ci sono cose che non capisce

 

L’uomo di nome Eraclito rientra nella sua casa e sbarra la porta. Finalmente, pensa, mi sono sbarazzato di quel gioiello maledetto e…

-L’Occhio di Set, dov’è?-

            A pronunciare quelle parole non è stata una gola umana e quando il mercante greco si volta, quel che vede ha il potere di ghiacciargli il sangue nelle vene e lui ha la possibilità di urlare una sola volta.

 

 

1.

 

 

Il giorno dopo, una nave salpa da Alessandria, diretta verso i porti della Sicilia- In piedi sul ponte della nave sta Marada, la donna, il cui valore e la sua maestria nel combattimento le hanno meritato il soprannome di Lupa. È una donna straordinaria, questa, come se ne sono viste poche in quest’epoca e, forse, vale la pena di scoprire la sua storia.

 

Il padre di Marada veniva dall’Armorica, una regione della Gallia Transalpina le cui coste fronteggiano quelle dell’ancor misteriosa Britannia. La Gallia era sotto il dominio di Roma sin dai tempi di Caio Giulio Cesare, e lui era uno dei rispettati capi di una tribù d’indomiti Galli, che continuavano la guerriglia nei confronti dei conquistatori romani. AlIa fine, la sua fortuna ebbe termine e lui, sconfitto e catturato, fu portato prigioniero a Roma, dove fu destinato a combattere nell’Arena come gladiatore. Il suo valore e la sua abilità nell’arte del combattimento lo resero popolare quasi quanto lo era stato il leggendario Spartaco, ai suoi tempi. Egli si guadagno il favore del popolo e, naturalmente, I favori di molte donne, sia popolane, che appartenenti all’aristocrazia dell’Impero. In altre ere, il suo indomito coraggio e la sua spada gli avrebbero, forse, consentito di conquistare un regno tutto per se, come, forse, era avvenuto a suoi antenati, in epoche ormai dimenticate; a Roma, in quel momento, invece, la sua scelta si riduceva a due sole opzioni: finire ucciso da un compagno gladiatore o conquistarsi il diritto alla libertà e, probabilmente, se non il ritorno alle sue terre d’origine, forse un posto di ufficiale in una legione ausiliaria, se così fosse piaciuto a Cesare. Il destino decise altrimenti per lui, facendogli incontrare una donna. Giulia, unica figlia di colui che in questo momento rispondeva al nome ed ai titoli di Caio Giulio Cesare Ottaviano Augusto Imperatore, non era una donna felice. Due dei mariti impostigli dal padre, Marco Claudio Marcello e Marco Vipsanio Agrippa, erano morti e, per motivi dinastici, aveva dovuto sposarne un terzo: Tiberio Claudio Nerone, figlio della terza moglie di suo padre ed, ormai, erede designato alla successione. Il matrimonio si era dimostrato un completo fallimento, a causa della totale incompatibilità tra i due forzati coniugi e Giulia, donna ancor giovane e sempre bella, nonostante le numerose gravidanze, aveva cercato sollievo tra le braccia di altri uomini, divenendo presto nota come donna dai molti amanti. Il suo incontro con l’indomito principe Gallo portò allo scoccare di una violenta passione tra i due. Si amarono come la figlia di Cesare non pensava di poter amare e quell’unione destò scandalo alla corte dell’Imperatore, per la vergogna che gettava sul nome di Cesare e sulla reputazione di Tiberio, il futuro Princeps. Quando poi, Giulia rimase incinta e fu chiaro per tutti, che il padre del nascituro non era il di lei legittimo marito, Tiberio, ma il suo amante celta, fu altrettanto chiaro che andavano presi dei provvedimenti. Solo l’alto rango di Giulia le risparmiò qualsiasi tipo di punizione, ma il suo compagno, invece, fu preso, gettato in puzzolenti galere e sottoposto ad indicibili torture, che, però, non spezzarono il suo indomito spirito. Egli fece in tempo a vedere la figlia appena nata e ad imporle il nome di Marada, un nome non romano. Era una bimba veramente insolita, dalla pelle candida, occhi incredibilmente azzurri e, soprattutto, aveva i capelli color dell’argento. La cosa fu interpretata come un prodigio e l’oracolo di Apollo a Cuma, interpellato, profetizzò che un giorno quella bambina avrebbe tenuto in mano il destino del mondo. Impressionato, Augusto ordinò che alla bambina non fosse fatto alcun male, ma che fosse allevata lontano dalla Corte. Marada non rivide più suo padre, se non quattro anni dopo, quando Augusto, dopo lunga indecisione, decise di farne ordinare la pubblica esecuzione. Sotto gli occhi della bambina e di sua madre, colui che era stato chiamato Conan il Forte, fu legato alla ruota della tortura, sventrato ed infine squartato. Quella stessa notte, Giulia portò la bambina lontano dalla Città Eterna affinché fosse educata in entrambe le culture del suo retaggio, quella dei Celti e quella Romana. In seguito, lei stessa, dopo un altro scandalo e dopo aver avuto l’ulteriore dolore della morte prematura di due dei suoi tre figli maschi, fu esiliata, per ordine del padre, dapprima nell’isola di Pandateria, e poi a Retium, per non fare mai più ritorno a Roma.

            Marada fu allevata, imparando le arti del combattimento, diventando pari e superiore a molti uomini, sia romani, che non. Non aveva ancora 18 anni, che le fu concesso, caso più unico che raro per una donna, (Forse, dovuto, all’intercessione del suo potente nonno, che, pur non riconoscendola ufficialmente parte della sua famiglia, non aveva mai cessato di interessarsi al suo destino.), di arruolarsi in una delle legioni ausiliarie, destinate al confine germanico. In quei luoghi si coprì di valore, mostrando che il sangue dei Cesari, mescolandosi a quello dei fieri ed indomiti Celti, aveva prodotto un nuovo tipo di donna: una guerriera senza pari, capace di sfidare e vincere in qualunque tipo di tenzone il più esperto dei veterani, di giocare e bere interi boccali di birra, di cantare canzoni oscene e ridere ai licenziosi racconti dei legionari, di ballare sui tavoli sino a sfinirsi e, contemporaneamente, di mantenere il suo giuramento di non darsi mai a nessun uomo, se non quando avesse voluto lei ed alle condizioni da lei stabilite. I corteggiatori non le mancavano, ma lei riusciva sempre a tenerli a debita distanza, con la forza della sua personalità o, se non bastava, con il filo della sua spada. Fu questo insieme di cose a guadagnarle il soprannome di Lupa ed a creare la sua leggenda.

