PROLOGO: Cape Cliff, Salisgraveshire, Scozia nord-occidentale
Sir Victor Salisgrave, Cavaliere dell’Ordine
della Giarrettiera e dell’Ordine del Cardo. Signore del Castello di Salisgrave,
25° Lord di Cape Cliff, 19° Conte di Salisgrave.
Titoli che per ora avevano ben poco senso, per
un uomo ridotto all’ombra di sé stesso, un pallido fantasma rinsecchito che
solo una forza di volontà inarrestabile teneva ancora in vita.
Eppure, tutto questo poteva finire. Le sue
carni potevano tornare giovani, la forza fisica all’apice… Tutto con un solo
sorso dell’elisir custodito fra le pareti del suo castello[i].
Seduto davanti al camino, alla costante
ricerca di calore come un serpente, il Conte Salisgrave accarezzò la testa di
una creatura dal corpo metallico argenteo, simile ad un gargoyle, acquattata ai
piedi della poltrona. “Claudius,” disse, con una voce allo stesso tempo sottile
e penetrante.
“Padrone?” quasi squittì la creatura,
sobbalzando. Nella sua nuova incarnazione, non aveva perso il suo timore reverenziale
verso il suo creatore.
“L’Anello del Serpente. Dov’è?” E nel
chiederlo, strinse la mano sul cranio con una forza insospettata.
Claudius si irrigidì. Alcune rune che a
strisce decoravano il suo corpo brillarono intensamente. Le sue pupille a
fessura svanirono in un fondo rosso pulsante. Con una voce priva di ogni
emozione, disse, “E’ custodito da Vitellia, in Brasile, nel cuore verde e
oscuro della Foresta Amazzonica, in un tempio di Set sul Rio Muerto.”
Victor lasciò andare la testa di Claudius,
tornando ad accarezzarla gentilmente. “Sei stato molto bravo, lo apprezzo.”
Claudius avrebbe voluto protestare su quanto detestasse quella cosa, ma
saggiamente decise di tacere.
“Vitellia, eh? Anubi ne sarà felice. E’ quasi
ora di fare volare i miei angeli oscuri. La loro pausa è durata abbastanza.”
Un terribile rombo di tuono sottolineò quella
frase.
MARVELIT presenta
I SUPERNATURALS
Episodio 23 – Le
Segrete del Dolore
Era una delle tante giornate di tempesta, in
quell’area flagellata quasi tutto l’anno da venti implacabili e temperature
basse. Ogni goccia di pioggia era una gelida stilettata, ogni raffica di vento
un soffio che sembrava volerti strappare l’anima.
Gli abitanti del villaggio che sorgeva nei
pressi del castello del Signore di Cape Cliff avevano scelto di vivere lì. Gli ospiti
permanenti del Conte, i suoi ‘angeli oscuri’, no.
Uno di essi era la demoniaca creatura un
tempo, una vita fa, conosciuta come Jason Phillip Macendale Jr., ora e per
sempre Hobgoblin. Il gelo e il vento non avevano il minimo effetto su di lui, nessun
elemento poteva ferire un mostro soprannaturale degno del nome che portava!
Il castello si allontanava sempre di più. Il
fuoco di cui era fatto il suo infernale aliante brillava come una stella in
quella tempesta, lasciandosi dietro una scia come di una cometa maledetta. Più
il castello si allontanava, più cresceva speranza nel cuore ombroso di Macendale.
Possibile davvero che..?
Il dolore lo colse all’improvviso, come altre
volte era successo, spegnendo ancora una volta ogni speranza. Questa volta,
anziché cadere verso il mare agitato, Hobgoblin si fermò, reggendosi il petto.
Ansimava. “Sì, sì, ho capito, maledizione!” Si voltò e tornò verso il castello.
Nella camera da letto, l’uomo di nome Zachary
Moonhunter, intento a fissare il soffitto, disse, “Lo hai sentito?”
