Non è che io sia la persona più riflessiva al mondo. E’ un evento che proprio io, che ho sempre vissuto alla giornata, mi metta a pensare al passato. Può essere un difetto, ma sono fatto così. A questo punto verrebbe da chiedersi perché stia rimuginando sulla mia storia, in una notte così fredda poi. E’ solo che forse, solo forse, spero di capire il significato di tutta la faccenda. Così, mentre mi godo le stelle a ventimila metri di altezza, ripenso a poche settimane fa e provo a decidere quale sia stato l’incontro più assurdo che ho avuto. E’ una bella lotta, ve l’assicuro.
#3
- Domani, forse…
Due settimane prima e
tre giorni prima
Colline a nord di Pittsburgh, prima mattina. Una macchina nero metallizzato, lucida fino a quando le sue ruote non sono passate sopra a del fango fresco. Giusto il tempo di tirare il freno a mano e due scarpe nere subiscono la stessa sorte della carrozzeria, quando un uomo troppo magro per il suo vestito scende dall’auto e si guarda intorno. Si toglie gli occhiali dalle lenti piccole e quasi rettangolari, le pulisce velocemente con un fazzoletto e li indossa di nuovo.
Consulta più volte i fogli stampati di recente che tiene nella tasca sinistra, controlla che abbia veramente smesso di piovere e si allontana. Con una certa soddisfazione constata che il posto è quello giusto: decine di alberi sradicati, tutti disposti come all’esterno di un cerchio. C’è tempo per controllare anche questa zona, ma è il centro che gli interessa veramente.
Deve scarpinare per diversi metri prima di trovare quello che a prima vista sembra un piccolo cratere, il terreno disconnesso e sassi che sono volati in tutte le direzioni. Da una tasca interna della giacca estrae un qualcosa che assomiglia ad una calcolatrice, sui dieci centimetri per quindici. Mentre sul microscopico display a cristalli liquidi passano onde di poca importanza, registrate con accuratezza per essere analizzate da strumenti più avanzati.
Un leggero vibrato segnala una chiamata sul cellulare. L’Agente Speciale Simmons appoggia a terra il piccolo rilevatore e risponde.
-Sì ?
-Buone notizie o cattive ? – domanda una voce femminile.
-Vai con le cattive, Cly.
-Possiamo scordarci il satellite SHIELD.
-Questioni di sicurezza nazionale, immagino. Magari a un qualche senatore serviva un alibi.
-Risparmiami il tuo umorismo da FBI. Allora, cosa abbiamo ? Terroristi mutanti ? Invasori alieni ?
-Un grosso buco per terra e abbastanza alberi a terra da far protestare Greenpeace.
-Non un granché come primo incarico, eh ?
-Non avevi anche delle buone notizie ?
-Sì, un paio che devono ancora finire al telegiornale delle sei: un poliziotto trovato morto nella sua macchina, a cui è esplosa buona parte di un rene, a qualche chilometro da dove sei tu. E una strage con tutti i crismi, a Pittsburgh: tutti i clienti di un albergo sono stati trovati morti una mezz’ora fa.
-E ci hanno già passato il caso ?
-No, ma speravo ti facesse piacere il non dover brancolare nel buio.
-Come no. Ehi, questo è strano.
-Cosa ?
-Credo di essere sopra all’epicentro. C’è un’impronta qui… ti mando l’immagine, preparati ad un bel setaccio negli archivi.
Dal taschino della camicia prende una macchina fotografica non più grande di un accendino, e alla pressione di un tasto viene registrata una foto a definizione mostruosa, trasmessa in pochi secondi alla sede locale dell’FBSA.
-Ce l’hai ?
-Sto scaricando. Dalle tre alle quattro ore per i risultati, come al solito.
-Okay. Faccio qualche altro rilevamento, ti mando tutto e vado a vedere se quelle notizie che mi hai dato hanno qualche legame.
-Vuoi l’indirizzo dell’albergo ?
-No, passo prima dalla polizia, tanto vale farmelo dire lì. Certo che voglio l’indirizzo, Cly…
-E’ già sul sistema satellitare della macchina, insieme al punto di ritrovamento del poliziotto. Divertiti, Simmons. Chiudo.
