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Daniele Croci

Daniele Croci

Torna Durango

  • Pubblicato in News

draTempo fa la GP Publishing annunciò l'interruzione al settimo numero della serie Durango, una fortunata bande dessinée creata da Yves Swolfs e Thierry Girod negli anni 80 portata in formato economico  nelle nostre edicole.

La piccola casa editrice Editoriale Cosmo ha appena annunciato sulla propria pagina Facebook che la serie western potrà grazie a loro finalmente proseguire, questa volta si spera fino alla conclusione. Cercando di accontentare il più possibile gli appassionati, Editoriale Cosmo ha promesso di adottare "una grafica del tutto analoga a quella utilizzata dal precedente editore per non “interrompere” la collezione dei fan che hanno supportato i precedenti numeri di questa serie". Come vedete nella locandina, la serie tornerò nelle edicole a partire dall'11 giugno.

Le Montagne della Follia

La fortuna di H.P. Lovecraft non accenna affatto a diminuire. Lo scrittore statunitense, scomparso quasi ottant'anni fa, continua ad affascinare generazioni di scrittori, cineasti e fumettisti che si ispirano al suo genio o che ripropongono in altri media gli incubi partoriti dalla sua mente. Proprio poco tempo fa abbiamo recensito Witch Doctor, della neonata imprint Skybound, che si ispira pesantemente allo scrittore del Rhode Island nella caratterizzazione delle creature sovrannaturali; oggi è il turno de Le Montagne della Follia, adattamento a fumetti di uno dei più noti lavori della vasta bibliografia lovecraftiana. L'autore unico dietro al progetto è l'inglese I.N.J. Culbard, fumettista e soprattutto regista di cinema di animazione e pubblicità; originariamente pubblicato per la Self Made Hero, etichetta indipendente britannica di fumetto autoriale, il graphic novel è portato in Italia da Magic Press, che riconferma la propria volontà di scommettere sugli adattamenti del padre dell'horror fantasy moderno.

Il romanzo breve Le Montagne della Follia fu pubblicato originariamente nel 1936, poco tempo prima la prematura scomparsa del cagionevole scrittore; divenuto col tempo un grande classico per gli appassionati, contiene tutti gli elementi che hanno reso celebre Lovecraft: l'orrore cosmico, un insostenibile pessimismo esistenziale, angoscia causata da paesaggi remoti e inesplorati, creature indescrivibilmente raccapriccianti, una buona dose di ingenuità. Senza scendere troppo nei dettagli, la trama si articola sul resoconto (ovviamente in prima persona e a posteriori) di un membro superstite di una sfortunata spedizione antartica del 1930. L'Antartide, che rappresenta tutt'ora uno degli ultimi baluardi dell'ignoto geografico nel nostro immaginario collettivo, diventa teatro di raccapriccianti visioni che mischiano creature primigenie, civiltà scomparse e orrori che causano follia al solo sguardo.

Non è facile rappresentare per immagini il linguaggio complesso e articolato di Lovecraft, nonché la sua fervida e sconfinata immaginazione, e ancor di più il modo in cui alterna minuziose e precisissime descrizioni a orrori che al contrario sfuggono ogni razionale catalogazione. Culbard è indubbiamente un autore capace, con una buona conoscenza del medium e sicuramente in grado di raccontare la vicenda; tuttavia, il suo stile di disegno poco si addice alle atmosfere che un lettore si aspetterebbe da un adattamento de "Le Montagne della Follia". Fallisce infatti nel trasmettere l’orrore e il mistero che invece furono catturati egregiamente, tanto per fare un esempio, da Alberto Breccia quando si cimentò sui Miti di Cthulhu nei racconti usciti in Italia prima nella rivista Il Mago e poi raccolti in volume da L'isola Trovata e, in tempi recenti, da Comma 22 (e nella collana da edicola I Maestri del fumetto). In questo volume purtroppo il corto-circuito tra forma e sostanza apparentemente incompatibili (che ha fatto la fortuna di molti altri autori) non si attiva, ma rimane un vago senso di insoddisfazione per mostri che non riescono a essere presi molto sul serio.

Quanto detto fin’ora comunque non toglie che la lettura è tutto sommato piacevole e che, se si perdona una gestione dei ritmi leggermente rivedibile, si può comunque apprezzare il lavoro fatto dall’autore, ancor più se si considerano i pregi e soprattutto i difetti del materiale di partenza, come un finale poco incisivo. Le Montagne della Follia è un volume decisamente consigliato agli appassionati del grande scrittore americano e una buona prova per il fumetto indipendente britannico, che cerca un’alternativa autoriale nel difficile mercato anglosassone.