La bianca licantropa sdraiata accanto a lui,
una mano artigliata distesa contro il torso nudo di lui, disse, “L’ho sentito.”
“Ci ha riprovato.”
“Hm-m.”
“Mi devi dieci dollari.”
La mano della creatura di nome Nightshade scivolò sotto le
lenzuola, e si fermò fra le gambe dell’uomo –e non dovette essere una
sensazione piacevole, a giudicare dal verso in falsetto che sfuggì a lui.
“Stai ricordando una scommessa a una femmina
dotata di artigli, appena dopo avere fatto l’amore, Zachary?”
“*erk!* Veramente l’hai proposta tu,
pelliccetta…” la pressione aumentò. “OK, OK, come non detto! Ma il sesso non
dovrebbe addolcirti?”
Lei tornò ad abbracciarlo. “Infatti non ti ho
ucciso.” E lo lasciò andare.
Zach tracciò con il dito l’intricato tatuaggio
blu che le copriva l’occhio destro. “Una creatura così carina non potrebbe
farlo. Ti ho già detto quanto sei migliorata, così?”
La lupa lanciò un’occhiata alla sua immagine
allo specchio. L’influenza dello spirito di Pintea, l’eroico licantropo balcano,
era responsabile di quel cambio di colore[ii],
e non le dispiaceva affatto. Mugolò. “Chissà se questa calma durerà ancora.
Hmm, avrei dovuto prestarti più attenzione, a Starkesboro[iii].
Credo che siamo i soli in tutta la banda ad essere felici di essere costretti a
stare insieme a causa del Caduceo.”
Il Caduceo degli Sterling, un potente simbolo
talismanico che, imposto sulla coppia, Hobgoblin e tutti gli altri membri dei
sinistri Supernaturals, dava loro forza e protezione, ma altresì li costringeva
a stare entro una certa distanza l’uno dall’altro. Solo la morte poteva
liberarli, oppure se qualcuno decidesse in piena consapevolezza di sostituire
un membro. E trovare ed informare il candidato era una prerogativa del Conte…
“Tilda?”
“Dimmi.” I sensi di lei percepirono il brusco
cambiamento umorale. Ora il suo uomo era ansioso, nella voce e nell’odore.
“È che non vorrei sembrare frettoloso…” Si
sciolse dall’abbraccio e si mise seduto Cavolo, non so proprio come dirtelo! E
dire che ne ho passate di peggiori…” Tirò un profondo respiro. “Tilda Johnson,
vuoi sposarmi?”
Per poco lei non fece la muta. “Cosa?”
Zachary si mise a ridere nervosamente. “Oddio,
non proprio la risposta più romantica!”
Poi toccò alla licantropa di mettersi seduta.
“Zach, è che non so neppure cosa pensare. Come ti salta in mente di chiedermi
una cosa del genere?”
In risposta, lui la baciò. “Perché sei la cosa
migliore che mi sia mai capitata. Ti ammiravo e mi piacevi, prima, ma da quando
Pintea ti ha permesso di mostrare il tuo lato migliore, ho capito che lasciarti
andare sarebbe stato il mio più grande errore. Non ti chiedo di deciderti oggi,
o domani. Anche tre giorni bastano.” La fissò a lungo negli occhi. “Seriamente,
Tilda. Che tu mi risponda sì o no, voglio che sia una risposta meditata.”
Nightshade lesse il corpo dell’uomo con i suoi
sensi, alla ricerca della minima traccia di esitazione, di inganno. Ma non ne
trovò. “È una proposta strana da uno che
i lupi mannari li uccideva.”
