Presenta
Di Carlo Monni
*
Anno 14 Dopo Cristo. 767 Ab Urbe Condita. 44° anno del Principato di Cesare Augusto Imperatore
In una taverna di Alessandria, capitale della Provincia Romana dell’Egitto, si sta svolgendo una scena piuttosto inusuale. Ad un tavolo, si sta svolgendo una gara di braccio di ferro ed i contendenti sono: un legionario romano ed una donna ed è proprio questo a rendere il fatto così speciale. La giovane donna, dal portamento fiero ed orgoglioso, è vestita solamente di una cotta di maglia dorata, che le lascia scoperte braccia e gambe, nonché, la zona dal collo all’attaccatura del seno. Il suo corpo è di proporzioni così perfette, che la stessa venere di Milo l’invidierebbe, i suoi occhi hanno il colore dell’azzurro del cielo e la sua pelle, normalmente bianca come l’avorio, è abbronzata, come capita a chi viaggia sotto il sole di queste regioni; i suoi capelli sono, incredibilmente, del colore dell’argento, fatto che, sin dalla sua più tenera età, fu considerato un segno degli dei. La spada ed il pugnale, che le pendono al fianco, la identificano come una guerriera e coloro conoscono il suo nome, sanno, anche, quale fama di temibile combattente si sia fatta in quest’epoca, dove le donne guerriere sono una rarità. Il suo polso è fermo e sorride, mentre con un improvviso movimento del polso, costringe il braccio dell’avversario sul tavolo.
-Mi hai battuto Marada.- ammette il legionario.
-Non prendertela, Marco, avrai miglior fortuna la prossima volta.- gli risponde la donna, poi, presa da un improvviso impulso, salta sul tavolo e grida
-Oste! Da bere per me e per i miei amici e tu, menestrello, canta qualcosa di allegro, che ho voglia di ballare.-
La ragazza dai capelli d’argento comincia una danza sul tavolo ed è presto raggiunta da una ragazza, più giovane di lei di almeno sette od otto anni, le sue forme sono più acerbe, ma già tali da attirare lo sguardo degli uomini presenti, i suoi capelli sono color nero corvino e scendono, lunghi, lungo tutta la schiena ed oltre, gli occhi sono verdi come le acque del mare; indossa una corta tunica bianca, tenuta ferma in vita da una cintura in seta, stretta da un nastro azzurro, ai piedi dei calzari tenuti fermi da legacci di cuoio, ai polsi dei bracciali dorati. Insieme le due donne si lasciano andare al ritmo della musica in movimenti, via via più sensuali, che ipnotizzano lo sguardo degli avventori, compreso uno che si tiene un po’ discosto dagli altri.
-Chi è quella donna così straordinaria, capace di battersi in un gioco da uomo ed intessere una danza così sensuale subito dopo?-
-Non lo sai davvero, uomo?- gli risponde uno vicino a lui –Il suo nome è famoso in tutto il mondo conosciuto e, ci scommetto, anche in quello sconosciuto. Dovunque tu vada, non troverai mai una donna come lei, una vera guerriera che ha posto la sua spada al servizio di Roma. Non ha paura degli uomini o degli dei. e non è mai stata vinta da alcun uomo. Il suo nome è Marada, ma per il suo carattere ed il suo valore, tutti la chiamano la Lupa. La ragazza che è con lei è una sua compagna di viaggio, dicono sia Britanna.-
L’uomo
annuisce, poi si avvicina al tavolo dove Marada sta tracannando un boccale di
vino.
-Tu sei Marada, detta la Lupa,
vero?-
-Si, sono io.- risponde la donna con aria diffidente –E tu
chi sei? Cosa cerchi?-
-Il mio nome è Eraclito e sono un
mercante.- risponde l’uomo -Ho un incarico per te, se vorrai accettarlo.- mette
sul tavolo un sacchetto da cui estrae un piccolissimo scrigno, accuratamente
chiuso.-
-Dovrai consegnare questo scrigno
ad un uomo di nome Democrito, in Sicilia e dovrai difenderlo a costo della
vita. Ti procurerò io un passaggio per arrivarci ed una lettera per lui.-
-Sento che da quest’oggetto emana
una grande magia.- dice l’amica di Marada –Una magia malvagia.-
Il
mercante spalanca gli occhi e Marada sorride.
-Arianrhod è britanna, viene dalla
favolosa Ashandriar ed è una maga, seppure ancora inesperta.-
-Molto bene. Ora so di aver scelto
bene. Ora prendete. Questo sacchetto d’oro sarà la vostra ricompensa ed il mio
amico ve ne darà un altro al vostro arrivo. Custodite lo scrigno con cura e,
qualunque cosa succeda, non apritelo mai, mi capite? Mai!-
Così
dicendo si alza e, rapidamente infila la porta, lasciando la taverna. Marada scuote la testa. Rimette lo
scrigno nel sacchetto di cuoio e se lo lega alla vita. Non ci sono problemi,
farà quanto ha detto il mercante, anche se ci sono cose che non capisce
L’uomo di nome Eraclito rientra nella sua casa e sbarra la porta. Finalmente, pensa, mi sono sbarazzato di quel gioiello maledetto e…
-L’Occhio
di Set, dov’è?-
A
pronunciare quelle parole non è stata una gola umana e quando il mercante greco
si volta, quel che vede ha il potere di ghiacciargli il sangue nelle vene e lui
ha la possibilità di urlare una sola volta.
1.
Il giorno dopo, una nave salpa da Alessandria, diretta verso i porti della Sicilia- In piedi sul ponte della nave sta Marada, la donna, il cui valore e la sua maestria nel combattimento le hanno meritato il soprannome di Lupa. È una donna straordinaria, questa, come se ne sono viste poche in quest’epoca e, forse, vale la pena di scoprire la sua storia.