“Se mi piacesse il divertimento avrei fatto tutt’altro tipo di lavoro” pensa mentre rimette cellulare e macchina fotografica al loro posto, chinandosi per spegnere il rilevatore. Quando si è rialzato fa pochi passi intorno all’epicentro, notando delle orme che si allontanano.
“Sembrano le orme di Hulk se si mettesse le scarpe. Non vorrei proprio incontrare un tipo così, ma mi sa che dovrò…”
Due settimane prima (o tre giorni dopo, a seconda dei punti di vista)
Mi chiamo Keith Connell e attualmente mi sto godendo il mio secondo giorno di lavoro. Non sono ironico, una volta tanto. Per Myron sarebbe un chiaro segno della mia ristrettezza mentale, ma stare sotto una macchina che mi ha già schizzato addosso un po’ di grasso ed olio, mentre cerco di capire qual è il problema, per me è quasi una vocazione. Oltre che una sorta di tradizione di famiglia, anche mio padre faceva il meccanico. Aveva un’autofficina tutta sua che poi perse… una storia troppo lunga per un pensiero casuale. Comunque, avere diversi anni di esperienza nel settore, una tradizione e dei super-poteri non rende più semplice la ricerca di lavoro. Eppure, eccomi qui a riparare motori a quasi cinque chilometri da casa mia. Senza aver avuto soldi o tempo per riparare la mia motocicletta, ovviamente, nonostante i quasi due giorni di inattività.
Un piede batte sulla portiera, per chiamarmi; se fossi ancora al vecchio posto avrei già riconosciuto chi lo sta facendo, ma mi ci vuole un po’ di pratica qui.
-Cominci già a fare gli straordinari ?
-Perché ?
-E’ ora di pranzo.
Non sarebbe la prima volta in cui perdo la cognizione del tempo mentre lavoro. Eppure il mio orologio fa ancora le nove di mattina.
-Guarda che sono le nove e dieci.
-Io faccio mezzogiorno e mezzo.
Controllo ancora; l’orologio funziona, per fortuna perché non avrei i soldi per farlo riparare.
-Io vado…
Esco da sotto la macchina, constatando effettivamente che non c’è più nessuno.
-Che è successo ?
-Ciao.
La voce mi è in qualche modo familiare, ed ho la conferma di chi ho davanti quando lo vedo. Un uomo dall’età indefinibile, quel tipo di persona che potrebbe avere trenta come quarantacinque anni. Capelli castani a spazzola, una barba di due giorni, una camicia grigia ed un cappotto che farebbe un’ottima figura in un mercatino dell’usato. Desmon Logos.
-Che ci fai qui ?
-Mi hai detto di venirti a prendere ed eccomi qui. Ti avevo detto che ci saremmo incontrati domani, no ?
-Me lo hai detto quattro giorni fa.
-Davvero ? Devo essermene dimenticato. Andiamo, ti offro il pranzo.
-Sono le nove.
-Non nel resto del mondo. Andiamo ?
Si allontana, e sono tentato di lasciarlo fare… ma sa dello Starbrand, e voglio capirci di più. I guasti dei motori non sono gli unici problemi che mi interessano.
-Aspetta, mi do una- solo ora noto di non avere più nemmeno una goccia di grasso sulla tuta… no, ho addosso i miei vestiti normali !
-Come ho fatto a…
-Ti sei cambiato prima – mi risponde con la massima naturalezza.
-No, non è-
-Sì, ti sei cambiato prima. Andiamo, tanto hai già finito il lavoro.
-Scherzi ? Ci avevo a malapena messo le mani.
-Ci hai lavorato sopra tutta la mattina, veramente. Chiedi ai tuoi colleghi, se non ci credi. Dopo che avremo mangiato, ovviamente.
-Com’è che ogni cosa che dici o fai è sempre strana ? – domando avvicinandomi. Gli altri problemi verranno dopo; effettivamente ho fame come se fosse mezzogiorno.
-Pensa a quanto deve sembrare strano a me quello che fate voi. Forza, oggi hanno aperto una cafeteria a due isolati di qui. Devo ancora andarci.
Fuori dall’officina. Non c’è il sole, ma dalla luce potrebbe effettivamente essere benissimo mezzogiorno.