            Il suo giuramento fu sempre mantenuto, sino ad una fatale notte di pochi mesi prima, quando, trovandosi a Damasco, in Siria, fu drogata e rapita dal perfido e temuto stregone Simyon Karashnur, che la offrì in sacrificio al demone Y’Garon, signore della Triade. Il demone la stuprò selvaggiamente, infliggendole ferite profonde sia al corpo, che all’anima, spezzandole lo spirito in modo, apparentemente, irreparabile. Liberata dalle truppe dell’ufficiale Romano, Caio Marcello Fulva, fu rimandata a Roma, solo per venire rapita, sulla via che da Damasco porta alla Città Eterna, da Donal MacLlanllwyr, principe e Capo Guerriero del popolo britanno della mitica Ashandriar, fortezza irraggiungibile, se non per mezzo di un mistico incantesimo di trasporto. Mentre si rimetteva, faticosamente, nel fisico, ma non nell’anima, Marada sentiva crescere l’affetto per Donal e forgiava un legame del tutto speciale con la di lui figlia, la giovane Arianrhod. Il suo idillio finì quando il Mago di Damasco, rintracciatala, riuscì a superare le mistiche difese di Ashandriar, e ad inviarvi un demone, che uccise Donal e rapì Arianrhod, portandola nel suo mistico regno. Decisa a ritrovarla, Marada trovò la forza di superare le sue paure e convinse Rhiannon, Signora di Ashandriar, madre di Donal e nonna di Arianrhod, a mandarla nell’inferno in cui la ragazza era prigioniera. Qui, l’eroina, che, spinta dal suo affetto per la giovane britanna, aveva, oramai, ritrovato il suo indomito spirito guerriero e la sicurezza in se stessa, affrontò il demone Y’Garon e ne uccise la forma fisica, bandendolo, per sempre, dalla nostra realtà ed uccidendo, nel contempo, anche il perfido mago, vendicando, così, se stessa e la morte di Donal. Liberata Arianrhod, fu la ragazza, essa stessa apprendista maga, a tessere un incantesimo, che riportò le due donne sulla Terra, ma, ahimè, a causa dell’inesperienza di Arianrhod, invece di essere riportate ad Ashandriar, esse si ritrovarono nella jungla africana.

            Dopo, una breve avventura con la Regina di Meroe ed altre esperienze,[1] Marada ed Arianrhod hanno raggiunto la Provincia Romana dell’Egitto e, ad Alessandria, hanno trovato un passaggio verso la Sicilia; da lì sperano di trovare una possibilità di raggiungere la Britannia e ritornare, quindi, ad Ashandriar. Le loro speranze sono destinate a restare deluse.

 

 

2.

 

 

            Arianrhod MacDonal, nipote di Rhiannon, la Signora indiscussa della favolosa Ashandriar, erede designata al governo di quella terra leggendaria è, da alcuni mesi è la fedele compagna d’avventure di colei che è chiamata la Lupa. Il destino di Arianrhod non poteva essere più diverso da quello di Marada. La giovane britanna, infatti, dopo che sua madre morì nel darla alla luce, fu allevata da suo padre, che volle insegnarle le arti della guerra, e da sua nonna, che la istruì, invece, nella Grande Arte, ovvero, la Magia, affinché potesse, un giorno, prendere il suo posto come Sovrana di questo leggendario regno matriarcale.

Se lo chiedeste a lei, in questo momento, vi risponderebbe che al suo destino programmato in una comunità isolata dal resto del mondo, preferisce mille volte, la vita d’avventure, che sta vivendo al fianco di questa donna dalle chiome d’argento, e che non tornerebbe mai ad Ashandriar. Il destino ha deciso di esaudire i desideri di Arianrhod nel suo modo bizzarro.

 

            La ragazza si avvicina alla sua compagna e le chiede:

-A cosa stai pensando, Marada?-

            La Lupa si volta e sorride alla giovane britanna

-Stavo pensando che, quando questa nave sarà arrivata a destinazione, mi troverò, per la prima volta da anni, vicina al luogo della mia nascita.- risponde

-La favolosa Roma?- esclama Arianrhod –Mi piacerebbe molto vederla. Forse potremmo approfittare dell’occasione ed andarci.-

-Non vi torno da quando mio padre vi fu messo a morte.- dice Marada con un velo di tristezza nella voce –Avevo solo quattro anni, ma non ho dimenticato. Si, forse ci tornerei ora, ma non possiamo, piccola mia, ho giurato a tua nonna che ti avrei riportato da lei ed intendo farlo. Sarà, di certo, molto preoccupata per te, ormai.-

-Non conosci mia nonna. Sono sicura che ella già sa dove siamo e cosa stiamo facendo. Il nostro viaggio sarà, comunque, lungo e, se passassimo da Roma, dopo, io potrei accelerarlo con l’incantesimo del trasporto.-

-Nel quale non ti sei, finora, dimostrata molto esperta.- replica la Lupa, con un sorriso, poi vede lo sguardo deluso di Arianrhod e le dice: -Facciamo così: una volta sbarcate a Siracusa, valuteremo la situazione e prenderemo una decisione.-

            Se Arianrhod ha da replicare, non lo sapremo mai, perché, ecco arrivare un marinaio:

-Il capitano vi attende a cena nella sua cabina.- annuncia senza troppi complimenti.

            Invito insolito da un uomo che non brillava certo per modi cortesi quando ci siamo imbarcate, pensa Marada, forse è perché siamo due donne attraenti, ma, sia come sia, mi porterò la spada, non si sa mai.

 

            La cena è frugale, com’era logico attendersi, ma non per questo meno soddisfacente. Il Capitano è un uomo dia modi bruschi e, a volte, insolenti e a Marada non piace molto il modo con cui guarda lei ed Arianrhod. Conosce quel tipo di uomini, ha avuto a che fare con loro sin da quando era una ragazzina ed ha imparato a tener loro testa. Forse il Capitano spera di avere una di loro, o, forse, entrambe, nella sua cuccetta stanotte; se è così, è destinato ad un’amara delusione.

-Coraggio…- sta dicendo l’uomo -…per finire la cena non può mancare un buon boccale di ottimo Falerno. Assaggiatelo, vi piacerà.-

            Arianrhod afferra il boccale e lo alza all’altezza del viso

-Non ho mai bevuto il Falerno, ma ho sentito dire che è molto buono.- commenta

-Puoi scommetterci ragazzina, assaggialo e non te ne pentirai!- la invita il capitano

            Marada si porta il boccale alle labbra, sorseggia il vino lentamente. Non è certo un boccale di Falerno, che può stordirla, lei che è abituata a fare gare di bevute con i più rudi soldati delle Legioni; tuttavia, il suo istinto le suggerisce di essere guardinga e, a pensarci bene, questo vino ha un sapore un po’…

-Ari!- esclama, rivolta alla sua compagna –Aspetta a bere!-

            Troppo tardi, la ragazza ha già vuotato il boccale.