Il padre
di Marada veniva dall’Armorica, una regione della Gallia Transalpina le cui
coste fronteggiano quelle dell’ancor misteriosa Britannia. La Gallia era sotto
il dominio di Roma sin dai tempi di Caio Giulio Cesare, e lui era uno dei
rispettati capi di una tribù d’indomiti Galli, che continuavano la guerriglia
nei confronti dei conquistatori romani. AlIa fine, la sua fortuna ebbe termine
e lui, sconfitto e catturato, fu portato prigioniero a Roma, dove fu destinato
a combattere nell’Arena come gladiatore. Il suo valore e la sua abilità
nell’arte del combattimento lo resero popolare quasi quanto lo era stato il
leggendario Spartaco, ai suoi tempi. Egli si guadagno il favore del popolo e,
naturalmente, I favori di molte donne, sia popolane, che appartenenti
all’aristocrazia dell’Impero. In altre ere, il suo indomito coraggio e la sua
spada gli avrebbero, forse, consentito di conquistare un regno tutto per se,
come, forse, era avvenuto a suoi antenati, in epoche ormai dimenticate; a Roma,
in quel momento, invece, la sua scelta si riduceva a due sole opzioni: finire
ucciso da un compagno gladiatore o conquistarsi il diritto alla libertà e,
probabilmente, se non il ritorno alle sue terre d’origine, forse un posto di
ufficiale in una legione ausiliaria, se così fosse piaciuto a Cesare. Il
destino decise altrimenti per lui, facendogli incontrare una donna. Giulia, unica
figlia di colui che in questo momento rispondeva al nome ed ai titoli di Caio
Giulio Cesare Ottaviano Augusto Imperatore, non era una donna felice. Due dei
mariti impostigli dal padre, Marco Claudio Marcello e Marco Vipsanio Agrippa,
erano morti e, per motivi dinastici, aveva dovuto sposarne un terzo: Tiberio
Claudio Nerone, figlio della terza moglie di suo padre ed, ormai, erede
designato alla successione. Il matrimonio si era dimostrato un completo
fallimento, a causa della totale incompatibilità tra i due forzati coniugi e
Giulia, donna ancor giovane e sempre bella, nonostante le numerose gravidanze,
aveva cercato sollievo tra le braccia di altri uomini, divenendo presto nota
come donna dai molti amanti. Il suo incontro con l’indomito principe Gallo portò
allo scoccare di una violenta passione tra i due. Si amarono come la figlia di
Cesare non pensava di poter amare e quell’unione destò scandalo alla corte
dell’Imperatore, per la vergogna che gettava sul nome di Cesare e sulla
reputazione di Tiberio, il futuro Princeps. Quando poi, Giulia rimase
incinta e fu chiaro per tutti, che il padre del nascituro non era il di lei
legittimo marito, Tiberio, ma il suo amante celta, fu altrettanto chiaro che
andavano presi dei provvedimenti. Solo l’alto rango di Giulia le risparmiò
qualsiasi tipo di punizione, ma il suo compagno, invece, fu preso, gettato in
puzzolenti galere e sottoposto ad indicibili torture, che, però, non spezzarono
il suo indomito spirito. Egli fece in tempo a vedere la figlia appena nata e ad
imporle il nome di Marada, un nome non romano. Era una bimba veramente
insolita, dalla pelle candida, occhi incredibilmente azzurri e, soprattutto,
aveva i capelli color dell’argento. La cosa fu interpretata come un prodigio e
l’oracolo di Apollo a Cuma, interpellato, profetizzò che un giorno quella
bambina avrebbe tenuto in mano il destino del mondo. Impressionato, Augusto
ordinò che alla bambina non fosse fatto alcun male, ma che fosse allevata
lontano dalla Corte. Marada non rivide più suo padre, se non quattro anni dopo,
quando Augusto, dopo lunga indecisione, decise di farne ordinare la pubblica
esecuzione. Sotto gli occhi della bambina e di sua madre, colui che era stato
chiamato Conan il Forte, fu legato alla ruota della tortura, sventrato ed
infine squartato. Quella stessa notte, Giulia portò la bambina lontano dalla
Città Eterna affinché fosse educata in entrambe le culture del suo retaggio,
quella dei Celti e quella Romana. In seguito, lei stessa, dopo un altro
scandalo e dopo aver avuto l’ulteriore dolore della morte prematura di due dei
suoi tre figli maschi, fu esiliata, per ordine del padre, dapprima nell’isola
di Pandateria, e poi a Retium, per non fare mai più ritorno a Roma.
Marada
fu allevata, imparando le arti del combattimento, diventando pari e superiore a
molti uomini, sia romani, che non. Non aveva ancora 18 anni, che le fu
concesso, caso più unico che raro per una donna, (Forse, dovuto,
all’intercessione del suo potente nonno, che, pur non riconoscendola
ufficialmente parte della sua famiglia, non aveva mai cessato di interessarsi
al suo destino.), di arruolarsi in una delle legioni ausiliarie, destinate al
confine germanico. In quei luoghi si coprì di valore, mostrando che il sangue
dei Cesari, mescolandosi a quello dei fieri ed indomiti Celti, aveva prodotto
un nuovo tipo di donna: una guerriera senza pari, capace di sfidare e vincere
in qualunque tipo di tenzone il più esperto dei veterani, di giocare e bere
interi boccali di birra, di cantare canzoni oscene e ridere ai licenziosi racconti
dei legionari, di ballare sui tavoli sino a sfinirsi e, contemporaneamente, di
mantenere il suo giuramento di non darsi mai a nessun uomo, se non quando
avesse voluto lei ed alle condizioni da lei stabilite. I corteggiatori non le
mancavano, ma lei riusciva sempre a tenerli a debita distanza, con la forza
della sua personalità o, se non bastava, con il filo della sua spada. Fu questo
insieme di cose a guadagnarle il soprannome di Lupa ed a creare la sua
leggenda.
Il
suo giuramento fu sempre mantenuto, sino ad una fatale notte di pochi mesi
prima, quando, trovandosi a Damasco, in Siria, fu drogata e rapita dal perfido
e temuto stregone Simyon Karashnur, che la offrì in sacrificio al demone
Y’Garon, signore della Triade. Il demone la stuprò selvaggiamente, infliggendole
ferite profonde sia al corpo, che all’anima, spezzandole lo spirito in modo,
apparentemente, irreparabile. Liberata dalle truppe dell’ufficiale Romano, Caio
Marcello Fulva, fu rimandata a Roma, solo per venire rapita, sulla via che da
Damasco porta alla Città Eterna, da Donal MacLlanllwyr, principe e Capo
Guerriero del popolo britanno della mitica Ashandriar, fortezza
irraggiungibile, se non per mezzo di un mistico incantesimo di trasporto.
Mentre si rimetteva, faticosamente, nel fisico, ma non nell’anima, Marada
sentiva crescere l’affetto per Donal e forgiava un legame del tutto speciale
con la di lui figlia, la giovane Arianrhod. Il suo idillio finì quando il Mago
di Damasco, rintracciatala, riuscì a superare le mistiche difese di Ashandriar,
e ad inviarvi un demone, che uccise Donal e rapì Arianrhod, portandola nel suo
mistico regno. Decisa a ritrovarla, Marada trovò la forza di superare le sue
paure e convinse Rhiannon, Signora di Ashandriar, madre di Donal e nonna di
Arianrhod, a mandarla nell’inferno in cui la ragazza era prigioniera. Qui,
l’eroina, che, spinta dal suo affetto per la giovane britanna, aveva, oramai,
ritrovato il suo indomito spirito guerriero e la sicurezza in se stessa,
affrontò il demone Y’Garon e ne uccise la forma fisica, bandendolo, per sempre,
dalla nostra realtà ed uccidendo, nel contempo, anche il perfido mago,
vendicando, così, se stessa e la morte di Donal. Liberata Arianrhod, fu la
ragazza, essa stessa apprendista maga, a tessere un incantesimo, che riportò le
due donne sulla Terra, ma, ahimè, a causa dell’inesperienza di Arianrhod,
invece di essere riportate ad Ashandriar, esse si ritrovarono nella jungla
africana.
Dopo,
una breve avventura con la Regina di Meroe ed altre esperienze,[1]
Marada ed Arianrhod hanno raggiunto la Provincia Romana dell’Egitto e, ad
Alessandria, hanno trovato un passaggio verso la Sicilia; da lì sperano di
trovare una possibilità di raggiungere la Britannia e ritornare, quindi, ad
Ashandriar. Le loro speranze sono destinate a restare deluse.
2.
Arianrhod
MacDonal, nipote di Rhiannon, la Signora indiscussa della favolosa Ashandriar,
erede designata al governo di quella terra leggendaria è, da alcuni mesi è la
fedele compagna d’avventure di colei che è chiamata la Lupa. Il destino di Arianrhod
non poteva essere più diverso da quello di Marada. La giovane britanna,
infatti, dopo che sua madre morì nel darla alla luce, fu allevata da suo padre,
che volle insegnarle le arti della guerra, e da sua nonna, che la istruì,
invece, nella Grande Arte, ovvero, la Magia, affinché potesse, un giorno,
prendere il suo posto come Sovrana di questo leggendario regno matriarcale.