Long Wei 1 - Il Drago

Dopo una campagna virale senza precedenti sul suolo italico, diffusa non solo con messaggi su blog e social network, ma anche tramite video, candid camera, adesivi e un numero zero prima venduto a Lucca e poi disseminato per Roma e Milano, arriva finalmente il primo albo di Long Wei, la nuova mini targata Editoriale Aurea . 12 episodi mensili per una serie frutto di un idea di Enzo Marino (direttore Aurea) e Roberto Recchioni (Dylan Dog, John Doe), e successivamente sviluppata dallo sceneggiatore Diego Cajelli (Diabolik, Dampyr) e dal disegnatore Luca Genovese (Beta); quest’ultimi compongono anche la coppia creativa dietro a questo primo numero, realizzato in anteprima per Cartoomics 2013 in sole 300 copie – ovviamente andate a ruba – di cui noi siamo riusciti ad accaparrarci una copia in anteprima.

È giunto finalmente il momento di scoprire se dietro la splendida cover di Lorenzo LRNZ Ceccotti, copertinista ufficiale della serie, si trova un prodotto in grado di soddisfare le altissime aspettative che si sono create. Com’è oramai noto ma vale la pena di ricordare, Long Wei narra le gesta di un giovane immigrato cinese, un ex attorucolo di wuxia esperto di arti marziali che, giunto in Italia ad aiutare dei parenti in difficoltà economiche, si trova catapultato nella complessa realtà multietnica che circonda la chinatown milanese di via Paolo Sarpi. Long Wei viane da Shenzhen, poco sopra la regione speciale di Hong Kong, vera e propria mecca del cinema asiatico da cui proviene la stragrande maggioranza del cinema con gli occhi a mandorla, compreso tutto il filone “di botte” che ha fatto la fortuna di Bruce Lee e derivati.

La sceneggiatura di Cajelli conferma le sue doti di scrittore molto rigoroso e con un’enorme padronanza tecnica del medium, soprattutto nella gestione dei ritmi. È ancora troppo presto per speculare sulla storyline orizzontale e sui subplot paralleli, dato che il primo numero si sofferma più a presentare 2-3 personaggi principali, tra cui il nostro eroe, un impavido cinese dal pugno facile e dal gongfu esagerato, nonché i pittoreschi abitanti che girano intorno ai quartieri cinesi della città; tra le altre cose, quello che sembra essere l’elemento di maggior interesse e novità per la serie è proprio l’ambientazione, una Milano reale ed immaginata, reinventata per far spazio alle esigenze di trama (vedi il misterioso capannone dove si consuma lo scontro finale con i gangster) ma sempre viva nel suo ordinato disordine quotidiano. Chi ci vive e la conosce potrà ritrovare i luoghi dove magari transita ogni giorno, e sicuramente guardarli con occhio diverso.

La trama scorre veloce e senza scossoni fino allo scoppiettante (è il caso di dirlo!) finale. Cajelli regala una mezz’oretta di buon intrattenimento, strizzando spesso l’occhio ai fan di un certo cinema di genere che imperversava qualche lustro fa; Luca Genovese si trova decisamente a suo agio, e riesce a conferire ai suoi personaggi una dinamicità e una caratterizzazione grafica davvero ben riuscite. Se alcune sequenze hanno un taglio e un impostazione decisamente cinematografica, non si può non notare altri espedienti che sfruttano maggiormente il medium fumettistico per aumentare la spettacolarità, non solo nelle ipercinetiche scene di lotta: si veda la riuscitissima sequenza del dado nel casinò, o l’uso disinvolto di vignette di varie forme e dimensioni, cosa che mostra una certa volontà di distaccarsi da alcuni rigidi modelli del fumetto italico.

La definizione più calzante su Long Wei è data dallo stesso Cajelli nella postfazione: “È il cinema cinese la vera fonte di ispirazione narrativa. Buoni contro cattivi, schieramenti netti. Vendetta. Un eroe pronto a mettersi dalla parte dei più deboli, costi quel che costi”. Long Wei, almeno nel primo numero, non cerca proprio di andare molto al di là di questo; e se tale impostazione manichea, quasi classico-Bonelliana nella suddivisione dei personaggi e nello sviluppo, potrà far contenta una buona fetta di fan, sarà proprio il limite più grosso per un’altra schiera di lettori. Pur riconoscendo che si tratta di una tematica originale nel fumetto, e in particolare in quello italico, la sensazione di deja-vu nei confronti di certi topoi cinematografici è fortissima. È interessante inoltre constatare che alla precisa scelta narrativa fatta dagli autori si affianca una certa piattezza nella rappresentazione culturale, almeno in questo primo numero; se infatti parte bene con la breve ma efficace sequenza iniziale ambientata in Cina, lo sviluppo successivo si innesta su una rappresentazione addomesticata della cultura cinese, basata su determinati stereotipi culturali ben consolidati e assorbiti dall’immaginario collettivo (arti marziali, ristorante cinese, fuochi d’artificio), che per l’appunto si intrecciano con altri topoi narrativi anch’essi poco originali ma, apparentemente, necessari alla letteratura di genere (l’immancabile damigella in pericolo). Quella del primo numero di Long Wei è una cinesità prêt-à-porter; culturalmente e narrativamente già vista, si basa su un'interpretazione occidentalizzata e filtrata attraverso le lenti distorcenti del cinema di genere di Hong Kong. Bisogna sottolineare che ciò non costituisce necessariamente un difetto, dato che in mani capaci la vicenda potrà benissimo evolvere verso un interessante realismo magico-cinematografico, per rielaborare una definizione usata per autori del calibro di García Márquez o, rimanendo in Cina, per il premio Nobel del 2012 Mo Yan.