Lui si adombrò di un’immensa tristezza, e lei
si pentì immediatamente di avere tirato fuori quella battutaccia. “Zach,
scusami…”
“È anche per questo che trovavo difficile
chiedertelo. Ci sono volte in cui gli incubi mi perseguitano al punto di darmi
le allucinazioni. Il loro dolore mi farà male per sempre, e poco importa che
non fossi pienamente responsabile delle mie azioni, sapevo cosa facevo e non
l’ho combattuto.[iv]”
Sospirò. “Ma quando sono con te, gli incubi vanno via. Mi sento in pace.” Le
accarezzò il dorso del muso. “So che ho bisogno di te, ma so che devi essere tu
a decidere, ed io rispetterò la tua decisione.”
Hobogblin atterrò sullo spalto. L’aliante di
fuoco scomparve, lasciandosi dietro solo delle tracce di vapore.
“Tuo figlio vale queste continue punizioni?”
chiese l’uomo dalle putride carni giallastre, vestito solo di stracci cinerini,
gli occhi due globuli bianchi incassati nelle orbite. Sul suo corpo, l’acqua
rimbalzava come se non osasse avvicinarsi a quell’incarnazione della morte.
Tale era la natura di Carrion.
L’uomo-demone si voltò di scatto, sibilando
con una lingua serpentina fra la chiostra di zanne enormi di una bocca senza
labbra. “Per mio figlio mi sono ridotto così. E dopo averlo rincontrato,
non voglio passare chissà quanto tempo prima di rivederlo, o di trovare un
rimedio alla mia condizione!”
“Io ho accettato di restare separato dalla mia
famiglia, per il loro bene[v].
Hai avuto la fortuna di potere rincontrare Jason questa seconda volta, dovresti
accontentarti.”
In risposta, Hobgoblin lanciò dalla mano una
vampa di fuoco infernale che fece a pezzi la pietra del cornicione. “Io voglio
la mia libertà! Rinuncerei a tutte le mie vendette contro i supereroi,
rinuncerei ad ogni cosa che possiedo! Quando finirà questa follia?!”
Carrion gli
rispose con una maschera di tetra impassibilità.
Lo specchio si riempì di crepe.
“Ach!” sibilò la creatura, mentre si
arrangiava il colletto della mantella. “Credefo ke il Conte afesse predisposto
degli specchi adatti alla mia Anwesenheit.”
“Quello era un cimelio di famiglia donato dai
maestri vetrai di Cape Cliff. Non era magico,” disse flemmatico il maggiordomo
del Conte.
“Un fero peccato,” disse l’essere, voltandosi.
Lo statuario maggiordomo Hector non fece una piega –in fondo, aveva servito
sotto Lady Sterling, e c’erano fra i Supernaturals elementi ben più
raccapriccianti di un ratto antropomorfo nero, vestito come un nobiluomo
vittoriano, con tanto di bastone da passeggio, e gli occhi rossi e minacciosi
come due braci. “Porga al Conte le mie Entschuldigungen.”
“Sono sicuro che il Conte eviterà di infliggerle
una punizione adeguata. Questa volta.” Hector lo disse con la stessa flemma con
cui avrebbe annunciato l’ora del tè.
Verminus si voltò verso di lui. Un ghigno
sarcastico gli attraversò il muso aguzzo. “Ho fisto gli orrori della prima guerra
mondiale, mi sono cibato dei suoi cadaferi, sono morto e sono risorto come Spirito
della Vendetta per opera del figlio
del Demonio. Il Conte non potrebbe infliggermi una punizione peggiore di
qvello ke ho passato.”
“Non era mia intenzione polemizzare, Herr Rex.
Le mie scuse per averle dato questa impressione.” Hector porse al ratto il
vassoio di rame su cui stava una tazza di ceramica di tè fumante, un piattino
con dei biscotti e un altro con una fetta di limone. Una zuccheriera di rame
completava il quadro. Per evitare problemi ai suoi affiliati, il Conte aveva
bandito oro e argento dai casalinghi…
Ad un cenno di Verminus, il maggiordomo posò
il set sul tavolo vicino. Rex si servì di una fetta di limone e la spremette.