Se lo
chiedeste a lei, in questo momento, vi risponderebbe che al suo destino
programmato in una comunità isolata dal resto del mondo, preferisce mille
volte, la vita d’avventure, che sta vivendo al fianco di questa donna dalle
chiome d’argento, e che non tornerebbe mai ad Ashandriar. Il destino ha deciso
di esaudire i desideri di Arianrhod nel suo modo bizzarro.
La
ragazza si avvicina alla sua compagna e le chiede:
-A cosa stai pensando, Marada?-
La
Lupa si volta e sorride alla giovane britanna
-Stavo pensando che, quando questa
nave sarà arrivata a destinazione, mi troverò, per la prima volta da anni,
vicina al luogo della mia nascita.- risponde
-La favolosa Roma?- esclama
Arianrhod –Mi piacerebbe molto vederla. Forse potremmo approfittare
dell’occasione ed andarci.-
-Non vi torno da quando mio padre
vi fu messo a morte.- dice Marada con un velo di tristezza nella voce –Avevo
solo quattro anni, ma non ho dimenticato. Si, forse ci tornerei ora, ma non
possiamo, piccola mia, ho giurato a tua nonna che ti avrei riportato da lei ed
intendo farlo. Sarà, di certo, molto preoccupata per te, ormai.-
-Non conosci mia nonna. Sono
sicura che ella già sa dove siamo e cosa stiamo facendo. Il nostro viaggio
sarà, comunque, lungo e, se passassimo da Roma, dopo, io potrei accelerarlo con
l’incantesimo del trasporto.-
-Nel quale non ti sei, finora,
dimostrata molto esperta.- replica la Lupa, con un sorriso, poi vede lo sguardo
deluso di Arianrhod e le dice: -Facciamo così: una volta sbarcate a Siracusa,
valuteremo la situazione e prenderemo una decisione.-
Se
Arianrhod ha da replicare, non lo sapremo mai, perché, ecco arrivare un
marinaio:
-Il capitano vi attende a cena
nella sua cabina.- annuncia senza troppi complimenti.
Invito
insolito da un uomo che non brillava certo per modi cortesi quando ci siamo
imbarcate, pensa Marada, forse è perché siamo due donne attraenti, ma, sia come
sia, mi porterò la spada, non si sa mai.
La cena è
frugale, com’era logico attendersi, ma non per questo meno soddisfacente. Il
Capitano è un uomo dia modi bruschi e, a volte, insolenti e a Marada non piace
molto il modo con cui guarda lei ed Arianrhod. Conosce quel tipo di uomini, ha
avuto a che fare con loro sin da quando era una ragazzina ed ha imparato a
tener loro testa. Forse il Capitano spera di avere una di loro, o, forse,
entrambe, nella sua cuccetta stanotte; se è così, è destinato ad un’amara
delusione.
-Coraggio…- sta dicendo l’uomo
-…per finire la cena non può mancare un buon boccale di ottimo Falerno.
Assaggiatelo, vi piacerà.-
Arianrhod
afferra il boccale e lo alza all’altezza del viso
-Non ho mai bevuto il Falerno, ma
ho sentito dire che è molto buono.- commenta
-Puoi scommetterci ragazzina,
assaggialo e non te ne pentirai!- la invita il capitano
Marada
si porta il boccale alle labbra, sorseggia il vino lentamente. Non è certo un
boccale di Falerno, che può stordirla, lei che è abituata a fare gare di bevute
con i più rudi soldati delle Legioni; tuttavia, il suo istinto le suggerisce di
essere guardinga e, a pensarci bene, questo vino ha un sapore un po’…
-Ari!- esclama, rivolta alla sua
compagna –Aspetta a bere!-
Troppo
tardi, la ragazza ha già vuotato il boccale.
-Mi sembra buono…- commenta -…
però ha un sapore un po’ amarognolo e…-
Non
termina la frase. La testa comincia a girare e, quando tenta di alzarsi, le
gambe le cedono, mentre dice:
-Cosa…mi…succ…- cade in avanti,
piombando con la testa sul tavolo, svenuta.
Prima
ancora che termini la sua caduta, Marada è balzata dall’altro lato del tavolo,
verso il Capitano, puntandogli il pugnale alla gola.
-Vigliacco, il vino era drogato.-
esclama –Ma se ci tieni alla vita, ora mi dirai perché…-
-Aiuto!- urla l’uomo
Due
marinai entrano, improvvisamente, nella cabina e si precipitano su Marada,
afferrandola per le braccia. La Lupa si divincola riuscendo a liberarsi un
braccio, mq è tradita dai riflessi, appannati dal poco vino drogato che ha
bevuto. Rotola a terra coi suoi avversari, che le sono sopra.
-Maledetta, non riesco a tenerla…-
-È peggio di una gatta selvatica,
brutta…-
-Indietro! Lasciate fare a me!-
Il
Capitano le fracassa sulla testa la bottiglia di vino ed, infine, Marada si
accascia svenuta
-Legatele entrambe, più strette
che potete.- ordina ai suoi uomini.-
Poco
dopo, un altro vascello si affianca al mercantile e da esso, alcuni uomini
salgono a bordo per incontrarsi, subito, col comandante.
Quello
che sembra il capo dei nuovi venuti, un uomo alto e magro, i cui tratti
somatici e vestiario rivelano la sua provenienza dall’Asia Minore, dice:
-Si tratta proprio di lei, ne sei
certo?-
-Credimi amico, non c’è alcun
dubbio. Non c’è un'altra donna come lei in tutta la Res Publica o nel
resto del mondo, se è per quello. È Marada, nipote di Cesare Augusto, detta
anche la Lupa.-
L’uomo
osserva la donna dai capelli d’argento e commenta:
-È davvero tanto bella, quanto
avevo sentito dire. So che il termine “Lupa” a Roma indica una donna dotata di
forte appetito sessuale. È questo il suo caso? A vederla non sembra esservi
dubbio che molti uomini l’abbiano desiderata.-
Il
capitano ride sguaiatamente:
-Che lo abbiano fatto, non ne
dubito, bisognerebbe essere impotenti o invertiti per non volerla, ma, se c’è
una cosa che si sa di certo di Marada la Lupa, è che non ha mai permesso a
nessun uomo di toccarla.-
L’altro
uomo si tocca la barba e sogghigna:
-Poco importa, il suo destino è
finire come schiava di piacere nel Serraglio del mio Sovrano e, che le piaccia
o no, questo avverrà.-
-Mmm. Molti pagherebbero un
riscatto da re per lei, forse lo stesso Augusto, ma ciò non mi riguarda,
giusto? Consegnami la ricompensa pattuita e Marada sarà tutta del Re dei
Parti.-
-E l’altra ragazza?-
-Viaggiava con la Lupa, credo sia
una principessa di qualche terra del nord, forse la mitica Britannia.-
-La Britannia? Ne ho sentito
parlare. Molti nel mio paese dubitano che sia abitata ed altri pensano che vi
siano i demoni dell’aldilà. Anche se non viene da quella terra favolosa, può
esservi sempre posto per una come lei nel serraglio del mio re.-
-Puoi averla, se aggiungi un altro
sacchetto d’oro alla ricompensa pattuita.-
-Sei un uomo avido, ma sarai
accontentato.-
Così
dicendo, il Parto fa consegnare alcuni sacchi d’oro al Capitano, poi, ordina
che Marada ed Arianrhod siano trasbordate sulla sua nave e, poco dopo, il
Vascello straniero si allontana, puntando verso sud est.