-Mi sembra buono…- commenta -… però ha un sapore un po’ amarognolo e…-

            Non termina la frase. La testa comincia a girare e, quando tenta di alzarsi, le gambe le cedono, mentre dice:

-Cosa…mi…succ…- cade in avanti, piombando con la testa sul tavolo, svenuta.

            Prima ancora che termini la sua caduta, Marada è balzata dall’altro lato del tavolo, verso il Capitano, puntandogli il pugnale alla gola.

-Vigliacco, il vino era drogato.- esclama –Ma se ci tieni alla vita, ora mi dirai perché…-

-Aiuto!- urla l’uomo

            Due marinai entrano, improvvisamente, nella cabina e si precipitano su Marada, afferrandola per le braccia. La Lupa si divincola riuscendo a liberarsi un braccio, mq è tradita dai riflessi, appannati dal poco vino drogato che ha bevuto. Rotola a terra coi suoi avversari, che le sono sopra.

-Maledetta, non riesco a tenerla…-

-È peggio di una gatta selvatica, brutta…-

-Indietro! Lasciate fare a me!-

            Il Capitano le fracassa sulla testa la bottiglia di vino ed, infine, Marada si accascia svenuta

-Legatele entrambe, più strette che potete.- ordina ai suoi uomini.-

            Poco dopo, un altro vascello si affianca al mercantile e da esso, alcuni uomini salgono a bordo per incontrarsi, subito, col comandante.

            Quello che sembra il capo dei nuovi venuti, un uomo alto e magro, i cui tratti somatici e vestiario rivelano la sua provenienza dall’Asia Minore, dice:

-Si tratta proprio di lei, ne sei certo?-

-Credimi amico, non c’è alcun dubbio. Non c’è un'altra donna come lei in tutta la Res Publica o nel resto del mondo, se è per quello. È Marada, nipote di Cesare Augusto, detta anche la Lupa.-

            L’uomo osserva la donna dai capelli d’argento e commenta:

-È davvero tanto bella, quanto avevo sentito dire. So che il termine “Lupa” a Roma indica una donna dotata di forte appetito sessuale. È questo il suo caso? A vederla non sembra esservi dubbio che molti uomini l’abbiano desiderata.-

            Il capitano ride sguaiatamente:

-Che lo abbiano fatto, non ne dubito, bisognerebbe essere impotenti o invertiti per non volerla, ma, se c’è una cosa che si sa di certo di Marada la Lupa, è che non ha mai permesso a nessun uomo di toccarla.-

            L’altro uomo si tocca la barba e sogghigna:

-Poco importa, il suo destino è finire come schiava di piacere nel Serraglio del mio Sovrano e, che le piaccia o no, questo avverrà.-

-Mmm. Molti pagherebbero un riscatto da re per lei, forse lo stesso Augusto, ma ciò non mi riguarda, giusto? Consegnami la ricompensa pattuita e Marada sarà tutta del Re dei Parti.-

-E l’altra ragazza?-

-Viaggiava con la Lupa, credo sia una principessa di qualche terra del nord, forse la mitica Britannia.-

-La Britannia? Ne ho sentito parlare. Molti nel mio paese dubitano che sia abitata ed altri pensano che vi siano i demoni dell’aldilà. Anche se non viene da quella terra favolosa, può esservi sempre posto per una come lei nel serraglio del mio re.-

-Puoi averla, se aggiungi un altro sacchetto d’oro alla ricompensa pattuita.-

-Sei un uomo avido, ma sarai accontentato.-

            Così dicendo, il Parto fa consegnare alcuni sacchi d’oro al Capitano, poi, ordina che Marada ed Arianrhod siano trasbordate sulla sua nave e, poco dopo, il Vascello straniero si allontana, puntando verso sud est.

 

 

3.

 

 

            Il luogo e oscuro e l’uomo mormora arcane invocazioni in una lingua che era già vecchia quando Troia non era stata ancora fondata. La sua lunga tunica porpora assume riflessi strani alla luce delle candele, il suo volto dal colorito olivastro è preso da un’intensa concentrazione.Ai suoi piedi, un ampio contenitore d’acqua su cui appare l’immagine di una nave. Con un gesto deciso lo stregone, perché questo è, affonda le sue mani nel bacile sollevando l’acqua in esso contenuta.

 

            Marada è la prima a risvegliarsi. In pochi attimi è di nuovo lucida ed esamina freddamente la situazione. Il suo primo pensiero è per Arianrhod. Per fortuna, la sua compagna, sdraiata nel giaciglio accanto al suo, a giudicare dal ritmo del suo respiro, sta semplicemente dormendo. Per fortuna? Un’infelice scelta di parole, forse, visto che sono entrambe legate mani e piedi e con nodi fatti da esperti, si direbbe. Non sono nella stessa nave di prima, il capitano le ha già vendute e, a giudicare da quel che vede, sembra che i suoi compratori vengano dalla Partia o da qualche altra parte dell’Asia minore. Un gemito di Arianrhod la distrae dai suoi pensieri

-Ari…- le si rivolge –Tutto bene?-

-Io…si, credo.- risponde la ragazza –Il vino era drogato, vero?-

-Si. Ci hanno prese prigioniere e portate su un’altra nave, ma non preoccuparti, piccola cara, riusciremo a cavarcela, vedrai.-

-Fossi in te, non avrei queste certezze, Lupa.- interviene una voce maschile –Il tuo destino è già deciso. Tu e la tua amica diverrete parte del Serraglio del mio Re.-

-Non contarci uomo.- ribatte Marada –Non è ancora nato l’uomo che può domarmi!-

-Questo è da vedersi.- replica l’altro tenendola per il mento –Alla fine ti piegherai. Ti credi una guerriera, vero? Che aberrazione! Una donna non è fatta per portare le armi, ma per attività più piacevoli. Il mio sovrano ti vuole, donna dallo spirito indomito e dai capelli di luna. La tua fama è giunta sino a lui e sa che hai combattuto contro i suoi eserciti nel recente passato. Pensa che una donna rara come te, sarà la gemma più preziosa del suo tesoro e, se mai gli dessi un figlio nelle cui vene scorresse il sangue dei Cesari…-

-Il tuo re avrà solo questo da me.- risponde Marada e, con un gesto improvviso, gli sferra un calcio all’inguine. Mentre l’uomo si piega in due dal dolore, Marada scatta all’indietro, evitando un colpo da parte da una delle guardie che accompagnavano il dignitario. Stupida, si dice, ha ceduto all’impeto della momentanea rabbia, pur sapendo che non sarebbe servito a niente. La saggezza imponeva di aspettare un momento favorevole per liberarsi e tentare la sorte, ma adesso…

            Improvvisamente la nave ondeggia. Fuori, una tempesta è scoppiata senza alcun preavviso ed alte onde minacciano la stabilità della nave. I carcerieri di Marada ed Arianrhod non pensano più a loro, adesso, terrorizzati da quello che appare come un sinistro prodigio. Marada riesce a non perdere il sangue freddo e, sia pure con difficoltà, s’impadronisce di un pugnale.caduto ad una guardia. Ora, se solo riuscisse ad usarlo per liberarsi prima che…

           

            La nave ondeggia in balia delle onde, poi, un’onda più forte delle altre la rovescia ed in pochi attimi il vascello s’inabissa.