“Sono io ke defo kiedere scusa: è da maleducati prendersela con la serfitù.”
Prese la tazza, e ne annusò il contenuto una volta. “Hmm, una miscela molto
rara. Una delle racioni per cui ho accettato la proposta del Conte è il fatto
ke sia un fero centiluomo. Cuorenero è potente, ma è anche un tale essere gretto…”
Bevve una sorsata. Depositò la tazza e prese un biscotto. Rosicchiandolo, pensò
che fosse davvero singolare che nessuno degli altri membri del gruppo non si
fosse accorto della vera natura del loro anfitrione -ed era quella la
seconda ragione principale che aveva spinto Verminus Rex ad accettare
l’imposizione del Caduceo. Il ratto era sinceramente curioso di vedere che
direzione avrebbe preso quella faccenda… “Hector,” continuò, riprendendo la
tazza di tè. “Se ti faccio una domanda, puoi rispondere con assoluta sincerità?”
“Sono al vostro servizio come se lo fossi a
quello del Conte, con i dovuti limiti.”
Verminus annuì. “Pensi ke il Conte fosse
sincero qvando ha detto che esistono altri membri dei Denticorti e ke
può rintracciarli?”
“Il Conte non fa promesse a vuoto, Herr Rex.”
Il muso del ratto
fremette. Si era rassegnato all’idea che la sua gente fosse morta, estinta da
tempo. Rivederla prosperare era stata la prima ragione principale che lo aveva
spinto ad unirsi ai Supernaturals…
La porta davanti a loro era grande, avrebbe potuto farci passare agevolmente un paio di cavalli appaiati. Era di legno massiccio e lucido, costellata di rivetti non meno ben curati.
Non presentava serrature, niente aperture. In effetti, se non fosse stato per i robusti cardini si sarebbe pensato ad un semplice pannello di legno intagliato nella roccia viva della scogliera.
“Questa è probabilmente una pessima idea,” disse il giovane Trevor Corson, alias Hood, scuotendo la testa. “Voglio dire: se il Conte ha fatto questa porta senza una serratura, una ragione ci sarà.”
“Infatti,” ribatté la tetra figura di Dreadknight, nella sua nera armatura e l’elmo a forma di teschio alato. “E se c’è qualcosa che possa esserci utile dietro questa porta, dobbiamo saperlo.”
“Come no: la verità è che vuoi scoprire qualcosa che possa essere utile a te. Ce l’hai menata per mesi con questa storia di volere detronizzare il Dottor Destino. Ma perché non lasci perdere e basta? Siamo già abbastanza incasinati così.”
Il cavaliere nero lo fissò, e le orbite dell’elmo brillarono di una luce rossa. “E tu? Se non ricordo male, vuoi un modo per liberare il Darkmere dal suo corrente regime: ti sei unito a noi per essere aiutato. Non preferiresti trovare un modo per fare il lavoro più velocemente?”
“Touché,” fece il giovane.
“Allora piantala di frignare e apri la porta.”
Trevor lanciò un’ultima occhiata dietro di sé: si trovavano al termine di un budello ad almeno cinquanta metri sotto le fondamenta del castello. A parte la luminescenza della sua cappa e le luci dell’armatura di Dreadknight, di fatto si muovevano nel buio totale. Faceva un freddo tremendo, umido, e l’aria era una cappa soffocante. Nessuno li avrebbe sentiti, se fosse loro successo qualcosa…
A un comando mentale del ragazzo, la lunga cappa sanguigna che lo copriva dalla testa ai piedi si agitò. Come un liquido, essa si sparse lungo il perimetro della porta, formando tre globuli sui cardini.
“Non prometto nulla, capo,” disse Trevor, concentrandosi. Negli ultimi mesi aveva imparato a familiarizzare con il costume dei Grifoni Rossi, la guardia d’elite della sua dimensione nativa. Aveva anche scoperto perché fossero così temuti, e rischiava non poco di ridursi come loro se non avesse prestato la dovuta attenzione…
“Allora?”