3.
Il luogo e oscuro e l’uomo mormora arcane invocazioni
in una lingua che era già vecchia quando Troia non era stata ancora fondata. La
sua lunga tunica porpora assume riflessi strani alla luce delle candele, il suo
volto dal colorito olivastro è preso da un’intensa concentrazione.Ai suoi
piedi, un ampio contenitore d’acqua su cui appare l’immagine di una nave. Con
un gesto deciso lo stregone, perché questo è, affonda le sue mani nel bacile
sollevando l’acqua in esso contenuta.
Marada è la prima a risvegliarsi.
In pochi attimi è di nuovo lucida ed esamina freddamente la situazione. Il suo
primo pensiero è per Arianrhod. Per fortuna, la sua compagna, sdraiata nel
giaciglio accanto al suo, a giudicare dal ritmo del suo respiro, sta
semplicemente dormendo. Per fortuna? Un’infelice scelta di parole, forse, visto
che sono entrambe legate mani e piedi e con nodi fatti da esperti, si direbbe.
Non sono nella stessa nave di prima, il capitano le ha già vendute e, a
giudicare da quel che vede, sembra che i suoi compratori vengano dalla Partia o
da qualche altra parte dell’Asia minore. Un gemito di Arianrhod la distrae dai
suoi pensieri
-Ari…- le si rivolge –Tutto bene?-
-Io…si, credo.- risponde la
ragazza –Il vino era drogato, vero?-
-Si. Ci hanno prese prigioniere e
portate su un’altra nave, ma non preoccuparti, piccola cara, riusciremo a
cavarcela, vedrai.-
-Fossi in te, non avrei queste
certezze, Lupa.- interviene una voce maschile –Il tuo destino è già deciso. Tu
e la tua amica diverrete parte del Serraglio del mio Re.-
-Non contarci uomo.- ribatte
Marada –Non è ancora nato l’uomo che può domarmi!-
-Questo è da vedersi.- replica
l’altro tenendola per il mento –Alla fine ti piegherai. Ti credi una guerriera,
vero? Che aberrazione! Una donna non è fatta per portare le armi, ma per
attività più piacevoli. Il mio sovrano ti vuole, donna dallo spirito indomito e
dai capelli di luna. La tua fama è giunta sino a lui e sa che hai combattuto
contro i suoi eserciti nel recente passato. Pensa che una donna rara come te,
sarà la gemma più preziosa del suo tesoro e, se mai gli dessi un figlio nelle
cui vene scorresse il sangue dei Cesari…-
-Il tuo re avrà solo questo da
me.- risponde Marada e, con un gesto improvviso, gli sferra un calcio
all’inguine. Mentre l’uomo si piega in due dal dolore, Marada scatta
all’indietro, evitando un colpo da parte da una delle guardie che accompagnavano
il dignitario. Stupida, si dice, ha ceduto all’impeto della momentanea rabbia,
pur sapendo che non sarebbe servito a niente. La saggezza imponeva di aspettare
un momento favorevole per liberarsi e tentare la sorte, ma adesso…
Improvvisamente
la nave ondeggia. Fuori, una tempesta è scoppiata senza alcun preavviso ed alte
onde minacciano la stabilità della nave. I carcerieri di Marada ed Arianrhod
non pensano più a loro, adesso, terrorizzati da quello che appare come un
sinistro prodigio. Marada riesce a non perdere il sangue freddo e, sia pure con
difficoltà, s’impadronisce di un pugnale.caduto ad una guardia. Ora, se solo
riuscisse ad usarlo per liberarsi prima che…
La
nave ondeggia in balia delle onde, poi, un’onda più forte delle altre la rovescia
ed in pochi attimi il vascello s’inabissa.
Altrove,
uno stregone ride soddisfatto.
Marada
è riuscita a liberarsi le mani ed ora, freneticamente, si libera i piedi,
cercando di non pensare né al fatto che sta sprofondando sempre più, né al
fatto che Arianrhod, legata com’è, non può assolutamente nuotare. Impegnata
com’, non si accorge nemmeno del leggero scintillio che proviene dal sacchetto
ancora assicurato alla sua cintura e non saprà mai quanto sia importante per la
sua stessa salvezza. Ormai è libera ed i suoi occhi cercano la sua amica e,
quando la vede scivolare sempre più in basso, nuota più veloce che può e riesce
ad afferrarla per la veste. Per sua fortuna, Arianrhod sta trattenendo il
fiato, ma per quanto ancora? Marada sente già i polmoni scoppiarle, ma non ha
alcuna intenzione di mollare adesso. Non permetterà che lei ed Ari muoiano in
questo modo stupido, non lo permetterà. Con un ultimo sforzo, raggiunge la
superficie. Il cielo è di nuovo limpido ed il mare calmo. Un’altra donna non crederebbe
mai che quel subitaneo fenomeno atmosferico avesse per unico scopo affondare
proprio la loro nave, ma Marada ha visto troppi prodigi nella sua ancor giovane
vita, per non crederlo possibile. Ora, però, è troppo sfinita per pensare ad
altro, che non sia un appiglio per lei ed Arianrhod e lo trova in un legno che
galleggia poco lontano. Non è molto, un semplice pezzo della nave, ma basterà.
È davvero ammirata dalla determinazione con cui Ari la segue, nuotando con
decisione, finché, non raggiungono il legno, in realtà quanto resta di uno
degli alberi della nave, e vi si adagiano sfinite, troppo sfinite, per notare
una nave che appare all’orizzonte.
Per
la seconda volta da quando è cominciato il suo viaggio, Marada si sveglia di
soprassalto in un luogo che non le è familiare e, per la seconda volta, si
tratta della cabina di una nave. Questa volta non è legata, però e, mentre
dormiva, qualcuno le ha tolta la cotta di maglia e l’ha sostituita con una
leggera tunica, come quelle usate dalle donne romane.
-Sei sveglia, finalmente.- la voce
è quella di una ragazza di non più di 15 anni. Ha parlato in latino ed i suoi
paramenti la identificano come un appartenente alla nobiltà romana. Al
contrario, la donna che è con lei, più anziana, è chiaramente una schiava.
-Dove sono?- chiede Marada
-Ti abbiamo raccolto, tu e la tua
amica, svenute in mezzo al mare, vittime di un naufragio.- risponde la ragazza.
-Si, ricordo il naufragio
e….Arianrhod… cosa le è successo?-
-Sta bene.- risponde la schiava -È
stata una dura prova per lei ed ora sta riposando.-
-Devo… vederla.- dice Marada,
alzandosi in piedi
-Sei ancora debole.- le dice la
ragazza.
Marada
scuote la testa e si dirige al giaciglio dall’altro lato della stanza,
sedendosi, poi, a fianco della sua compagna d’avventure
-Ari… tutto bene?-
Arianrhod
si sveglia e vedendo Marada sorride e stringendole la mano, esclama:
-Oh Marada, sei proprio tu!
