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Luca Tomassini

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Historica 84: Ribelli - Dalle colonie alla confederazione, recensione: una Storia senza eroi

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La collana Historica, edita da Mondadori, ha ospitato fin dal suo debutto nelle edicole alcune delle più pregevoli saghe a sfondo storico del fumetto internazionale principalmente provenienti dal mercato francese. Fra le eccezioni troviamo l'americana Ribelli, appassionata narrazione della nascita degli Stati Uniti d’America scritta da Brian Wood per i disegni del nostro connazionale Andrea Mutti, pubblicata in patria da Dark Horse Comics. Abbiamo già avuto modo di apprezzare in passato i precedenti capitoli dell’epopea di Wood e Mutti, di cui è da poco uscito il quarto volume dal titolo Ribelli: Dalle Colonie alla Confederazione.

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Fedele al registro ideologico che lo scrittore ha conferito all’intera opera fin dalle prime uscite, anche in questo volume la storia viene raccontata attraverso gli occhi degli umili, coloni e contadini, quei “comprimari” degli avvenimenti storici i cui nomi non vengono mai riportati nelle cronache ufficiali e tanto meno nei libri di testo. Così, se nelle prime uscite il compito di narrare gli eventi fondanti dei nascenti Stati Uniti d’America veniva affidato alla famiglia Abbott, attraverso gli occhi del patriarca Seth prima e del figlio John dopo, i riflettori si spostano ora su altri personaggi. Alcuni sono nati dalla fantasia di Wood; altri, invece, sono ben conosciuti e celebrati dalla Storia.

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Concedendosi un’eccezione rispetto alle linee guida che si era impartito fin qui, nel primo racconto del volume lo scrittore assegna finalmente il ruolo di protagonista a George Washington, comandante in campo delle forze ribelli e futuro primo Presidente degli USA. Qui viene narrata la presa di Fort Rectitude da parte di uno sparuto drappello di coloni virginiani agli ordini di un giovane Washington ai danni dei francesi, che a loro volta lo avevano sottratto agli inglesi. Proprio questi ultimi interpreteranno il gesto spregiudicato del generale americano come la scintilla di quelle ostilità che inizieranno da li a breve. Pur concedendo, per la prima volta, le luci della ribalta ad un personaggio storico, Wood non si allontana dalla poetica che ha contraddistinto finora il suo lavoro su Ribelli: la sua prosa e la sua caratterizzazione dei personaggi sono volutamente asciutti e privi di qualsiasi retorica, ferme nel proposito di consegnare ai lettori il resoconto di fatti storici compiuti da uomini con pregi e difetti e non un’agiografia di santi e virtuosi. In quest’ottica, il ritratto che lo scrittore fa di Washington è emblematico: un giovane temerario e scaltro oltre i limiti del consentito, certamente coraggioso ma anche pericolosamente avventato. Wood sottopone la figura del generale statunitense ad un processo di demitizzazione e umanizzazione che, attraverso lui, coinvolge anche la narrazione della nascita degli Stati Uniti d’America, spogliata così da qualsiasi aura epica ed eroica che potrebbero essere oggi usate strumentalmente da correnti suprematiste e sovraniste. Come brillantemente sottolineato da Sergio Brancato nella sua introduzione al volume, Wood intende recuperare la memoria collettiva americana in una dimensione critica, capace di restituire alla grande epopea nazionale i propri significati originari.

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Come nei volumi precedenti, ancora una volta Andrea Mutti accompagna i testi dello scrittore con uno storytelling classico ed efficace tanto nei momenti di azione più concitata quanto nei momenti intimi e domestici. All’artista bresciano si uniscono nei capitoli successivi, all’insegna di una piacevolissima unità stilistica garantita dai colori di Lauren Affe, l’abruzzese Luca Casalanguida, ormai lanciatissimo oltreoceano, e il catalano Joan Urgell, rendendo il comparto grafico del volume assolutamente prezioso per una delle saghe più interessanti del fumetto a stelle e strisce degli ultimi anni.