“E datti una calmata! ‘Sta cosa deve pesare una tonnellata, e non ci sono crepe in cui infiltrarsi…”
“È una porta di legno,” ringhiò Bram Velsing, serrando il pugno. “Non può essere perfetta come una moderna porta a tenuta stagna! Se non vuoi impegnarti, dillo!”
Trevor serrò i denti, la fronte imperlata di sudore come se stesse usando i propri muscoli in quello sforzo.. “Te lo faccio vedere io, aspirante dittatorucolo, se..non..mi…sto…” dare quell’ultimo strappo per poco non lo proiettò dritto nell’incoscienza, ma ottenne il miracolo! I cardini furono strappati dall’alloggiamento roccioso, e il resto della porta li seguì un attimo dopo, con un fragore come di una bomba! Una pioggia di affilate schegge rocciose investì le due figure. Il mantello avvolse istantaneamente Hood, mentre rimbalzarono innocue sull’armatura di Dreadknight.
Da qualche parte nel mondo, l’entità di nome Shades sobbalzò. Il suo volto si distese in un’espressione serena, quasi serafica. Ed era qualcosa di spaventoso a vedersi, perché una cosa che rendeva felice l’ombra incarnata era “Dolore. Dolore e sofferenza come mai ne avevo percepito. Ahh…” Bevve a quella sensazione come ci si potrebbe inebriare al caldo tocco del sole dopo una fredda notte.
Shades si fece un appunto mentale: doveva localizzare la fonte di una simile miniera di delizie!
“Tutto qui?”
“Grazie per l’aiuto,” borbottò Hood, rimettendosi in piedi. Si sentiva di gelatina, ma era soddisfatto di avere sfondato quel pannello massiccio. Lanciandogli un’ultima occhiata, vide che doveva essere spesso mezzo metro. “Wow.”
A Dreadknight non poteva importare di meno: la sua attenzione era per la stanza dietro la porta.
Il locale doveva misurare circa cinquanta metri quadri. Anche le sue pareti erano scavate nella nuda roccia nera, ma vi erano incise delle rune -incisioni molto precise e nette, considerando la robustezza di quella pietra- in quattro file che andavano dal pavimento al soffitto a cupola. L’ultimo ‘decoro’ erano quattro spessi anelli di bronzo, vuoti.
Dreadknight stava fissando l’unico oggetto degno di nota, posto nel centro della stanza: un altare. Un grande tavolo tondo di bronzo che quasi riempiva la stanza. Un elaborato glifo copriva la sua superficie, e il suo bordo appariva affilato come una lama.
Ed era coperto di sangue. Chiazze di sangue vecchie, rapprese, strato su strato. Il glifo era stato inciso, e le sue linee erano fiumi secchi e bruni. Un pugnale chiuso una fodera di cuoio giaceva vicino al bordo.
“Si direbbe che il Conte coltivi hobby molto interessanti,” disse Dreadknight, passando una mano corazzata sul tavolo.
Hood rimase sulla soglia. La sua cappa si agitava come scossa dal vento. “Io sono un grande sostenitore della privacy, te l’ho mai detto? E non ho voglia di chiedere al Conte cosa se ne faccia di questa stanza!”
“Trattieni il mantello, moccioso: quando ne avrai viste quante ne ho viste io con questo folle gruppo, potrai permetterti di lamentarti…”
“Non sono io. La cappa ospita una specie di entità, che i Grifoni Rossi usano come un’arma vivente contro i nemici. E sento la paura venire dalla cappa!” Trevor Deglutì. “Fai quello che vuoi, pazzoide: io me la svigno…” si voltò, pronto a correre via…
E precipitarono nella follia. “Dove *&%$ è finito il castello!?”