Allora, siamo salve ancora una volta.-
-Si Ari, anche se non so ancora
come..-
-Puoi ringraziare la tua fortuna,
Marada, detta la Lupa, che ha fatto passare la mia nave vicino a dove tu ti
trovavi. La fortuna, o forse, sarebbe meglio dire, gli imperscrutabili disegni
del fato.-
A
parlare, stavolta è stata una donna, di qualche anno più anziana di Marada; dal
suo portamento la si qualifica chiaramente come una nobile. La ragazzina le
corre incontro
-Madre!- esclama.
Il volto della nuova venuta sembra
stranamente familiare alla Lupa, ma non riesce a capire perché.
-Mi conosci forse?- chiede
-L’ultima volta che ti vidi avevi
solo quattro anni e non puoi ricordarti di me, ma io…io avevo 13 anni e non ho
dimenticato.-
Lo
sguardo di Marada s’indurisce. Questa donna l’ha conosciuta al tempo in cui suo
padre fu giustiziato. Chi può essere?
-Chi sei?- chiede con diffidenza
La
giovane matrona sorride e risponde:
-Sono una figlia di Roma, anche se
Roma pare avermi rinnegata. Il mio nome è Vipsania Giulia. Mio padre era il
generale Marco Vipsanio Agrippa, mia madre è Giulia, figlia di Cesare Augusto
ed io sono in viaggio per andarla a trovare nel luogo del suo esilio. Questo
risponde alla tua domanda… sorella?-
Dea
Madre, pensa Arianrhod, mentre vede Marada ammutolita per la prima volta da
quando la conosce.
4.
Sta morendo. L’uomo che tiene in
pugno le sorti di Roma ne è certo, ormai. Colui che il mondo conosce come Caio
Giulio Cesare Ottaviano Augusto Imperatore, Padre della Patria, sente la vita
sfuggirgli ogni momento che passa. Ha vissuto a lungo, forse troppo a lungo,
abbastanza da veder morire due nipoti e tre pronipoti e per vedere i suoi piani
di successione frustrati uno dopo l’altro.
Ogni sua speranza di veder continuare quanto ha pazientemente costruito
in tanti decenni è ora riposta in Tiberio, il suo figliastro. È stato per lui
l’unico padre che abbia mai veramente conosciuto ed alla fine, secondo l’uso
romano, l’ha anche adottato, confermandolo quale suo erede, ma non c’è stato
mai molto amore tra loro. Augusto tossisce. Non riesce a muoversi ormai.
Avrebbe voluto morire a Roma, ma il fato ha deciso diversamente e sarà, qui a
Nola che è destinato a lasciare l’esistenza terrena. Se solo avesse potuto
avere i suoi familiari con se, ma è stato lui stesso a scacciarli ed ora è
troppo tardi, non potrà mai rimediare al male che ha fatto loro o impedire che
ne sia fatto altro.
Marada
non pensava di potersi sentire così intimidita in vita sua. Ha affrontato
uomini e demoni, ma ritrovarsi con la sua sorellastra e rivedere sua madre,
questo si che la turba davvero. Sono passati anni da quando l’ha vista l’ultima
volta, anni in cui lei ha servito Roma ai confini Germanici, In Asia ed in
Africa, senza mai pensare a quei parenti romani che l’avevano ripudiata e
rivolgendo solo pensieri sporadici e malinconici ad una madre che era stata per
lei una presenza sporadica mentre cresceva e ad un padre su cui aveva
favoleggiato senza mai averlo conosciuto. Aveva dodici anni quando vide sua
madre per l’ultima volta. Era venuta a salutarla prima di partire per l’isola
dove il potente Augusto l’aveva costretta a recarsi in esilio. Ora sono di nuovo
l’una di fronte all’altra e la Lupa teme, per la prima volta da anni, di non
saper contenere le proprie emozioni, anzi di non essere neppure certa di quali
esse siano.
È
sua madre a rompere il silenzio:
-Marada, sei davvero tu? Fatti
vedere ragazza. Sei davvero bella e forte, come mi avevano detto.-
-Anche tu stai bene madre.-
-Dici?- replica Giulia -Ah so bene
che gli anni passano e che la mia bellezza sta sfiorendo, ma mi sto rassegnando
a questo. Quanto a te… i tuoi abiti si addicono più ad un legionario che ad una
donna. Vedo che i racconti su di te sono veri, dunque: più che una figlia di
Roma, sei la degna figlia di tuo padre. Oh si, so delle tue imprese. Certe
notizie sono arrivate anche qui sai? Si cantano delle leggende su di te: Marada
la Lupa ti chiamano, perché ti batti con la stessa furia di una lupa che
difende i suoi cuccioli. Ma tu non hai cuccioli vero Marada? Si dice che nessun
uomo ti abbia ancora toccata, è vero?-
-Nessun uomo, no.... Nessun
maschio umano.- risponde Marada abbassando lo sguardo. Questo sarebbe il
momento adatto per parlare con sua madre di quando è stata stuprata dal demone
Y’Garon. Pensa a quante volte l’ha incontrata nei suoi 24 anni di vita. Può
davvero confidarsi con lei adesso? Sceglie di non parlare. Giulia, prosegue:
-Sei sempre stata diversa dagli
altri miei figli. In te scorre il sangue ribelle di tuo padre, eppure sei
sempre una figlia di Roma. Nelle tue vene scorre il sangue dei Cesari, della
Gens Giulia e non ti permetteranno di dimenticarlo.-
-Cosa vuoi dire, madre?-
.-Mio padre, il grande Augusto è
prossimo alla morte, ormai e, quando accadrà, sarà Tiberio a succedergli.
Tiberio è un uomo scaltro e vorrà sempre avere il controllo sui potenziali
rivali.-
-Io? Un’illegittima, frutto
dell’unione con uno schiavo, una donna che preferisce il mestiere delle armi,
un rivale ed un pericolo per il futuro Signore di Roma? Non credo proprio
madre.-
-Dimentichi la profezia della
Sibilla? Tu un giorno terrai in mano il destino del mondo e, forse, quel giorno
è venuto.-
Marada
scuote il capo.
-T’inganni, madre.- ribatte - Io
non credo agli oracoli e la mia vita, ormai, è ben lontana da Roma. Il mio
scopo, al momento, è riportare Arianrhod nella sua patria, come ho giurato a
sua nonna ed al suo padre morente.-
-La giovane Britanna? Sembra che
tu le sia molto affezionata, figlia mia.-
-Più che alla mia stessa vita. È
una ragazza in gamba, dolce e timida, eppure, al tempo stesso, fiera e
determinata.-
-Virtù che si confanno alla
compagna di una Lupa, direi.- replica Giulia sorridendo quieta –Riprendi la tua
marcia, dunque, Marada, se davvero è ciò che vuoi, ma non dimenticare colei che
ti mise al mondo.-
-Non potrei mai, madre, mai..-
Le
due donne si abbracciano per un lungo attimo, poi Marada si stacca fa per
andarsene, solo per voltarsi improvvisamente
-Madre… tu amavi mio padre e lui
ti amava?-
Giulia
abbassa gli occhi
-L’ho amato come non ho amato
nessun altro.- risponde –Lui ha pagato con la sua stessa vita quest’amore ed è
l’unica cosa che rimpiango. Non certo di aver avuto te, tu sei il dono che mi
ha lasciato.-
Marada
esce all’aperto. Le sue mani sfiorano il gladio che pende alla sua cintola.