Examen, recensione: la breve ma gloriosa stagione dei supereroi italiani

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Il nome di Daniele Brolli è ben noto alla generazione di lettori di fumetti che ha vissuto la propria adolescenza durante la prima metà degli anni ’90. Figura eclettica del panorama a fumetti nostrano, capace di intuizioni editoriali in anticipo sui tempi, Brolli viene ricordato dagli appassionati soprattutto per la collaborazione con la Star Comics, con la quale lancia nel 1990 l’indimenticabile StarMagazine, rivista contenitore di fumetti Marvel dotata di un apparato critico-redazionale quale mai si era visto prima in Italia. Il successo dell’iniziativa è tale che l’anno successivo la Star da il semaforo verde ad una proposta ancora più ambiziosa di Brolli, Cyborg, rivista di fantascienza a fumetti contenente materiale inedito, realizzato dallo stesso autore e da altri giovani talenti che faranno la storia del fumetto italiano come Onofrio Catacchio, Davide Fabbri, Giuseppe Palumbo, Otto Gabos, Francesca Ghermandi, Davide Toffolo, Massimo Semerano e altri.

Il progetto editoriale si vuole collegare al filone cyberpunk, iniziato ufficialmente nel 1984 con la pubblicazione di Neuromancer di William Gibson ma conosciuto relativamente poco dai lettori italiani dell’epoca. Cyborg non ottiene un grande successo di vendite e chiude dopo soli sette numeri, lasciando però un solco profondo nel mondo del fumetto italiano. La rivista conoscerà una ripresa di otto numeri grazie all’editore Telemaco, per poi chiudere ancora. Dalle ceneri della Telemaco, Brolli fonda una nuova casa editrice dal nome emblematico, la Phoenix. L’avventura dell’editore sarà di breve durata ma, anche in questo caso, costellata dalla pubblicazione di fumetti di grandissima qualità. Oltre alla ripresa di alcuni dei personaggi che popolavano le pagine di Cyborg, la Phoenix porta in Italia alcuni tra i più quotati fumetti indie statunitensi del periodo, come Hate! di Peter Bagge e Concrete di Paul Chadwick, oltre agli eroi tamarri di Rob Liefeld tra i quali spicca, anche se per la durata di un solo albo, il sublime Supreme di Alan Moore. Ma Brolli coltiva un progetto più ambizioso, quello di creare il primo universo condiviso supereroistico completamente “made in Italy”.

Siamo a metà degli anni ’90 e oltreoceano il successo della Image ha cambiato completamente le carte in tavola delle gerarchie di mercato, proiettando un editore “indie” (per quanto fondato dalle star delle matita più quotate del momento) a rivaleggiare con Marvel e DC per le prime posizioni delle classifiche di vendita. Brolli non è interessato a realizzare un calco italiano dei fumetti che vanno per la maggiore negli USA in quel momento storico, quanto ad ibridarli con la sua formazione personale di lettore di supereroi, che affonda inevitabilmente le radici nei tempi della Corno e delle storie classiche Marvel. A questo mix viene aggiunta la sensibilità revisionista mutuata dalle opere di Alan Moore e di Rick Veitch (il cui fondamentale The One è stato pubblicato proprio dalla Telemaco, in allegato a Cyborg, su input di Brolli), e tutta la furia punk e iconoclasta del fumetto di rottura italiano che ha i suoi numi tutelari in Stefano Tamburini, Tanino Liberatore e Andrea Pazienza. Un ambiente frequentato dallo stesso Brolli, che può vantare collaborazione con tutte le riviste dalla grande stagione del fumetto d’autore italiano, da Linus a Alter, da Frigidaire a Valvoline. Tra tutte le collane supereroistiche autoctone prodotte dalla Phoenix, molte delle quali mai concluse, una spiccava decisamente sopra le altre, vuoi per il fatto che ne venne concluso almeno il primo arco narrativo, vuoi per la felice e riuscita sintesi di tutti gli elementi elencati sopra: Examen, scritta dallo stesso Brolli per i disegni di un giovane ma già strabordante Carmine Di Giandomenico.