            Altrove, uno stregone ride soddisfatto.

 

            Marada è riuscita a liberarsi le mani ed ora, freneticamente, si libera i piedi, cercando di non pensare né al fatto che sta sprofondando sempre più, né al fatto che Arianrhod, legata com’è, non può assolutamente nuotare. Impegnata com’, non si accorge nemmeno del leggero scintillio che proviene dal sacchetto ancora assicurato alla sua cintura e non saprà mai quanto sia importante per la sua stessa salvezza. Ormai è libera ed i suoi occhi cercano la sua amica e, quando la vede scivolare sempre più in basso, nuota più veloce che può e riesce ad afferrarla per la veste. Per sua fortuna, Arianrhod sta trattenendo il fiato, ma per quanto ancora? Marada sente già i polmoni scoppiarle, ma non ha alcuna intenzione di mollare adesso. Non permetterà che lei ed Ari muoiano in questo modo stupido, non lo permetterà. Con un ultimo sforzo, raggiunge la superficie. Il cielo è di nuovo limpido ed il mare calmo. Un’altra donna non crederebbe mai che quel subitaneo fenomeno atmosferico avesse per unico scopo affondare proprio la loro nave, ma Marada ha visto troppi prodigi nella sua ancor giovane vita, per non crederlo possibile. Ora, però, è troppo sfinita per pensare ad altro, che non sia un appiglio per lei ed Arianrhod e lo trova in un legno che galleggia poco lontano. Non è molto, un semplice pezzo della nave, ma basterà. È davvero ammirata dalla determinazione con cui Ari la segue, nuotando con decisione, finché, non raggiungono il legno, in realtà quanto resta di uno degli alberi della nave, e vi si adagiano sfinite, troppo sfinite, per notare una nave che appare all’orizzonte.

 

            Per la seconda volta da quando è cominciato il suo viaggio, Marada si sveglia di soprassalto in un luogo che non le è familiare e, per la seconda volta, si tratta della cabina di una nave. Questa volta non è legata, però e, mentre dormiva, qualcuno le ha tolta la cotta di maglia e l’ha sostituita con una leggera tunica, come quelle usate dalle donne romane.

-Sei sveglia, finalmente.- la voce è quella di una ragazza di non più di 15 anni. Ha parlato in latino ed i suoi paramenti la identificano come un appartenente alla nobiltà romana. Al contrario, la donna che è con lei, più anziana, è chiaramente una schiava.

-Dove sono?- chiede Marada

-Ti abbiamo raccolto, tu e la tua amica, svenute in mezzo al mare, vittime di un naufragio.- risponde la ragazza.

-Si, ricordo il naufragio e….Arianrhod… cosa le è successo?-

-Sta bene.- risponde la schiava -È stata una dura prova per lei ed ora sta riposando.-

-Devo… vederla.- dice Marada, alzandosi in piedi

-Sei ancora debole.- le dice la ragazza.

            Marada scuote la testa e si dirige al giaciglio dall’altro lato della stanza, sedendosi, poi, a fianco della sua compagna d’avventure

-Ari… tutto bene?-

            Arianrhod si sveglia e vedendo Marada sorride e stringendole la mano, esclama:

-Oh Marada, sei proprio tu! Allora, siamo salve ancora una volta.-

-Si Ari, anche se non so ancora come..-

-Puoi ringraziare la tua fortuna, Marada, detta la Lupa, che ha fatto passare la mia nave vicino a dove tu ti trovavi. La fortuna, o forse, sarebbe meglio dire, gli imperscrutabili disegni del fato.-

            A parlare, stavolta è stata una donna, di qualche anno più anziana di Marada; dal suo portamento la si qualifica chiaramente come una nobile. La ragazzina le corre incontro

-Madre!- esclama.

 Il volto della nuova venuta sembra stranamente familiare alla Lupa, ma non riesce a capire perché.

-Mi conosci forse?- chiede

-L’ultima volta che ti vidi avevi solo quattro anni e non puoi ricordarti di me, ma io…io avevo 13 anni e non ho dimenticato.-

            Lo sguardo di Marada s’indurisce. Questa donna l’ha conosciuta al tempo in cui suo padre fu giustiziato. Chi può essere?

-Chi sei?- chiede con diffidenza

            La giovane matrona sorride e risponde:

-Sono una figlia di Roma, anche se Roma pare avermi rinnegata. Il mio nome è Vipsania Giulia. Mio padre era il generale Marco Vipsanio Agrippa, mia madre è Giulia, figlia di Cesare Augusto ed io sono in viaggio per andarla a trovare nel luogo del suo esilio. Questo risponde alla tua domanda… sorella?-

            Dea Madre, pensa Arianrhod, mentre vede Marada ammutolita per la prima volta da quando la conosce.

 

 

4.

 

 

            Sta morendo. L’uomo che tiene in pugno le sorti di Roma ne è certo, ormai. Colui che il mondo conosce come Caio Giulio Cesare Ottaviano Augusto Imperatore, Padre della Patria, sente la vita sfuggirgli ogni momento che passa. Ha vissuto a lungo, forse troppo a lungo, abbastanza da veder morire due nipoti e tre pronipoti e per vedere i suoi piani di successione frustrati uno dopo l’altro.  Ogni sua speranza di veder continuare quanto ha pazientemente costruito in tanti decenni è ora riposta in Tiberio, il suo figliastro. È stato per lui l’unico padre che abbia mai veramente conosciuto ed alla fine, secondo l’uso romano, l’ha anche adottato, confermandolo quale suo erede, ma non c’è stato mai molto amore tra loro. Augusto tossisce. Non riesce a muoversi ormai. Avrebbe voluto morire a Roma, ma il fato ha deciso diversamente e sarà, qui a Nola che è destinato a lasciare l’esistenza terrena. Se solo avesse potuto avere i suoi familiari con se, ma è stato lui stesso a scacciarli ed ora è troppo tardi, non potrà mai rimediare al male che ha fatto loro o impedire che ne sia fatto altro.