-Aaah, stupendo. C’è un tempo migliore di questo ?
-Veramente sta per piovere…
-Appunto.
-E che c’è di così stupendo ?
-Tanto per cominciare, se la gente non pensasse al fatto che sta per piovere, io non esisterei nemmeno.
-Uh. Certo. Il dio delle previsioni del tempo.
-Sono un modo come un altro per adorarmi. Un paio di minuti dopo il telegiornale ed è fatta. La mia religione farebbe furore.
-Se sei un dio, com’è che non avevo mai sentito parlare di te ?
-Perché quello era il passato.
-Uh. Certo. Okay me la bevo, sto parlando con un dio. E allora ?
-Allora cosa ?
-Perché mi volevi parlare ?
-Ti volevo parlare ?
-Sei venuto a prendermi…
-Ah sì ? Ottima idea, lo farò prima o poi.
-L’hai già fatto !!!
-E’ un problema ?
-Giuro che se tu non sapessi dello Starbrand, ti avrei già-
-Star che ?
-Ma sei scemo o cosa !? Questo ! – precisa Keith indicando il disegno stellare sul palmo della mano destra.
-Ah, un tatuaggio. Interessante.
-E’ assurdo. Non è la prima volta che lo vedi !
-Ti assicuro che lo è. Probabilmente.
-Ora che ci penso, in effetti, è la prima volta…e te l’ho mostrato io…è pazzesco…
-Cosa ?
-Che tu sapessi del tatuaggio.
-Perché, hai un tatuaggio ?
-Lasciamo perdere. Allora, tu sei il futuro… - rimugina Keith, ancora poco convinto, mentre segue il suo interlocutore per le vie stranamente deserte di Pittsburgh. Potrebbe benissimo trovarsi davanti una specie di mutante che può vedere il futuro, del resto. Chissà perché, questo pensiero è più confortante della possibilità di essere al cospetto di un dio.
-Precisiamo. Il dio del futuro, non il futuro.
-C’è differenza ?
-Beh, io esisto.
-E il futuro no ?
-No. Sono il dio di qualcosa che non esiste; forse per questo non sono molto bravo ad esserlo.
-Non capisco. Che vuol dire che il futuro non esiste ?
-E’ solo un concetto. Un’idea. Non ha applicazioni pratiche.
-E’ una di quelle cose filosofiche che sembrano sagge anche se sono delle cavolate ? Ehi, sei sicuro che sia da queste parti ? Non ho visto nessuna cafeteria sulla cartina.
-Quale cartina ?
-Non importa. Che dicevi del futuro ?
-Mi interessa. Quale cartina ?
-Sai mantenere un segreto ?
-Non lo so…credo… non ricordo di averne mai avuti, ma forse sì – inizia a divagare il dio smemorato.
-E’ stupido, ma abito troppo lontano dall’officina per venirci a piedi, e la mia moto è ancora da riparare. Così vengo qui volando. La parte difficile è alzarsi. E atterrare. E prendere la direzione giusta.
-Ma non avevi deciso di smettere di usare il potere dello Starbrand ?
-Non penso che risparmiare un po’ di tempo metta in pericolo… tu come fai a sapere… non rispondere, so già cosa diresti.
-Anche io.
-Quindi vedi che il futuro esiste ?
-Ti ripeto che non è così.
-Però prima hai detto che sta per piovere. Pioverà in futuro, no ?
-No. Pioverà stasera. “Stasera” è un concetto reale. “Domani” anche. “La settimana prossima”, “l’anno prossimo”… sono tutte cose reali, che prima o poi arriveranno. Sono veri.
-E il futuro no ?
-No. Tra un anno, sarà sempre il presente. Dopo quel presente, ce ne sarà un altro e un altro ancora. Il futuro non esiste. Quando inizia ad esistere, non è più futuro ma presente. Capisci cosa voglio dire ?
-Più o meno. Quindi perché un dio del futuro ?
-Bella domanda – sospira, mettendosi le mani in tasca e guardando verso il cielo coperto di nuvole.
-Hai anche una risposta ? O te la sei dimenticata ?
-Ne parleremo un’altra volta. Siamo arrivati.
I due entrano nel locale, passando di fianco ad una piccola insegna che strilla “Apriamo oggi”.