Domanda pertinente. Dreadknight e Hood si trovavano adesso nel mezzo di un altopiano. Era giorno, il tempo era sereno e un sole feroce brillava nel cielo. E in distanza, si consumava una tragedia: eserciti di dimensioni mai viste si stavano scontrando all’ultimo sangue. Il clangore del metallo e le urla e i ruggiti facevano tremare l’aria. Il sudore e il sangue creavano un velo di nebbia oscena. I corpi a terra erano un mare di carne e armature.
“Dimmi che non sto vedendo quello che vedo,” disse Trevor, chiudendosi nella cappa.
I sensori dell’armatura di Dreadknight confermarono, invece, quello che l’occhio nudo coglieva. “Umani, licantropi, e umanoidi dalla testa di serpente. E quelli nel cielo sono destrieri infernali e draghi.” Fiamme piroettavano nel cielo, accendendo stelle comete urlanti dalla fin troppo breve durata.
Hood si guardò intorno. Non era solo il castello, ad essere scomparso: anche il mare non c’era più! Ovunque si posasse l’occhio, c’era solo terraferma
“Siamo nel Darkmere?” chiese il cavaliere.
“No. Il Darkmere è una zona-ombra che riflette esattamente il tuo piano, a livello fisico. Dovremmo essere nelle segrete del Castello, non…qui…” Hood si voltò, imitato dal suo ‘compagno’. L’unica testimonianza del Castello era quell’altare maledetto. Solo che ora il sangue su di esso non era vecchio, ma fresco e dall’odore nauseabondo. Pezzetti di carne e di interiora sparpagliati qua e là completavano quel macabro quadro.
E uno scomposto mucchio di cadaveri, senza distinzione di specie, giaceva in una fossa lì accanto. Erano tutti stati mutilati nei modi più grotteschi, e ogni volto e muso parlavano di una sofferenza spaventosa. I due angeli oscuri capirono che erano stati vivi fino all’ultimo…
“E’ qui che sono nato.” A dirlo, era stata una voce calma, echeggiante, antica come il tempo. Una voce alle loro spalle!
La lancia di Dreadknight si materializzò fra le mani del suo proprietario. La cappa di Hood si sollevò come un’onda, il cappuccio sollevato. Gli occhi di Trevor brillarono di una sinistra luce scarlatta.
Il nuovo arrivato li sovrastava di un metro abbondante. La sua intera figura era avvolta da un lungo saio nero frusto, decorato da una larga cintura in cuoio. Le ampie maniche erano giunte, nascondendo completamente le mani. Il suo volto, incorniciato da una lunga chioma cinerina, era di una bellezza che solo un angelo poteva possedere… Una bellezza velata da una tristezza infinita racchiusa in quegli occhi profondi come il mare.
La figura stava fissando il campo di battaglia, come se fosse stato l’artista di quel ritratto degno di un girone infernale. “Osservate gli ultimi spasmi della ribellione contro il dominio degli Dei Antichi. Da una parte, le armate di Set, e dall’altra gli uomini e le donne che hanno rifiutato di essere il cibo del dio-serpente. Una guerra che poteva essere vinta solo con l’aiuto del neonato popolo-lupo e dei draghi. Uno sterminio senza vincitori, che avrebbe trascinato due specie nella dannazione e in un dolore durato innumerevoli generazioni.”
Trevor non voleva fissarlo. Voleva svegliarsi da quell’incubo, voleva urlare o rannicchiarsi in un angolo…
Dreadknight parlò, e riuscì solo a formulare una domanda. “Chi sei?”
“Sono il Re del Dolore. In queste terre, prima del grande cataclisma che avrebbe rimodellato il mondo come lo conoscete, io persi la mia umanità ed ascesi ad un nuovo stadio, grazie ai sacrifici dei miei discepoli.” Indicò con una mano affusolata ed artigliata, mortalmente pallida, la fossa. “Io ho calcato il mondo nutrendomi del dolore causato da amori infranti, da speranze deluse, del dolore dei familiari e degli amici di fronte alla morte di chi conoscevano, dei popoli vincitori e vinti di ogni guerra. E per un breve periodo ho camminato come un nuovo dio, colmando il vuoto lasciato dalla teomachia.”