Quando è su un campo di battaglia, non ha esitazioni, ma qui, alle prese con i
sentimenti, si sente sempre più a disagio. Fuori della casa, Arianrhod sta
parlando con la giovane Emilia Lepida. La ragazzina è di poco più giovane della
britanna e Marada trova strano il pensiero che sia sua nipote, figlia di una
sorella maggiore, alla quale non ha mai pensato sinora. Eccola avanzare,
Vipsania Giulia. Come sono diverse, pensa la Lupa. Figlie della stessa madre,
eppure cresciute separate. L’una nei grandi palazzi romani, l’altra, lontana
dalla corte del nonno e dagli agi e tutto perché il padre dell’una era un
generale romano e quello dell’altra, un gladiatore venuto dalla Gallia. Una
figlia dell’adulterio e con uno schiavo, per giunta. Una vergogna da
nascondere, non altro. Marada non aveva mai pensato di provare risentimento per
questo, sino ad ora. Il suo sguardo incrocia quello della sorellastra e non vi
legge disprezzo e nemmeno in quello della giovane Emilia ed allora il suo
sguardo si addolcisce in un sorriso.
-Arianrhod mi ha fatto vedere
com’è brava nel tiro con l’arco.- le dice Emilia –Dice che tu sei molto più
brava, che nessuna è brava come te, è vero?-
-Ari esagera spesso.In effetti, me
la cavo bene.- risponde Marada
-Abbiamo sentito spesso racconti
su di te, sorella.- interviene Vipsania Giulia –Le storie delle tue gesta hanno
ispirato ballate e lo stesso Augusto ne è rimasto impressionato.-
-Non credevo che il potente
Augusto si interessasse di me…. sorella.- la parola non esce facilmente dalle
labbra di Marada, disabituata ad usarla
-Nostro nonno s’interessa sempre
di ciò che accade al suo sangue, credimi.-
-Anche se è impuro Giulia?-
Giulia
la guarda e, per un attimo, Marada vede nel suo volto il riflesso del suo
stesso sguardo.
-Il grande Augusto vuole il
controllo su tutti. Ha esiliato mia madre e me ed anche nostro fratello perché
ci rifiutavamo di sottometterci ed eravamo di scandalo per la sua corte. La
volontà di Augusto è legge, la stessa legge che ha mandato a morte mio marito
13 anni or sono.-
-Mi spiace.-
-Non importa, ormai. Stai lontana
da Roma, Marada, tu che puoi, scegli la libertà, non farti coinvolgere negli
sporchi giochi di questa famiglia.-
Non
era mia intenzione, pensa Marada, ma chissà se mi sarà davvero possibile?
A
miglia di distanza, lo stregone dal manto purpureo, osserva nel suo bacile
incantato
-Mi sei già sfuggita una volta,
Marada, detta la Lupa, non mi sfuggirai una seconda.- esclama, poi chiama con
voce forte:
-Voi che parlate con la voce del
serpente, uditemi e prestatemi la vostra forza!-
Nel
fondo del bacile si forma il volto di un serpente antropomorfo, che parla con
voce sepolcrale:
<<Ti
ho udito Stygyro e sono pronto!>>
E lo stregone parla e quando ha finito di parlare, solo una risata demoniaca rompe il silenzio.
5.
Marada
è immersa nelle acque della piscina termale della villa di sua madre, i suoi
pensieri sembrano offuscare il suo bel volto. Arianrhod si porta vicino a lei,
sfiorandole le spalle con le dita.
-Sei tesa Marada.- le dice
–Un’inquietudine ricopre il tuo cuore come quando giungesti ad Ashandriar.
Speravo che il tuo spirito fosse guarito, da allora.-
La
Lupa si sforza di sorridere
-E lo è Ari.- risponde –Almeno da
quelle ferite, ma ce ne sono altre ancora aperte.-
-Parli di tuo padre… e di tua
madre, vero?- chiede la ragazza
Si, è così. Io sono cresciuta secondo i dettami del popolo di mio
padre, sono diventata una guerriera. È la vita che ho voluto e non ho
rimpianti, eppure, certe sere, non riesco a non pensare a ciò che ho perduto:
il calore dell’amore di un padre, la compagnia dei miei fratelli. Tutto mi è
stato sottratto perché mio padre, per Roma, era solo uno schiavo, indegno
dell’amore della figlia di Cesare. Così la pensava il grande Augusto, mio
nonno, e questo fa ancora male, lo confesso.-
Così
parlando, Marada si solleva dalla vasca, seguita dalla sua amica. Per un pò le
sue donne rimangono così, sedute, l’una di fianco all’altra sui bordi della
piscina, con la luce della luna che entra dal foro sul soffitto e crea giochi
di luce sull’acqua e suoi loro corpi nudi. Arianrhod stringe la mano della sua
amica ed appoggia, piano, la testa sulla sua spalla. Quell’attimo di tenerezza
è spezzato da un improvviso ribollire delle acque, poi, ecco saltar fuori
dall’acqua una mostruosa creatura. Assomiglia ad un uomo, ma è alto e grosso
almeno il doppio di un uomo comune, la sua testa è quella di un serpente e la
sua lingua biforcuta sibila nell’aria. Si lancia contro le due donne ed
Arianrhod perde l’equilibrio, finendo in acqua. Marada scatta verso i suoi
abiti, benedicendo l’abitudine che non la fa mai separare dalle sue armi. Il
serpente umanoide le afferra i capelli, proprio mentre le sue dita si serrano
sull’impugnatura del gladio e si ritrova strattonata indietro.
-Tu
hai qualcosa che voglio, donna e me lo darai!- esclama la creatura, con
voce inumana.
-Da me avrai solo il freddo
acciaio della mia lama, demone!- replica Marada infilando la lama nel petto del
serpente demoniaco, che cade all’indietro trascinandola con se in acqua. La
creatura afferra il collo di Marada e comincia a spingerla verso il fondo.
Senza perdersi d’animo, la Lupa insiste nel colpirlo ripetutamente. Per quanto
sia un demone, pensa, se ha una forma fisica, deve essere vulnerabile ad una
lama d’acciaio, come lo era il perfido Y’Garon, deve. L’uomo serpente molla,
alfine, la presa e Marada ne approfitta per risalire in superficie e riempirsi i
polmoni d’aria.
-Attenta Marada!- urla la voce di
Arianrhod.
L’avvertimento
giunge appena in tempo, Marada evita di stretta misura gli artigli del suo
avversario. C’è qualcosa di stranamente assurdo in questa scena in cui un
serpente umanoide e due giovani donne, tutti completamente svestiti si
confrontano in un combattimento mortale, immersi sino alla cintola nelle acque
calde di questa piscina, ma i protagonisti trovano tutto terribilmente serio,
specialmente coloro che sono vittime designate dell’uomo serpente.
-Chi o che cosa sei?- riesce a
chiedere Marada.
-Io? Sono uno dei figli di Set, il potente dio serpente e sono qui per recuperare uno dei suoi occhi, che è in mano tua.- risponde l’altro con un sogghigno.
-Ti sbagli caricatura d’uomo.-
replica la Lupa -Io non ho alcun…. Aspetta, tu parli di quello che c’è nello
scrigno che mi ha affidato quel mercante ad Alessandria?-
-Il mercante che
ha già pagato a caro prezzo la sua arroganza nel volersi impadronire dei
talismani del potere. Io voglio l’Occhio di Set, donna, e, se per averlo, dovrò
prendere la tua inutile vita, lo farò con piacere.-
Se davvero questo, occhio, come lo chiami tu, è un talismano così potente, questo è un buon motivo per non farlo cadere in tua mano od in quelle dello Stregone che certamente, ti ha evocato.-
-Sei perspicace
Marada la Lupa, ma ciò non cambierà il tuo destino. Tu non puoi sconfiggermi,
ma io, certamente, ti ucciderò.-
-Demone, tu parli troppo!- urla Marada e con un affondo cerca di arrivare al cuore del mostro, ma la sua lama incontra l’ostacolo delle scaglie e viene, fatalmente, rallentata.-
Il
demone ride e la colpisce, sbattendola contro il bordo della piscina. Marada
perde la presa sul gladio e, mentre cerca di recuperarlo, l’uomo serpente
l’afferra per i capelli.