Lo spunto narrativo era quello tipico del supereroe con superproblemi Marvel, calato però in un contesto da fantascienza distopica: duecento anni nel futuro, nella megalopoli di Nova Roma, Paolo Canale è un grigio impiegato degli archivi di stato perennemente in bolletta. Il suo lavoro, privo di stimoli, è quello di digitalizzare montagne di vecchi documenti cartacei, simbolo di un’era analogica ormai superata. Il riscatto di Paolo avviene di notte quando, nei panni del supereroe Examen, affronta tanto pericolosi criminali quanto i suoi vecchi colleghi supereroi, creati dall’azienda senza scrupoli Farmacon, i cui poteri sono fuori controllo rendendoli delle pericolose mine vaganti. Cruccio di Paolo, oltre al misero stipendio che rende complicato acquisire pezzi di ricambio per il costume del suo alter-ego, è il rapporto con la bella collega Laura. Uno è innamorato dell’altra, ma per una serie di equivoci evitano di confessarsi i propri sentimenti. Ma nella vita di Paolo c’è un problema ancora più grande, che lo rende unico nel panorama supereroistico: la tossicodipendenza. La droga infatti è l’unico metodo per tenere a freno i suoi poteri psicocinetici che altrimenti sarebbero fuori controllo. Un grattacapo notevole, che neanche il buon Stan Lee si sarebbe spinto a congegnare.

Ristampato dalla Star Comics per presentarlo ad una nuova generazione di lettori, Examen resta un’opera piacevolmente sovversiva capace di unire, come sottolineato da Roberto Recchioni nella bella introduzione, le suggestioni di Stan Lee, Steve Ditko, Alan Moore, Jim Lee, Rob Liefeld e i succitati Tamburini, Liberatore e Pazienza, fattore che la rende una lettura assolutamente unica. Merito della verve ispirata dei testi di Brolli e della potenza del tratto di un giovane ma già talentuoso DiGiandomenico, capace di costruire tavole ipercinetiche debitrici dello stile dell’epoca, ma nelle quali è già possibile riscontrare tutte le caratteristiche che lo porteranno ad essere uno dei disegnatori italiani più apprezzati del panorama internazionale. 
Unico difetto di Examen è l’assenza di un finale, a causa della chiusura prematura della Phoenix, problema al quale speriamo che gli autori vogliano rimediare al più presto.

L’ultima parola la vogliamo spendere per l’ottima qualità del volume con il quale Star Comics riportano sugli scaffali delle librerie l’opera di Brolli e Di Giandomenico: un bel cartonato dalla copertina double-face, disegnata dall’artista abruzzese e da Davide Fabbri, creatore grafico del personaggio, proposto ad un prezzo più che popolare. Una politica editoriale a portata delle tasche di tutti che, in tempi incerti come questi, non può che essere sostenuta ed elogiata.

Ka-Zar - Giungla Urbana, recensione: Welcome to the jungle

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A metà degli anni ’90 Marvel Comics si trova a dover affrontare una grave crisi finanziaria che la porta ad un passo dalla bancarotta, risvolto impensabile all’inizio del decennio quando un boom delle vendite che aveva investito l’intero settore aveva fatto presagire l’arrivo di una nuova età dell’oro. Un incremento del giro di affari dovuto soprattutto all’esplosione della Image Comics, fondata dai transfughi Todd McFarlane, Jim Lee e Rob Liefeld che, con i loro vigilanti violenti e steroidati avevano imposto un nuovo standard nella produzione di fumetti di supereroi. Una moda che si sarebbe rivelata effimera come la crescita degli incassi degli editori, frutto di una bolla speculativa generata da una serie di artifici commerciali come l’introduzione in massa delle variant cover, più che da un reale aumento dei lettori (abbiamo parlato approfonditamente di questo periodo nello “Speciale Image” pt1, pt2). Lo “stile Image” imperava, tanto che la Marvel dovette dotare di look più aggressivi alcuni dei suoi personaggi classici che ormai arrancavano nelle preferenze dei lettori. Il culmine di questa tendenza venne raggiunto nel 1996, quando la Casa delle Idee affidò quattro dei suoi titoli storici alle cure di Jim Lee e Rob Liefeld nell’ambito dell’iniziativa Heroes Reborn, appaltando per la prima volta nella sua storia alcune sue collane a “studios” esterni. L’accoglienza del progetto fu controversa, tanto da spingere la Marvel a tornare su suoi passi dopo un solo anno. La sbandata per i supereroi ipertiroidei stava passando insieme agli ultimi anni del decennio, e in casa DC Mark Waid e Alex Ross avevano suonato la carica per il ritorno in pompa magna dell’eroismo classico con l’elegiaco Kingdom Come. Con un moto di orgoglio, la Marvel lanciò una nuova iniziativa, stavolta dal titolo Heroes Return, con la quale riportava a casa i quattro titoli sopracitati. Ad arricchire la proposta di questo "Ritorno degli Eroi" concorreva anche il lancio di serie nuove di zecca come i Thunderbolts di Kurt Busiek e Mark Bagley e il recupero di un personaggio secondario prelevato dal ricco listino dell’editore, un comprimario abituale promosso a titolare di una sua testata: Ka-Zar.