I due indietreggiarono. Non sapevano chi diavolo fosse quel tipo, ma ne percepivano il potere: era come trovarsi di fronte ad una stella. Una parte delle loro menti gridava loro di fuggire, che ogni resistenza era inutile. “Cosa vuoi da noi?”
“E’ una domanda che dovrei porre io: in fondo, siete venuti voi da me.” Come un fantasma, senza un suono, l’entità si avvicinò ai due mortali. La sua ombra oscurò il sole. Da qualche parte dietro di lui, la battaglia continuava, ma non si udiva più un suono. C’era solo l’odore di tutta quella morte… “E dopo essere stato nuovamente bandito dai regni celesti, ho bisogno di altri discepoli, pronti a rinvigorirmi.” Ecco, era quella la cosa peggiore! Quel sorriso a labbra chiuse, quell’ombra di un’espressione che prometteva tormenti innominabili. “Accettatemi come vostra divinità, vi regalerò un livello di esistenza tale da rendere ogni momento di sofferenza un istante da assaporare come il nettare più prelibato. Datemi il vostro dolore, e in cambio diverrete preziosi fiori del mio giardino.” Si spostò, e al posto del campo di battaglia ora c’era un immenso campo di fiori. Una distesa di petali di cristallo, che sotto un sole gentile lanciavano indescrivibili giochi prismatici. La luce stessa sembrava cantare… Eppure, quella stupenda distesa cresceva in mezzo alle rovine. Moncherini di edifici, scafi di navi ridotti a gusci marciti immersi come denti rovinati nel terreno di porti rinsecchiti, veicoli come tanti fantasmi –tutto era una testimonianza della caducità dell’opera dell’uomo, ambizioni trasformate in muti echi…
“NO!” la cappa di Hood si mosse velocissima. Avvolse i due eroi, e quando ebbe finito, scomparve insieme ad essi.
Quando si riaprì, erano di nuovo nel lugubre sotterraneo. L’altare era di nuovo un pezzo di metallo coperto di sangue secco da tempo immemorabile.
Hood ansimava come un cane. “Tu sia maledetto!” sputò contro Dreadknight, e corse via a gambe levate. “D’ora in poi te la cavi da solo, pazzo!” Le tonalità isteriche delle sue parole echeggiarono a lungo nell’oscurità.
Emerse nella pioggia e nel vento, nel cortile del castello. Cadde in ginocchio, benedicendo in cuor suo ogni sferzata degli elementi. Pianse lacrime di gioia -meglio la furia di tutte le tempeste, che dovere confrontarsi con quella…presenza un’altra sola volta!
“Dio, dio dio… Ma in che cosa mi sono cacciato?”
“Dicono che un solo tocco del più profondo dolore possa fortificare l’anima,” disse la voce di Claudius, sopra di lui. Trevor sollevò la testa, in tempo per vederlo atterrare davanti a lui. “Il Re del Dolore e il Conte sono…vecchi amici, in un certo senso.”
“Uh?”
Claudius si acquattò, protendendo il collo in avanti. “Il primo mago pitto destinato a proteggere queste terre costruì il castello sopra l’altare del dolore, per simboleggiare la fine dell’era del caos. E ad ogni generazione, i discendenti del mago sono sfidati dal Re per provarsi degni della loro posizione.”
“E nessuno ha mai…fallito?” Trevor si mise in piedi, tenendosi appoggiato a un muro.
“Solo uno, secoli fa: diviso fra i suoi doveri verso Cape Cliff e verso il suo sovrano, quel mago si trovò accusato di complicità con le potenze oscure. Il suo dolore per essere creduto un traditore diede forza al Re, che lo sconfisse facilmente. Si creò un vuoto di potere che fu colmato da una donna. Bella l’ironia, vero?”