 

            Marada non pensava di potersi sentire così intimidita in vita sua. Ha affrontato uomini e demoni, ma ritrovarsi con la sua sorellastra e rivedere sua madre, questo si che la turba davvero. Sono passati anni da quando l’ha vista l’ultima volta, anni in cui lei ha servito Roma ai confini Germanici, In Asia ed in Africa, senza mai pensare a quei parenti romani che l’avevano ripudiata e rivolgendo solo pensieri sporadici e malinconici ad una madre che era stata per lei una presenza sporadica mentre cresceva e ad un padre su cui aveva favoleggiato senza mai averlo conosciuto. Aveva dodici anni quando vide sua madre per l’ultima volta. Era venuta a salutarla prima di partire per l’isola dove il potente Augusto l’aveva costretta a recarsi in esilio. Ora sono di nuovo l’una di fronte all’altra e la Lupa teme, per la prima volta da anni, di non saper contenere le proprie emozioni, anzi di non essere neppure certa di quali esse siano.

            È sua madre a rompere il silenzio:

-Marada, sei davvero tu? Fatti vedere ragazza. Sei davvero bella e forte, come mi avevano detto.-

-Anche tu stai bene madre.-

-Dici?- replica Giulia -Ah so bene che gli anni passano e che la mia bellezza sta sfiorendo, ma mi sto rassegnando a questo. Quanto a te… i tuoi abiti si addicono più ad un legionario che ad una donna. Vedo che i racconti su di te sono veri, dunque: più che una figlia di Roma, sei la degna figlia di tuo padre. Oh si, so delle tue imprese. Certe notizie sono arrivate anche qui sai? Si cantano delle leggende su di te: Marada la Lupa ti chiamano, perché ti batti con la stessa furia di una lupa che difende i suoi cuccioli. Ma tu non hai cuccioli vero Marada? Si dice che nessun uomo ti abbia ancora toccata, è vero?-

-Nessun uomo, no.... Nessun maschio umano.- risponde Marada abbassando lo sguardo. Questo sarebbe il momento adatto per parlare con sua madre di quando è stata stuprata dal demone Y’Garon. Pensa a quante volte l’ha incontrata nei suoi 24 anni di vita. Può davvero confidarsi con lei adesso? Sceglie di non parlare. Giulia, prosegue:

-Sei sempre stata diversa dagli altri miei figli. In te scorre il sangue ribelle di tuo padre, eppure sei sempre una figlia di Roma. Nelle tue vene scorre il sangue dei Cesari, della Gens Giulia e non ti permetteranno di dimenticarlo.-

-Cosa vuoi dire, madre?-

.-Mio padre, il grande Augusto è prossimo alla morte, ormai e, quando accadrà, sarà Tiberio a succedergli. Tiberio è un uomo scaltro e vorrà sempre avere il controllo sui potenziali rivali.-

-Io? Un’illegittima, frutto dell’unione con uno schiavo, una donna che preferisce il mestiere delle armi, un rivale ed un pericolo per il futuro Signore di Roma? Non credo proprio madre.-

-Dimentichi la profezia della Sibilla? Tu un giorno terrai in mano il destino del mondo e, forse, quel giorno è venuto.-

            Marada scuote il capo.

-T’inganni, madre.- ribatte - Io non credo agli oracoli e la mia vita, ormai, è ben lontana da Roma. Il mio scopo, al momento, è riportare Arianrhod nella sua patria, come ho giurato a sua nonna ed al suo padre morente.-

-La giovane Britanna? Sembra che tu le sia molto affezionata, figlia mia.-

-Più che alla mia stessa vita. È una ragazza in gamba, dolce e timida, eppure, al tempo stesso, fiera e determinata.-

-Virtù che si confanno alla compagna di una Lupa, direi.- replica Giulia sorridendo quieta –Riprendi la tua marcia, dunque, Marada, se davvero è ciò che vuoi, ma non dimenticare colei che ti mise al mondo.-

-Non potrei mai, madre, mai..-

            Le due donne si abbracciano per un lungo attimo, poi Marada si stacca fa per andarsene, solo per voltarsi improvvisamente

-Madre… tu amavi mio padre e lui ti amava?-

            Giulia abbassa gli occhi

-L’ho amato come non ho amato nessun altro.- risponde –Lui ha pagato con la sua stessa vita quest’amore ed è l’unica cosa che rimpiango. Non certo di aver avuto te, tu sei il dono che mi ha lasciato.-

            Marada esce all’aperto. Le sue mani sfiorano il gladio che pende alla sua cintola. Quando è su un campo di battaglia, non ha esitazioni, ma qui, alle prese con i sentimenti, si sente sempre più a disagio. Fuori della casa, Arianrhod sta parlando con la giovane Emilia Lepida. La ragazzina è di poco più giovane della britanna e Marada trova strano il pensiero che sia sua nipote, figlia di una sorella maggiore, alla quale non ha mai pensato sinora. Eccola avanzare, Vipsania Giulia. Come sono diverse, pensa la Lupa. Figlie della stessa madre, eppure cresciute separate. L’una nei grandi palazzi romani, l’altra, lontana dalla corte del nonno e dagli agi e tutto perché il padre dell’una era un generale romano e quello dell’altra, un gladiatore venuto dalla Gallia. Una figlia dell’adulterio e con uno schiavo, per giunta. Una vergogna da nascondere, non altro. Marada non aveva mai pensato di provare risentimento per questo, sino ad ora. Il suo sguardo incrocia quello della sorellastra e non vi legge disprezzo e nemmeno in quello della giovane Emilia ed allora il suo sguardo si addolcisce in un sorriso.

-Arianrhod mi ha fatto vedere com’è brava nel tiro con l’arco.- le dice Emilia –Dice che tu sei molto più brava, che nessuna è brava come te, è vero?-

-Ari esagera spesso.In effetti, me la cavo bene.- risponde Marada

-Abbiamo sentito spesso racconti su di te, sorella.- interviene Vipsania Giulia –Le storie delle tue gesta hanno ispirato ballate e lo stesso Augusto ne è rimasto impressionato.-

-Non credevo che il potente Augusto si interessasse di me…. sorella.- la parola non esce facilmente dalle labbra di Marada, disabituata ad usarla

-Nostro nonno s’interessa sempre di ciò che accade al suo sangue, credimi.-

-Anche se è impuro Giulia?-

            Giulia la guarda e, per un attimo, Marada vede nel suo volto il riflesso del suo stesso sguardo.

-Il grande Augusto vuole il controllo su tutti. Ha esiliato mia madre e me ed anche nostro fratello perché ci rifiutavamo di sottometterci ed eravamo di scandalo per la sua corte. La volontà di Augusto è legge, la stessa legge che ha mandato a morte mio marito 13 anni or sono.-

-Mi spiace.-

-Non importa, ormai. Stai lontana da Roma, Marada, tu che puoi, scegli la libertà, non farti coinvolgere negli sporchi giochi di questa famiglia.-

            Non era mia intenzione, pensa Marada, ma chissà se mi sarà davvero possibile?