I clienti fanno a malapena caso ai due uomini che sono appena entrati, tornando ad occuparsi del proprio pasto. Dalla cassa, un uomo corpulento con due baffi curati malissimo invece li saluta calorosamente.
-Salve ! Già un cliente abituale, eh ?
-Dice a me ? – chiede Desmon.
-Certo, non si scorda mai il primo cliente… specialmente se è passato questa mattina !
-Ci conosciamo ?
Keith alza le spalle e guarda il soffitto. Perché oggi il tempo oggi passa velocemente solo quando non serve ?
A due isolati di distanza. Trovare un albergo senza mostrare il distintivo è stato difficile. Al diavolo la sicurezza, da qualche parte bisogna pur dormire. Del resto, quando un intero albergo si sveglia morto, c’è di che preoccuparsi. Per l’Agente Speciale Simmons, lo è più che per un comune cittadino.
Ora, mentre esce dall’albergo per andare a pranzo, cerca di fare un resoconto mentale di quanto ha scoperto durante la sua breve permanenza a Pittsburgh.
Chiunque abbia mai visto un poliziesco sa che non solo non esiste il delitto perfetto, ma che anche quelli che si avvicinano di più alla perfezione lasciano quantomeno delle prove. Che siano utili o meno è un altro discorso, ma ci sono. Generalmente.
Stavolta no. Per quello che ne sanno le autorità locali, ma anche per la sofisticata apparecchiatura del Federal Bureau of Superhuman Affairs, la pistola del poliziotto può aver deciso di esplodere da un momento all’altro. Così come il serbatoio e la batteria, all’unisono.
Un normale poliziotto che abbia a che fare con un crimine del genere sospetta subito il coinvolgimento di un super-umano, e questo basta a giustificare degli eventi inspiegabili. Per l’Agente Speciale Simmons è tutto un altro discorso.
Persino i super-poteri devono obbedire alle leggi della fisica. Aggirarle, sì, ma ignorarle totalmente no. All’inizio, Simmons aveva sospettato l’azione di un pirocineta. Teoria che è caduta con la scoperta che la batteria per un decimo di secondo ha generato ottocento volte l’elettricità fisicamente possibile.
Allora è passato all’ipotesi che il responsabile potesse in qualche modo aggiungere o sottrarre energia a vari tipi di reazioni chimico-fisiche. Raro, ma non impossibile in un mondo del genere. Poteva anche spiegare perché trenta persone in buona salute fossero morte senza nessuna motivazione fisica apparente. Ma ulteriori esami hanno dimostrato che i cambiamenti erano avvenuti di colpo, senza rispettare nessuna progressione matematica. Secondo gli archivi dell’FBSA, nessun super-umano sarebbe in grado di farlo. E’ anche considerato impossibile, ma non c’è da crederci molto.
Poi c’è la questione del terremoto, ossia il motivo per cui è qui. Non c’erano impronte digitali sulla mano di cui ha preso un’immagine dal terreno; non nel senso che non sono state registrate, ma che quella mano non ha mai avuto delle impronte, pur essendo apparentemente umana.
Analizzando la distribuzione dell’impatto, poi, ha capito che è stato causato da un pugno di dimensioni decisamente inferiori a quelle dell’impronta. Un Hulk al contrario ? Diventa più forte quando è più mingherlino ? Deve aver usato solo una frazione minima della propria forza, data la posizione in cui era (rivelata da studi non poco complicati).
Risultato di tre giorni di indagini: a Pittsburgh c’è qualcuno che potrebbe abbattere le montagne senza faticare troppo e che, sempre che non si tratti di qualcun altro, può uccidere con poco meno di uno sguardo. Materiale per richiedere un’intera squadra da agenti per setacciare la città, ma anche per guadagnarsi una promozione veloce se si è in grado di risolvere il caso da soli.
Così, mentre si prepara a fare l’identikit mentale di un tale superuomo, l’Agente Speciale Simmons si avvicina al bar preferito dai meccanici di una vicina officina, meravigliandosi di come si sia fatto tardi presto.
Da un’altra parte. Davanti a un piccolo tavolo rotondo, una ragazza sta scrivendo l’ordinazione su un minuscolo taccuino.