“Scusa se non applaudo,” disse Hood. Dio, si sentiva così esausto… “Ho bisogno solo di una buona dormita e di una doccia, o forse di tutte e due insieme. Svegliatemi l’anno prossimo, va bene?”
Claudius gli afferrò il lembo della cappa. “Ah-ah, no. Spiacente, ma il Conte vi vuole tutti tosti e al gran completo. C’è del lavoro da fare. E non fare quella faccia, mica è colpa sua se sei stato tanto scemo da stare dietro alle fantasie di Dreadknight.”
Un fulmine illuminò il cortile di luce soprannaturale, in tempo per mostrare i riflessi dell’armatura del cavaliere nero.
Senza dire una parola, Bram passò davanti agli altri due. Se era stato turbato da quanto successo, almeno dalla sua postura lo nascondeva bene…
In quel momento, un tremendo ululato squarciò l’aria! Dreadknight si fermò sui suoi passi, voltandosi, imitato dagli altri, verso la torre che ospitava le stanze private del Conte. Contemporaneamente a quel verso, un’onda di energia mistica si propagò come un anello, squarciando la tempesta come se fosse stata un misero refolo.
“Quello era Anubi,” disse Claudius. “Chissà cosa gli ha detto, il Conte…”
Mentre Hood usciva dalle segrete, il Victor Salisgrave riceveva una visita.
“Conte,” disse una voce spaventosa, bassa e
gutturale, calma e allo stesso tempo gravida di minaccia.
L’avvizzita figura rispose senza neppure
voltare la testa. “Sei impaziente, dio della morte e signore degli inferi. Sei
qui per ricordarmi un impegno che non ho mai dimenticato?”
Non era esattamente la cosa più saggia
rivolgersi con sufficienza alla figura dalla corta pelliccia nera e lucida come
l’ebano, vestita con pochi ornamenti sacerdotali, gli occhi due fuochi verdi
incassati in una ringhiante testa di sciacallo. Ma se c’era qualcuno che poteva
parlare così ad Anubi, quello era Victor Salisgrave.
Il dio egizio avanzò fino ad affiancarsi
all’uomo. “Non ho dimenticato l’ultimo inganno che un mortale ha osato perpetrare
ai miei danni. Temporeggiare non è diverso.”
Le orbite nere sotto i ciuffi di capelli
bianchi sostennero la severità dei fuochi verdi. “Ti ho promesso il mio aiuto a
riprendere il posto che ti spetta al posto di Seth l’usurpatore.”
“Un favore degno della tua mente: fin quando
il mio sacerdote dovrà militare nelle tue fila, in virtù del maledetto Caduceo,
ogni qualvolta che risponderò alle sue preghiere, sarà anche a te che andranno
i vantaggi.”
Le labbra esangui sorrisero in una smorfia
agghiacciante. “E’ una seccatura che viene con la paternità, Anubi. Non avresti
dovuto avere fretta di procreare, dopo la tua accidentale liberazione…”
Il ringhio del dio-sciacallo fece tremare le
spesse mura di viva roccia.
“Placa la tua ira, giudice delle anime. In
fondo, da questa missione ricaverai qualcosa di molto prezioso a tua volta.”
La luce verde degli occhi brillò di una
tonalità più accesa. “Parla, mortale.”
“Vitellia, che tu hai conosciuto come Ihtet. Aiutaci, e sarà
tua.”
Gioia e furia si appaiarono nel tremendo verso che il dio lanciò al cielo, insieme ad un’onda di energie arcane. “La traditrice! Colei che ha osato rubare la mia fiducia ed i miei favori per vendermi a Seth! Altro tempo non venga sprecato, Victor di Salisgrave! La tua stirpe conoscerà la gratitudine di Anubi per generazioni, se potrò consumare la giusta vendetta!”