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Versione “made in Marvel” di Tarzan, Kevin Plunder era il figlio di un ricco esploratore, scopritore della Terra Selvaggia, luogo fuori dal tempo situato sotto l’Antartide, immerso in una natura rigogliosa e popolato da animali preistorici. Lord Plunder muore a seguito dell’imboscata di una tribù di nativi, lasciando da solo il figlio minore che ha portato con sé. Quando il suo destino sembra segnato, Kevin viene salvato da Zabù, l’ultima tigre dai denti a sciabola che lo alleva come un figlio, insegnandogli a sopravvivere in un ambiente ostile. Una volta cresciuto, e sempre col fido Zabù al suo fianco, Kevin guadagna la stima delle tribù locali assumendo il nome di Ka-Zar, il Signore della Terra Selvaggia. L’archetipo in salsa Marvel del tarzanide debutta in piena Silver Age in una storia degli X-Men firmata da Stan Lee e Jack Kirby, durante la prima trasferta dei Figli dell’Atomo nella Terra Selvaggia, per poi apparire, sempre come comprimario, tanto su Daredevil quanto su Amazing Spider-Man. L’opportunità di avventure soliste arriva con la collana Astonishing Tales, che pur presentando tavole di artisti di livello come Barry Windsor-Smith e John Buscema, non incontra il gradimento dei lettori. Sono queste le storie che lo fanno conoscere in Italia, sulle pagine dell’antologico Gli Albi dei Super-Eroi della Corno. Negli anni ’80 Ka-Zar è protagonista di una collana durata 34 numeri, Ka-Zar The Savage, inedita in Italia, che pur non raggiungendo il successo sperato diventa un cult di nicchia grazie al contributo di autori che negli anni successivi scriveranno pagine importanti del fumetto Marvel come Bruce Jones, Brent Anderson e Ron Frenz. Tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90 si perdono le tracce del personaggio. Poi nel 1997, il rilancio in grande stile operato da due autori di prima grandezza come Mark Waid e Andy Kubert. Un team stellare, composto da due cartoonist molto in auge all’epoca. Waid era reduce da un acclamato ciclo di Captain America in cui, in coppia con Ron Garney, aveva fornito un’interpretazione considerata da molti “definitiva” del personaggio. Kubert ad inizio decennio aveva sostituito sul bestseller X-Men la superstar Jim Lee, impegnato nella fondazione della Image Comics con gli altri suoi sodali, mantenendo inalterato il successo e la qualità della testata. E proprio l’apporto grafico di Kubert si rivelerà decisivo per la riuscita di una testata che farà di una spettacolare componente action la sua carta vincente.

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Waid, che non aveva grande familiarità col personaggio, ne intuisce le contraddizioni: un uomo diventato il reggente della terra fuori dal tempo che lo ospita, quasi per caso, ma che ricorda molto bene il suo paese di origine e la vita occidentale, piena di comodità, che ha abbandonato. La serie si apre così, col disagio di un Ka-Zar che non si sente più in armonia con il luogo che dovrebbe essere la sua casa, nel momento in cui la sua compagna Shanna gli ha dato un figlio, il piccolo Matthew. È proprio la novella paternità a scatenare in Kevin un senso d’inadeguatezza, esacerbandone il disagio. L’eroe indugia in una condizione di malinconia e rimpianto verso la sua vita precedente, rappresentata da gadget tecnologici accumulati in gran segreto, come un lettore cd portatile con cui ascolta, in piena giungla, l’ultimo album dei Pearl Jam. Uno stato d’animo che comincia a minare la relazione con Shanna, veterinaria ed avventuriera che si è lasciata alle spalle la sua vita precedente per vivere nella Terra Selvaggia con Kevin. I due dovranno mettere da parte le loro incomprensioni per fronteggiare le macchinazioni di Parnival Plunder, il fratello malvagio di Kevin che, smessi i panni del villain mascherato Saccheggiatore, torna nelle vesti di un non meno pericoloso magnate d’alta finanza stile Lex Luthor. A Ka-Zar non basterà chiudere i conti una volte per tutte col disgraziato fratello minore, perché quest’ultimo si rivelerà essere una semplice pedina del vero villain della saga, una delle più grandi minacce dell’universo Marvel di cui non sveliamo l’identità per non rovinare la lettura a coloro che si potrebbero avvicinare per la prima volta a queste storie. L’idea di mettere in scena un confronto sulla carta impari tra il meno potente degli eroi Marvel e un avversario completamente al di fuori delle sue possibilità e renderlo credibile fu un’altra grande trovata di Waid.