-Hai
perso, Lupa, la tua vita è mia!-
-Marada!- urla con orrore Arianrhod. La ucciderà, pensa. Non può permetterlo. Con tutte le sue forze la giovane Britanna si concentra ed infine chiama:
-Demone ascoltami!-
L’uomo
serpente si volge verso di lei e dice semplicemente
-Verrà
anche il tuo turno, ragazzina, ora lasciami finire il mio lavoro.-
-Il tuo lavoro è già finito,
demone. Io conosco le parole del potere e le userò contro di te. Ka Nama Kaa
Lajerama! Cadi ora, figlio del serpente, cadi!-
Un
fulmine azzurrognolo scocca dalle mani di Arianrhod e colpisce il demone, che
ricade in acqua, mentre dalle varie ferite prodottesi, là dove Marada lo aveva
colpito prende ad uscire, copioso un liquido verdognolo e viscoso.
-No,
non può essere.- esclama la creatura, tentando di rialzarsi -Due semplici femmine umane non possono
sconfiggere un figlio di Set!-
-Invece è quello che Abbiamo fatto, demone, e l’abbiamo fatto insieme!- ribatte Marada, che, recuperato il gladio, lo infila per tutta la lunghezza della lama nel petto della creatura spaccandogli il cuore. La creatura grida, un grido di dolore come mai se ne sono uditi sulla terra da innumerevoli secoli, poi, cessa di muoversi, per dissolversi in polvere poco dopo.
Arianrhod corre ad abbracciare Marada.
-Ho avuto davvero paura per te.- dice –Per fortuna mi sono ricordata le parole del potere ed ora siamo salve.-
-Si, siamo salve per ora. Ma cos’erano quelle parole ed in che lingua erano? E perché il serpente umano le temeva? Tu lo sai, vero Ari?- le chiede Marada.
-Si. Mia nonna me ne ha parlato. Quelle parole sono una formula antica, forse più antica dell’umanità, che venne usata contro i terribili uomini serpente, tra gli altri, dal leggendario Re Kull di Valusia. Al loro suono essi rivelavano la loro natura ed il loro potere era neutralizzato. Ha funzionato anche contro il demone.-
-Per fortuna. Confesso di non capire molti dei tuoi discorsi sugli uomini serpente o su questo Re Kull, ma non importa. Quanto agli occhi di Set, ne sai qualcosa?-
-Si, la nonna mi ha insegnato anche questo. Gli occhi di Set sono due gioielli di grande potere, consacrati dal dio oscuro. Se uniti insieme, conferiscono al loro possessore un potere illimitato. Ci sono altre leggende su di essi, ma non le ricordo.-[2]
-Non importa, basta questo, per ora. Ora comprendo che il mercante ci ha affidato l’Occhio di Set per impedire che cadesse in mano a qualcuno intenzionato a riunire i due gioielli ed usare il loro potere.-
-Qualcuno che, certo non cederà.-
-Lo so, Ari, ma scoprirà che una Lupa ed una strega sono avversarie da non sottovalutare.-
Parlando, le due donne sono uscite dall’acqua, per avvolgersi in ampi asciugamani, giusto in tempo per l’arrivo della servitù, attratta dai rumori e dalle urla, ovviamente troppo tardi. Marada fa cenno ad Arianrhod di tacere su quanto è avvenuto. Non è il caso di turbare sua madre ed il resto degli ospiti, pensa.
Più tardi nel chiuso della loro stanza, Arianrhod pratica un rito insegnatole dalla nonna.
-Fatto!- esclama.Ora il potere del gioiello è stato neutralizzato.- dice la giovane maga
-Sei certa che funzionerà?- le chiede Marada
-A dire il vero, no, ma questo è il meglio che posso fare. L’incanto funzionerà, spero, ma per sicurezza, bisognerà che il gioiello sia posto lontano dalle tentazioni umane.-
-A questo provvederò io. – replica Marada.
EPILOGO
Il giorno dopo, è il momento degli addii. Marada non mostra commozione, mentre saluta la madre.
-Questo potrebbe essere il nostro ultimo incontro Marada.- dice quest’ultima
-Non dire certe cose, Madre, io tornerò, presto o tardi-
-Credi ai presentimenti?- replica Giulia –Io ne ho uno e sento che non rivedrò mai più né te, né alcun altro dei mie figli. Bada a te, Marada, non dimenticare mai chi sei, figlia di un barbaro e figlia di Roma. Sii sempre orgogliosa di ciò che sei, come io lo sono di te.-
Marada ricaccia indietro le lacrime e saluta, un’ultima volta, la madre, poi raggiunge la nave in attesa e rimane a guardare la costa che si allontana, finché non riesce più a vedere la donna sulla spiaggia, infine, si volge dalla parte opposta. Le sue dita sfiorano il sacchetto, che pende dalla sua cintura. È sempre rimasto con me sin dall’inizio del viaggio, pensa, anche i Parti non me l’hanno sottratto. Tu bramavi un possessore umano, gioiello maledetto, ma la tua maledizione ha fallito.
Con gesto deciso, colei che è detta la Lupa getta il sacchetto in mare. L’oggetto rimane a galla per un attimo, poi viene inghiottito dalle onde e scompare alla vista degli uomini.
Da qualche parte, uno stregone in tunica porpora urla oscene maledizioni e giura vendetta.
Marada non lo sa ed anche se lo sapesse, probabilmente, non ne sarebbe turbata. Ora, colei che è detta la Lupa volge lo sguardo verso l’orizzonte, mentre il vento le scompiglia i capelli. Ha ancora molto tempo davanti a se e nuove avventure da vivere.
FINE
NOTE DELL’AUTORE
Si conclude, così, almeno per ora, l’avventura di Marada la Lupa, se vi è piaciuta, beh, allora altre potrebbero seguire. Ed ora qualche chiarimento sui personaggi di questa storia.