-…e un cheeseburger.
-Okay. E per lei, signore ?
-Hhhmmm… prenderei… no… - Desmon continua a scrutare il menu che ha sotto gli occhi da quando si è seduto – oppure… Non saprei. Può passare dopo ?
-Nessun problema. Torno subito.
La ragazza si allontana, e Keith si mette comodo. Senza smettere di fissare l’altro.
-Quanto ci metti ?
-Offro io, quindi posso metterci tutto il tempo che voglio.
-Va bene, va bene. Ma non sai già che cosa sceglierai ?
-Magari. Mi risparmierei un sacco di lavoro. Potrei prendere quello che hai preso tu… oppure questo… no, forse no…
-Spero tu non ci metta un’eternità, la mia pausa pranzo dura solo un’ora. A proposito, che ore sono ?
-Non hai un orologio ?
-Sì, ma sembra che tutti gli altri facciano un’ora diversa oggi.
-Va bene. Che ore vuoi che siano ?
-Starai scherzando…
-Forza, scegli.
-Preferirei di no. Che ore fanno gli altri clienti ?
-Dodici e cinquantasei – risponde senza spostare gli occhi dal menu – tranne la signora al tavolo 2 che fa le dodici e cinquantadue, ed per il signore al tavolo 6 sono le dodici e cinquantasette. Vuoi anche sapere che ore fanno barista e cameriere o ti basta ?
-Cinquantasei !? Ma abbiamo lasciato l’officina meno di dieci minuti fa !
-Avevo un po’ di fretta. Sai, credo che prenderò solo un caffè – si decide finalmente, appoggiando il menu sul tavolo – Dicevi di avere lo Starbrand. L’hai più usato da quando ci siamo visti ?
-Te l’ho già… come non detto. Sì, mi sono esercitato e… - Keith si guarda intorno velocemente e passa a bisbigliare – Forse non è il caso di parlarne.
-Non sentiranno niente. Hai la mia parola.
-Comunque, non conto di usarlo più molto. Ho deciso di smettere.
-Come mai ?
-E’… pericoloso. Nel mio sogno…
-Quale sogno ?
-Quello che ho avuto quando, uh, ho ricevuto il potere. Nel sogno, quello uguale a me che aveva lo Starbrand non riusciva a controllarlo a dovere.
-Così ti sei convinto di non esserne in grado nemmeno tu ?
-Non è una convinzione, l’ho provato sul campo. E’ incontrollabile. Ieri per alzarmi in volo a momenti uscivo dall’atmosfera. Non c’è modo di controllare l’intensità del potere… quando è acceso, per me sollevare una matita o una casa è la stessa identica cosa. Utile se devi sollevare una casa, ma se devi fare qualcosa di più limitato mandi tutto all’aria.
-E’ strano come comportamento. E capita anche con il guanto ?
-Quale guanto ?
-Quello che ti ho dato io.
-Tu non mi hai dato nessun guanto.
-Dovrò farlo, allora. Però un minimo sei in grado di usarlo, no ? Altrimenti tu e il vecchio avreste già fatto esplodere il pianeta.
-Il vecchio ?
-Non te lo ricordi ? Ne abbiamo parlato ieri.
-Stai delirando.
-Forse era domani. Scusa, non sono molto concentrato… è che c’era una cosa che dovevo…
Si alza in piedi di scatto, assumendo una posa quasi drammatica, e fissando qualcosa davanti a sé con un’espressione risoluta.
-Che c’è adesso ? – domanda Keith scocciato.
-Scusa. Mi sono ricordato di dover fare una telefonata. Torno subito…
L’officina è ancora quasi deserta. Non c’è moltissima luce all’esterno, nonostante l’orario, e la rimessa riceve luce soltanto dalle finestre. Scatta una serratura, nonostante nessuno possa sentirlo. Le luci si accendono per qualche istante, lampeggiando velocemente come se fossero sul punto di fulminarsi, e poi si spengono con calma. Con la stessa flemma, un uomo cammina tra i veicoli temporaneamente abbandonati, visibilmente annoiato.