 

            A miglia di distanza, lo stregone dal manto purpureo, osserva nel suo bacile incantato

-Mi sei già sfuggita una volta, Marada, detta la Lupa, non mi sfuggirai una seconda.- esclama, poi chiama con voce forte:

-Voi che parlate con la voce del serpente, uditemi e prestatemi la vostra forza!-

            Nel fondo del bacile si forma il volto di un serpente antropomorfo, che parla con voce sepolcrale:

<<Ti ho udito Stygyro e sono pronto!>>

            E lo stregone parla e quando ha finito di parlare, solo una risata demoniaca rompe il silenzio.

 

 

5.

 

 

            Marada è immersa nelle acque della piscina termale della villa di sua madre, i suoi pensieri sembrano offuscare il suo bel volto. Arianrhod si porta vicino a lei, sfiorandole le spalle con le dita.

-Sei tesa Marada.- le dice –Un’inquietudine ricopre il tuo cuore come quando giungesti ad Ashandriar. Speravo che il tuo spirito fosse guarito, da allora.-

            La Lupa si sforza di sorridere

-E lo è Ari.- risponde –Almeno da quelle ferite, ma ce ne sono altre ancora aperte.-

-Parli di tuo padre… e di tua madre, vero?- chiede la ragazza

 Si, è così. Io sono cresciuta secondo i dettami del popolo di mio padre, sono diventata una guerriera. È la vita che ho voluto e non ho rimpianti, eppure, certe sere, non riesco a non pensare a ciò che ho perduto: il calore dell’amore di un padre, la compagnia dei miei fratelli. Tutto mi è stato sottratto perché mio padre, per Roma, era solo uno schiavo, indegno dell’amore della figlia di Cesare. Così la pensava il grande Augusto, mio nonno, e questo fa ancora male, lo confesso.-

            Così parlando, Marada si solleva dalla vasca, seguita dalla sua amica. Per un pò le sue donne rimangono così, sedute, l’una di fianco all’altra sui bordi della piscina, con la luce della luna che entra dal foro sul soffitto e crea giochi di luce sull’acqua e suoi loro corpi nudi. Arianrhod stringe la mano della sua amica ed appoggia, piano, la testa sulla sua spalla. Quell’attimo di tenerezza è spezzato da un improvviso ribollire delle acque, poi, ecco saltar fuori dall’acqua una mostruosa creatura. Assomiglia ad un uomo, ma è alto e grosso almeno il doppio di un uomo comune, la sua testa è quella di un serpente e la sua lingua biforcuta sibila nell’aria. Si lancia contro le due donne ed Arianrhod perde l’equilibrio, finendo in acqua. Marada scatta verso i suoi abiti, benedicendo l’abitudine che non la fa mai separare dalle sue armi. Il serpente umanoide le afferra i capelli, proprio mentre le sue dita si serrano sull’impugnatura del gladio e si ritrova strattonata indietro.

-Tu hai qualcosa che voglio, donna e me lo darai!- esclama la creatura, con voce inumana.

-Da me avrai solo il freddo acciaio della mia lama, demone!- replica Marada infilando la lama nel petto del serpente demoniaco, che cade all’indietro trascinandola con se in acqua. La creatura afferra il collo di Marada e comincia a spingerla verso il fondo. Senza perdersi d’animo, la Lupa insiste nel colpirlo ripetutamente. Per quanto sia un demone, pensa, se ha una forma fisica, deve essere vulnerabile ad una lama d’acciaio, come lo era il perfido Y’Garon, deve. L’uomo serpente molla, alfine, la presa e Marada ne approfitta per risalire in superficie e riempirsi i polmoni d’aria.

-Attenta Marada!- urla la voce di Arianrhod.

            L’avvertimento giunge appena in tempo, Marada evita di stretta misura gli artigli del suo avversario. C’è qualcosa di stranamente assurdo in questa scena in cui un serpente umanoide e due giovani donne, tutti completamente svestiti si confrontano in un combattimento mortale, immersi sino alla cintola nelle acque calde di questa piscina, ma i protagonisti trovano tutto terribilmente serio, specialmente coloro che sono vittime designate dell’uomo serpente.

-Chi o che cosa sei?- riesce a chiedere Marada.

-Io? Sono uno dei figli di Set, il potente dio serpente e sono qui per recuperare uno dei suoi occhi, che è in mano tua.- risponde l’altro con un sogghigno.

-Ti sbagli caricatura d’uomo.- replica la Lupa -Io non ho alcun…. Aspetta, tu parli di quello che c’è nello scrigno che mi ha affidato quel mercante ad Alessandria?-

-Il mercante che ha già pagato a caro prezzo la sua arroganza nel volersi impadronire dei talismani del potere. Io voglio l’Occhio di Set, donna, e, se per averlo, dovrò prendere la tua inutile vita, lo farò con piacere.-

            Se davvero questo, occhio, come lo chiami tu, è un talismano così potente, questo è un buon motivo per non farlo cadere in tua mano od in quelle dello Stregone che certamente, ti ha evocato.-

-Sei perspicace Marada la Lupa, ma ciò non cambierà il tuo destino. Tu non puoi sconfiggermi, ma io, certamente, ti ucciderò.-

-Demone, tu parli troppo!- urla Marada e con un affondo cerca di arrivare al cuore del mostro, ma la sua lama incontra l’ostacolo delle scaglie e viene, fatalmente, rallentata.-

            Il demone ride e la colpisce, sbattendola contro il bordo della piscina. Marada perde la presa sul gladio e, mentre cerca di recuperarlo, l’uomo serpente l’afferra per i capelli.

-Hai perso, Lupa, la tua vita è mia!-

-Marada!- urla con orrore Arianrhod. La ucciderà, pensa. Non può permetterlo. Con tutte le sue forze la giovane Britanna si concentra ed infine chiama:

-Demone ascoltami!-

            L’uomo serpente si volge verso di lei e dice semplicemente

-Verrà anche il tuo turno, ragazzina, ora lasciami finire il mio lavoro.-

-Il tuo lavoro è già finito, demone. Io conosco le parole del potere e le userò contro di te. Ka Nama Kaa Lajerama! Cadi ora, figlio del serpente, cadi!-

            Un fulmine azzurrognolo scocca dalle mani di Arianrhod e colpisce il demone, che ricade in acqua, mentre dalle varie ferite prodottesi, là dove Marada lo aveva colpito prende ad uscire, copioso un liquido verdognolo e viscoso.