1) Marada la Lupa è stata creata nel febbraio 1982 da Chris Claremont & John Bolton sul n° 10 della rivista in bianco e nero “Epic Illustrated”, portabandiera della linea “matura” della Marvel, l’etichetta Epic e le sue prime due avventure furono, successivamente, raccolte, a colori, nella Graphic Novel del 1985, dal titolo, appunto, “Marada the She-Wolf. La sua genesi vale la pena di essere raccontata. All’inizio la trama era stata concepita per il personaggio di Red Sonja, comprimaria storica della serie di Conan il Barbaro. Per motivi di copyright, presumibilmente legati al film su Red Sonja interpretato da Brigitte Nielsen, all’epoca in produzione, e noto in Italia col titolo di “Yado”, l’uso di Red Sonja fu interdetto e Claremont riscrisse la storia spostando l’azione dall’Era Hyboriana agli inizi dell’Impero Romano; la Diavolessa (She-Devil) divenne la Lupa (She-Wolf); i capelli rossi divennero d’argento, ma a parte questo, i due personaggi avevano davvero molto in comune, anche se Marada, complice il tratto di John Bolton, è, decisamente, più sensuale e, diversamente che con Red Sonja, non mancano le scene glamour con la protagonista, anzi le protagoniste (non bisogna dimenticare la giovane apprendista strega Arianrhod), abbastanza spesso discinte od in pose languide. Ironicamente, la trama della prima avventura di Marada fu riadattata quattro anni dopo da Jim Owsley, attualmente noto come Christopher Priest, & Val Semeiks per una storia di Conan the Barbarian con coprotagonista proprio Red Sonja. Il titolo: “La Canzone di Marada” è un chiaro omaggio alla storia di Roy Thomas & Barry Windsor-Smith “La canzone di Red Sonja” pubblicata su Cona the Barbarian #24 (Albi dei Super Eroi, Corno, #43) dove il personaggio di Red Sonja, comparso già nel numero nel numero precedente, riceve la sua consacrazione definitiva.
2) Marada viene introdotta come figlia della primogenita di Cesare, ma la domanda è: quale Cesare? Il nome che viene spontaneo è, certo, quello del Cesare per eccellenza, Caio Giulio Cesare, ma non bisogna dimenticare che oltre che il nome del dittatore, il termine Cesare ha indicato, dopo Augusto, il signore di Roma, l’Imperatore; inoltre, Giulio Cesare è morto relativamente troppo giovane, per essere vivo con una nipote di 24 anni, anche tenendo presente che le donne a quell’epoca erano, di solito, già sposate e con figli, già a 14/15 anni. Dopo lunga riflessione, ho deciso che il nonno di Marada sarebbe stato il primo, vero, imperatore: Cesare Augusto, nato Caio Ottavio e figlio della figlia della sorella di Giulio Cesare, fu, da questi adottato nel suo testamento ed assunse il nome di Caio Giulio Cesare Ottaviano ed, in seguito alla conquista del potere, gli fu attribuito l’appellativo di Augusto, con cui è comunemente chiamato nei tempi moderni. La storia del padre di Marada, il suo nome, il suo incontro con Giulia, figlia di Augusto sono frutto esclusivamente della mai fantasia. Le notizie biografiche su Giulia, comprese quelle sulle sue tresche extramatrimoniali durante l’infelice matrimonio con Tiberio sono rigorosamente esatte, a parte, ovvio, quelle sulla sua gravidanza da cui sarebbe nata Marada. Può essere divertente notare che in quello stesso periodo, Tiberio aveva invece, una tresca con Vipsania, l’ex moglie e madre del suo unico figlio, da cui Augusto l’aveva costretto a divorziare per fargli sposare un’altrettanto riluttante Giulia. Così andava il mondo a quei tempi.
3) Precisazione geografica: l’Armorica, regione della Gallia, corrisponde, grosso modo, alla moderna Bretagna; l’isola di Pandateria, dove fu, dapprima, esiliata, Giulia, figlia di Augusto, ha, oggi, il nome di Ventotene, mentre Retium, corrisponde all’odierna Reggio Calabria.
4) Per chi non lo sapesse, Kull il Conquistatore, re di Valusia, citato nella storia, è un personaggio creato, sul finire degli anni venti, da Robert E, Howard, il creatore di Conan. Kull è un barbaro vissuto circa 20,000 anni fa, nativo della perduta Atlantide, (il continente, non il regno di Sub Mariner) che conquista un trono nella più potente nazione dell’epoca: Valusia. Gli uomini serpente, adoratori del dio primevo Set e suoi agenti sulla Terra, sono una razza parallela all’umanità, che ha corpo umano e testa di serpente, anche se sono capaci di assumere sembianze umane e si confondono, grazie a ciò, tra la gente comune ed ignara. Gli uomini serpente erano nemici giurati di Kull e furono quasi completamente sterminati da Kull e, oltre 8000 anni dopo, i pochi sopravissuti furono distrutti da un ormai anziano Conan, il famoso barbaro creato sempre da Robert E, Howard. Sono completamente estinti nei tempi moderni? Chi può dirlo con certezza? Di certo sopravvivono gli uomini serpente di Starkesboro, adoratori del demone Sligguth, ma per quanto riguarda la loro sorte, chiedete a Valerio, forse lui saprà rispondervi… o forse no. -_^
5) Il Demone Y’Garon è stato creato circa 29 anni fa da un Chris Claremont alle prime armi su Giant Size Dracula #2 (In Italia su Dracula, Corno, #12) come avversario di Dracula e riutilizzato nove anni dopo come avversario di Marada. E , di recente tornato, proprio su Marvel It, assieme ai suoi fratelli della Triade, proprio su durante la saga crossover globale INFERNO² proprio nella serie MIT “La tomba di Dracula”. Proprio la presenza di Y’Garon permette di affermare con sicurezza che la saga di Marada si svolge nell’Universo Marvel cosiddetto “Mainstream”
6) Infine, un cenno sui nomi Romani, che servirà a chiarire, spero, qualche idea. Il tipico nome romano era composto da due elementi: il praenomen, che corrisponde al nostro nome di battesimo, ad esempio, Caio; il nomen, che era il nome della famiglia o Gens e svolgeva le funzioni del nostro cognome, ad esempio, Giulio; ci poteva essere un elemento, il cognomen spesso dovuto ad una caratteristica fisica o morale di chi lo portava e che era trasmesso ai discendenti e distingueva spesso, i vari rami delle varie Gens, esempio, Cesare. In caso di adozione, l’adottato assumeva il nomen ed il cognomen di chi l’aveva adottato, aggiungendovi perlopiù, il proprio nomen aggettivato. Così, Caio Ottavio, dopo essere stato adottato, assunse il nome di Caio Giulio Cesare Ottaviano, a cui, dopo la conquista del potere si aggiunsero gli appellativi di Augusto e di Imperator, titolo dato, di solito a generali vittoriosi che celebravano un trionfo e che, solo qualche generazione dopo assunse il significato che ha oggi. All’epoca di Augusto, il titolo che gli veniva attribuito era quello di Princeps, ovvero di primo tra tutti e che ho preferito usare nell’originale latino, visto che, in italiano moderno il termine Principe, indica una cosa del tutto diversa, Le donne romane non avevano nome, meglio, veniva attribuito loro il nome gentilizio in versione femminile. Pertanto, la figlia di un appartenente alla Gens Giulia si chiamava, invariabilmente Giulia; in caso di più figlie, le si chiamava, secondo il nostro esempio, Giulia Maggiore e Giulia Minore, oppure, Giulia prima, Giulia Seconda, Giulia Terza e così via; oppure si aggiungeva al nome gentilizio un nome ulteriore, un nomignolo o simili. Ad esempio la prima figlia di Giulia, figlia di Augusto e Marco Vipsanio Agrippa, fu Vipsania Giulia, aggiungendo al nome gentilizio del padre, quello della madre; la seconda figlia fu chiamata Vipsania Agrippina, con l’aggiunta della versione femminile del cognomen del padre.
Con questo ho chiuso. Vedremo ancora Marada? Ne sapremo di più sul destino del suo imperiale nonno e sulla sua famiglia di parenti serpenti, per i quali, lei è poco più di un’intrusa? Io spero di si e sono qui per riportarvi nell’antica Roma, tra intrighi di potere, complotti, arene, magie e tanto altro ancora. Dipende da voi.
Carlo