Sorpassa macchina dopo macchina, senza fare caso ai fari che si accendono al suo passaggio e si spengono subito dopo. Fino a quando non si ferma, fa qualche passo indietro e si gratta la testa. Strizza leggermente gli occhi, come per mettere meglio a fuoco l’immagine. Poi li spalanca e, passata la sorpresa, accenna un sorriso.
Dalla tasca interna della giacca marrone estrae un cellulare, e come se lo avesse già fatto miliardi di volte preme il pulsante con un triangolo rosso.
-Powder. L’ho trovato, sì. Quel figlio di puttana mi aveva quasi fatto fesso, ma ora è fregato. E’ mio. Chiudo.
Rimette il cellulare al suo posto e stringe i pugni, incamminandosi con passo nervoso verso l’uscita. Proprio nello stesso momento, l’Agente Speciale Simmons esce dal bar e si guarda intorno, ancora immerso nella ricostruzione degli strani eventi accaduti negli ultimi giorni. Due meccanici tornano al lavoro, non vedendo l’uomo adirato che gli passa accanto.
“Al diavolo la segretezza ! Un colpo alla testa appena li abbiamo visti, ecco cosa ci voleva. Stupida città di catrame, stupidi bipedi, stupido rumore, stupidi dei…”
Per un caso troppo fortuito per non essere voluto, Simmons vede apparire un uomo dal niente, che procede come se fosse pronto a radere al suolo la città. Un uomo che si accorge di essere stato visto e che, con la coda dell’occhio, osserva l’americano con lo guardo concesso solo ai pazzi. Nonostante gli anni di esperienza, mostrarsi indifferente risulta impossibile dopo un’occhiata del genere. L’Agente Speciale vorrebbe chiedere una verifica su quell’officina, mentre segue a debita distanza l’uomo dallo sguardo inumano, ma il cellulare ha esaurito la batteria, tutto d’un tratto.
Keith Connell ha già finito di pranzare da un quarto d’ora abbondante, e da dieci minuti si guarda nervosamente intorno e controlla più volte l’orologio. Con la sua fortuna, finirà per essere in ritardo e perdere anche questo lavoro.
-Scusi, signorina… - chiama la cameriera, a due tavoli di distanza – che fine ha fatto l’uomo che era con me ?
-L’ho visto al telefono, prima.
-Non ha idea di dove sia adesso ?
-Posso provare a vedere.
-Non fa niente. Mi porta il conto ? Vado un po’ di fretta.
-Arrivo subito.
La ragazza si allontana, e le porte di vetro della cafeteria vengono aperte con inaspettata calma dall’uomo che sta entrando. In pochi si voltano per vedere di chi si tratti, ma quando cammina deciso tra i tavoli nessuno può evitare di notarlo, specialmente per la stazza. Sembra dimostrare come minimo una sessantina d’anni, per i capelli e la barba bianca, nonché per i vestiti che sembrano implorare una lavatrice da quindici anni, ma più che un vecchio sembra una montagna umana. Keith non ci fa molto caso, preferendo pensare a quanto gli ci vorrà per tornare al lavoro a piedi. Forse potrebbe fare un volo veloce, visto che una corsa potenziata dallo Starbrand attirerebbe un po’ troppa attenzione.
Il pensiero perde importanza quando il Vecchio si siede davanti a lui. Keith alza lo sguardo, sentendo un dejà vu non indifferente.
-Ci…ci conosciamo ?
-E’ stato molto, molto tempo fa, Connell…un’eternità.
-Allora non le dispiace se aspettiamo ancora un po’ ? Sono in ritardo per il lavoro…
Keith sta per alzarsi, quando il Vecchio appoggia la sua mano nerboruta sulla sua. La mano destra, sul cui palmo lo Starbrand gli fa accapponare la pelle per la prima volta.
-Resta seduto, Connell. Resterai qui e parleremo, o di questa città non rimarrà altro che un cratere fumante.
I due cacciatori si avvicinavano alla preda ed un terzo l’aveva già raggiunta. Iniziarono a formarsi le prime timide gocce di pioggia, già pronte a cadere ma bloccate fino alla sera dalle parole di un dio. Al centro di tutto questo, il Marchio delle Stelle veniva conteso tra la mano di un uomo e quella di un ricordo.
E’ stato allora che le cose hanno iniziato a prendere una piega davvero strana, anche per un mondo come questo.
CONTINUA…