-No, non può essere.- esclama la creatura, tentando di rialzarsi -Due semplici femmine umane non possono sconfiggere un figlio di Set!-

-Invece è quello che Abbiamo fatto, demone, e l’abbiamo fatto insieme!- ribatte Marada, che, recuperato il gladio, lo infila per tutta la lunghezza della lama nel petto della creatura spaccandogli il cuore. La creatura grida, un grido di dolore come mai se ne sono uditi sulla terra da innumerevoli secoli, poi, cessa di muoversi, per dissolversi in polvere poco dopo.

            Arianrhod corre ad abbracciare Marada.

-Ho avuto davvero paura per te.- dice –Per fortuna mi sono ricordata le parole del potere ed ora siamo salve.-

-Si, siamo salve per ora. Ma cos’erano quelle parole ed in che lingua erano? E perché il serpente umano le temeva? Tu lo sai, vero Ari?- le chiede Marada.

-Si. Mia nonna me ne ha parlato. Quelle parole sono una formula antica, forse più antica dell’umanità, che venne usata contro i terribili uomini serpente, tra gli altri, dal leggendario Re Kull di Valusia. Al loro suono essi rivelavano la loro natura ed il loro potere era neutralizzato. Ha funzionato anche contro il demone.-

-Per fortuna. Confesso di non capire molti dei tuoi discorsi sugli uomini serpente o su questo Re Kull, ma non importa. Quanto agli occhi di Set, ne sai qualcosa?-

-Si, la nonna mi ha insegnato anche questo. Gli occhi di Set sono due gioielli di grande potere, consacrati dal dio oscuro. Se uniti insieme, conferiscono al loro possessore un potere illimitato. Ci sono altre leggende su di essi, ma non le ricordo.-[2]

-Non importa, basta questo, per ora. Ora comprendo che il mercante ci ha affidato l’Occhio di Set per impedire che cadesse in mano a qualcuno intenzionato a riunire i due gioielli ed usare il loro potere.-

-Qualcuno che, certo non cederà.-

-Lo so, Ari, ma scoprirà che una Lupa ed una strega sono avversarie da non sottovalutare.-

            Parlando, le due donne sono uscite dall’acqua, per avvolgersi in ampi asciugamani, giusto in tempo per l’arrivo della servitù, attratta dai rumori e dalle urla, ovviamente troppo tardi. Marada fa cenno ad Arianrhod di tacere su quanto è avvenuto. Non è il caso di turbare sua madre ed il resto degli ospiti, pensa.

 

            Più tardi nel chiuso della loro stanza, Arianrhod pratica un rito insegnatole dalla nonna.

-Fatto!- esclama.Ora il potere del gioiello è stato neutralizzato.- dice la giovane maga

-Sei certa che funzionerà?- le chiede Marada

-A dire il vero, no, ma questo è il meglio che posso fare. L’incanto funzionerà, spero, ma per sicurezza, bisognerà che il gioiello sia posto lontano dalle tentazioni umane.-

-A questo provvederò io. – replica Marada.

 

 

EPILOGO

 

 

            Il giorno dopo, è il momento degli addii. Marada non mostra commozione, mentre saluta la madre.

-Questo potrebbe essere il nostro ultimo incontro Marada.- dice quest’ultima

-Non dire certe cose, Madre, io tornerò, presto o tardi-

-Credi ai presentimenti?- replica Giulia –Io ne ho uno e sento che non rivedrò mai più né te, né alcun altro dei mie figli. Bada a te, Marada, non dimenticare mai chi sei, figlia di un barbaro e figlia di Roma. Sii sempre orgogliosa di ciò che sei, come io lo sono di te.-

            Marada ricaccia indietro le lacrime e saluta, un’ultima volta, la madre, poi raggiunge la nave in attesa e rimane a guardare la costa che si allontana, finché non riesce più a vedere la donna sulla spiaggia, infine, si volge dalla parte opposta. Le sue dita sfiorano il sacchetto, che pende dalla sua cintura. È sempre rimasto con me sin dall’inizio del viaggio, pensa, anche i Parti non me l’hanno sottratto. Tu bramavi un possessore umano, gioiello maledetto, ma la tua maledizione ha fallito.

Con gesto deciso, colei che è detta la Lupa getta il sacchetto in mare. L’oggetto rimane a galla per un attimo, poi viene inghiottito dalle onde e scompare alla vista degli uomini.

Da qualche parte, uno stregone in tunica porpora urla oscene maledizioni e giura vendetta.

Marada non lo sa ed anche se lo sapesse, probabilmente, non ne sarebbe turbata. Ora, colei che è detta la Lupa volge lo sguardo verso l’orizzonte, mentre il vento le scompiglia i capelli. Ha ancora molto tempo davanti a se e nuove avventure da vivere.

 

FINE

 

NOTE DELL’AUTORE

 

 

            Si conclude, così, almeno per ora, l’avventura di Marada la Lupa, se vi è piaciuta, beh, allora altre potrebbero seguire. Ed ora qualche chiarimento sui personaggi di questa storia.

1)       Marada la Lupa è stata creata nel febbraio 1982 da Chris Claremont & John Bolton sul n° 10 della rivista in bianco e nero “Epic Illustrated”, portabandiera della linea “matura” della Marvel, l’etichetta Epic e le sue prime due avventure furono, successivamente, raccolte, a colori, nella Graphic Novel del 1985, dal titolo, appunto, “Marada the She-Wolf. La sua genesi vale la pena di essere raccontata. All’inizio la trama era stata concepita per il personaggio di Red Sonja, comprimaria storica della serie di Conan il Barbaro. Per motivi di copyright, presumibilmente legati al film su Red Sonja interpretato da Brigitte Nielsen, all’epoca in produzione, e noto in Italia col titolo di “Yado”, l’uso di Red Sonja fu interdetto e Claremont riscrisse la storia spostando l’azione dall’Era Hyboriana agli inizi dell’Impero Romano; la Diavolessa (She-Devil) divenne la Lupa (She-Wolf); i capelli rossi divennero d’argento, ma a parte questo, i due personaggi avevano davvero molto in comune, anche se Marada, complice il tratto di John Bolton, è, decisamente, più sensuale e, diversamente che con Red Sonja, non mancano le scene glamour con la protagonista, anzi le protagoniste (non bisogna dimenticare la giovane apprendista strega Arianrhod), abbastanza spesso discinte od in pose languide. Ironicamente, la trama della prima avventura di Marada fu riadattata quattro anni dopo da Jim Owsley, attualmente noto come Christopher Priest, & Val Semeiks per una storia di Conan the Barbarian con coprotagonista proprio Red Sonja. Il titolo: “La Canzone di Marada” è un chiaro omaggio alla storia di Roy Thomas & Barry Windsor-Smith “La canzone di Red Sonja” pubblicata su Cona the Barbarian #24 (Albi dei Super Eroi, Corno, #43) dove il personaggio di Red Sonja, comparso già nel numero nel numero precedente, riceve la sua consacrazione definitiva.