Culturalismo spicciolo a parte, non si può non ammettere che Long Wei è buon prodotto di intrattenimento, un fumetto d’azione che si lascia leggere senza particolare difficoltà, e che indubbiamente lascia trasparire il grosso amore per l’argomento da parte degli autori. I dubbi maggiori riguardano l’evoluzione del progetto, e in particolare come la serie verrà influenzata dall’ampia rosa di disegnatori e sceneggiatori che subentreranno nei prossimi numeri. Se le aspettative erano alte, questo numero uno non fa che rilanciarle: tutto dipende da come gli autori sapranno gestire un personaggio e una situazione che, francamente, non è del tutto originale, considerando anche che la forte novità dell’ambientazione tenderà a scemare dopo qualche numero.

Witch Doctor 1 - Sotto i Ferri

Recensione in Anteprima

Arrivano entrambi dalla fredda Alaska gli autori della prima serie uscita sotto la Skybound, l’imprint della Image Comics voluta e creata da Robert “Walking Dead” Kirkman. Il volume Sotto i Ferri racchiude il primo story arc di Witch Doctor, composto da 4 issues americani più un numero zero che originariamente uscì allegato proprio alla serie dei morti che camminano; anche WD è pubblicato dalla Saldapress, che conferma la sua fortunata partnership con le creature (in tutti i sensi) di Kirkman e soci.

La serie, scritta da Brandon Seifert e disegnata da Lukas Ketner, si inserisce nel filone horror-comedy – condito con qualche elemento grottesco – che ha fatto la fortuna di cineasti come Sam Raimi o Edgar Wright con il suo Shaun of the Dead; il primo TP, dal tono fortemente introduttivo, serve soprattutto a presentare i tre personaggi principali cui ruota intorno la serie, tra cui spicca il carismatico protagonista Vincent Morrow, un guaritore specialista di medicina soprannaturale. Vincent, assistito dal paramedico Eric e dalla demoniaca Penny, è infatti specializzato nel risolvere casi per cui la scienza tradizionale non può porre rimedio: possessioni demoniache, vampiri, demoni antichi.

La trama imbastita da Seifert, che riesce efficacemente nell’intendo di fondere terrore e commedia, parte dallo stesso implicito assunto che sorregge Walking Dead, cioè che bisogna partire da archetipi già affermati e resuscitarli con dinamiche nuove e più interessanti. Nell’America di Vicent si trova di tutto: vampiri, mostri della laguna nera (dall’omonimo film del ‘54), demoni, changeling (figure del folklore anglosassone omaggiate nel 2008 da Clint Eastwood e J. Michael Straczynski nell’omonimo film), e sopratutto gli incubi organici partoriti dalla mente del grande scrittore americano H. P. Lovecraft, come gli “antichi” e gli “abitatori del profondo”. Lo stesso dottore è un mix che fonde suggestioni dai più vari strati della cultura popolare, come il britannico Dr. Who, lo statunitense Dr. House o il folle Spider Jerusalem creato dalla mente di Warren Ellis.
Un valore aggiunto che regala una ventata di originalità alla serie è la ricerca – ovviamente entro certi limiti – di un certo realismo nella caratterizzazione e rappresentazione delle creature soprannaturali; come riporta il disegnatore nelle interviste finali, i loro mostri devono necessariamente avere “un senso dal punto di vista biologico e delle limitazioni simili proprio come succede in natura e in medicina”.

Il ruvido tratto di Ketner si sposa benissimo con le atmosfere del racconto e soprattutto con le deformi mostruosità che incontra mano a mano il dottor Marlow, spaventose ma nel contempo verosimili; l’autore è inoltre molto bravo nel rendere i personaggi dinamici ed espressivi, nonché nel dare un tocco squisitamente retrò, quasi steampunk, agli oggetti di scena e alle ambientazioni in cui si muovono i personaggi. Una nota di merito per i tre coloristi che riescono a rendere viva l’atmosfera macabra tramite l’uso di colori caldi e del rosso come leitmotiv ricorrente.

Witch Doctor è un fumetto che rischia seriamente di portare una piccola ventata d’aria fresca nel nostro panorama fumettistico. Non si prefigge di rivoluzionare la nona arte nè di essere ricordato come uno dei lavori più significativi del ventunesimo secolo, ma di essere un prodotto leggero, piacevole e divertente che regali un’oretta di buon intrattenimento. In questo senso il volume contiene tutte le premesse necessarie e bisognerà cercare le conferme nei prossimi episodi. Buona l’edizione Saldapress, ottimamente adattata (il rispetto per la terminologia lovecraftiana nel nostro idioma è significativo) e ricca di interessanti contenuti speciali.

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