2)       Marada viene introdotta come figlia della primogenita di Cesare, ma la domanda è: quale Cesare? Il nome che viene spontaneo è, certo, quello del Cesare per eccellenza, Caio Giulio Cesare, ma non bisogna dimenticare che oltre che il nome del dittatore, il termine Cesare ha indicato, dopo Augusto, il signore di Roma, l’Imperatore; inoltre, Giulio Cesare è morto relativamente troppo giovane, per essere vivo con una nipote di 24 anni, anche tenendo presente che le donne a quell’epoca erano, di solito, già sposate e con figli, già a 14/15 anni.  Dopo lunga riflessione, ho deciso che il nonno di Marada sarebbe stato il primo, vero, imperatore: Cesare Augusto, nato Caio Ottavio e figlio della figlia della sorella di Giulio Cesare, fu, da questi adottato nel suo testamento ed assunse il nome di Caio Giulio Cesare Ottaviano ed, in seguito alla conquista del potere, gli fu attribuito l’appellativo di Augusto, con cui è comunemente chiamato nei tempi moderni. La storia del padre di Marada, il suo nome, il suo incontro con Giulia, figlia di Augusto sono frutto esclusivamente della mai fantasia. Le notizie biografiche su Giulia, comprese quelle sulle sue tresche extramatrimoniali durante l’infelice matrimonio con Tiberio sono rigorosamente esatte, a parte, ovvio, quelle sulla sua gravidanza da cui sarebbe nata Marada. Può essere divertente notare che in quello stesso periodo, Tiberio aveva invece, una tresca con Vipsania, l’ex moglie e madre del suo unico figlio, da cui Augusto l’aveva costretto a divorziare per fargli sposare un’altrettanto riluttante Giulia. Così andava il mondo a quei tempi.

3)       Precisazione geografica: l’Armorica, regione della Gallia, corrisponde, grosso modo, alla moderna Bretagna; l’isola di Pandateria, dove fu, dapprima, esiliata, Giulia, figlia di Augusto, ha, oggi, il nome di Ventotene, mentre Retium, corrisponde all’odierna Reggio Calabria.

4)       Per chi non lo sapesse, Kull il Conquistatore, re di Valusia, citato nella storia, è un personaggio creato, sul finire degli anni venti, da Robert E, Howard, il creatore di Conan. Kull è un barbaro vissuto circa 20,000 anni fa, nativo della perduta Atlantide, (il continente, non il regno di Sub Mariner) che conquista un trono nella più potente nazione dell’epoca: Valusia. Gli uomini serpente, adoratori del dio primevo Set e suoi agenti sulla Terra, sono una razza parallela all’umanità, che ha corpo umano e testa di serpente, anche se sono capaci di assumere sembianze umane e si confondono, grazie a ciò, tra la gente comune ed ignara. Gli uomini serpente erano nemici giurati di Kull e furono quasi completamente sterminati da Kull e, oltre 8000 anni dopo, i pochi sopravissuti furono distrutti da un ormai anziano Conan, il famoso barbaro creato sempre da Robert E, Howard. Sono completamente estinti nei tempi moderni? Chi può dirlo con certezza? Di certo sopravvivono gli uomini serpente di Starkesboro, adoratori del demone Sligguth, ma per quanto riguarda la loro sorte, chiedete a Valerio, forse lui saprà rispondervi… o forse no. -_^

5)       Il Demone Y’Garon è stato creato circa 29 anni fa da un Chris Claremont alle prime armi su Giant Size Dracula #2 (In Italia su Dracula, Corno, #12) come avversario di Dracula e riutilizzato nove anni dopo come avversario di Marada. E , di recente tornato, proprio su Marvel It, assieme ai suoi fratelli della Triade, proprio su durante la saga crossover globale INFERNO² proprio nella serie MIT “La tomba di Dracula”. Proprio la presenza di Y’Garon permette di affermare con sicurezza che la saga di Marada si svolge nell’Universo Marvel cosiddetto “Mainstream”

6)       Infine, un cenno sui nomi Romani, che servirà a chiarire, spero, qualche idea. Il tipico nome romano era composto da due elementi: il praenomen, che corrisponde al nostro nome di battesimo, ad esempio, Caio; il nomen, che era il nome della famiglia o Gens e svolgeva le funzioni del nostro cognome, ad esempio, Giulio; ci poteva essere un elemento, il cognomen spesso dovuto ad una caratteristica fisica o morale di chi lo portava e che era trasmesso ai discendenti e distingueva spesso, i vari rami delle varie Gens, esempio, Cesare. In caso di adozione, l’adottato assumeva il nomen ed il cognomen di chi l’aveva adottato, aggiungendovi perlopiù, il proprio nomen aggettivato. Così, Caio Ottavio, dopo essere stato adottato, assunse il nome di Caio Giulio Cesare Ottaviano, a cui, dopo la conquista del potere si aggiunsero gli appellativi di Augusto e di Imperator, titolo dato, di solito a generali vittoriosi che celebravano un trionfo e che, solo qualche generazione dopo assunse il significato che ha oggi. All’epoca di Augusto, il titolo che gli veniva attribuito era quello di Princeps, ovvero di primo tra tutti e che ho preferito usare nell’originale latino, visto che, in italiano moderno il termine Principe, indica una cosa del tutto diversa, Le donne romane non avevano nome, meglio, veniva attribuito loro il nome gentilizio in versione femminile. Pertanto, la figlia di un appartenente alla Gens Giulia si chiamava, invariabilmente Giulia; in caso di più figlie, le si chiamava, secondo il nostro esempio, Giulia Maggiore e Giulia Minore, oppure, Giulia prima, Giulia Seconda, Giulia Terza e così via; oppure si aggiungeva al nome gentilizio un nome ulteriore, un nomignolo o simili. Ad esempio la prima figlia di Giulia, figlia di Augusto e Marco Vipsanio Agrippa, fu Vipsania Giulia, aggiungendo al nome gentilizio del padre, quello della madre; la seconda figlia fu chiamata Vipsania Agrippina, con l’aggiunta della versione femminile del cognomen del padre.

Con questo ho chiuso. Vedremo ancora Marada? Ne sapremo di più sul destino del suo imperiale nonno e sulla sua famiglia di parenti serpenti, per i quali, lei è poco più di un’intrusa? Io spero di si e sono qui per riportarvi nell’antica Roma, tra intrighi di potere, complotti, arene, magie e tanto altro ancora. Dipende da voi.

 

 

Carlo



[1]Il tutto, o quasi, narrato in buona parte nella Graphic Novel “Marada La Lupa” (Best Comics, Comic Art, #1) e

[2] Voi potreste saperne di più, se poteste leggere Kull the Conqueror Vol 1° #3 (Thor, Corno, #86)