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Lo scrittore di Flash e Captain America imbastisce un avvincente fumetto di avventura, fornendo un’ottima caratterizzazione del duo di protagonisti e delle loro dinamiche di coppia, condito da un’azzeccata riflessione sul rapporto tra uomo e tecnologia, in una fase storica in cui il mondo analogico stava lasciando il passo a quello digitale, cambiamento epocale rappresentato dall’ingresso di internet in tutte le case del mondo civilizzato. Una combinazione vincente di romanticismo e azione, resa graficamente della matita potente di Andy Kubert. Il figlio del grande Joe si scatena rappresentando una Terra Selvaggia spettacolare in splash-page di grande respiro, popolandole di animali preistorici che non avrebbero sfigurato in Jurassic Park, il grande successo cinematografico di quegli anni il cui sequel, Il Mondo Perduto, esce contemporaneamente a questo ciclo di storie di Ka-Zar. Se il fumetto è un medium che parla essenzialmente per immagini e per la qualità dell’artista che le realizza, le pagine illustrate da Kubert lo dimostrano appieno: il penciler mette in scena il racconto concepito da Waid con una perizia scenografica e una rappresentazione plastica dei corpi straordinarie, ispirata tanto dalla tradizione facente capo all’illustre padre e a John Buscema quanto alla spettacolare muscolarità incarnata dal contemporaneo Jim Lee. Una dimostrazione di potenza che esplode da ogni pagina realizzata dall’artista, compresi i character design di Ka-Zar, attualizzato e reso più moderno rispetto al prototipo del tarzanide originale, e della sensuale moglie Shanna, che qui si affranca dal ruolo di comprimario per diventare una protagonista a tutti gli effetti. Una qualità grafica che purtroppo scende di parecchi punti negli episodi realizzati da disegnatori ospiti come Aaron Lopresti, Louis Small e Walter McDaniel, onesti faticatori del tavolo disegni chiamati a dar respiro a Kubert. Una menzione d’onore la merita invece lo scomparso Pino Rinaldi, artista pugliese che fu tra i primi disegnatori italiani a collaborare con la casa delle Idee.

Panini Comics presenta l’intero ciclo del Ka-Zar di Waid e Kubert in un elegante volume cartonato, giocandosi la carta del formato oversize per esaltare le spettacolari tavole realizzate dal disegnatore. Occasione da non perdere per leggere e rileggere una delle saghe più interessanti della Marvel di fine anni ’90, prima dei grandi cambiamenti operati dalla gestione di Bill Jemas e Joe Quesada all’alba del nuovo millennio.

L'ora X, una storia di Lotta Continua, recensione: Lottare per un futuro migliore

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Le notizie riguardanti l’ex Ilva di Taranto, oggi Arcelor-Mittal, da mesi riempono le cronache delle maggiori testate giornalistiche nazionali senza che il dramma di migliaia di lavoratori, sospesi tra la possibile perdita del posto di lavoro e il rischio per la salute che quello stesso lavoro comporta, conosca una soluzione. Le origini di questa catastrofe sociale partono da lontano, dagli anni del boom economico, in cui il nostro paese conobbe un’industrializzazione selvaggia che non si fermò certo a riflettere su possibili ricadute sul territorio e i suoi abitanti. Travolta dalla promessa del benessere, la cittadina pugliese venne trasformata in pochi anni da località conosciuta soprattutto per pesca e agricoltura a polo industriale. Documentari inneggianti al progresso, ancora oggi visionabili, raccontavano con toni enfatici lo sradicamento di ettari di ulivi e la demolizione di caseggiati agricoli per fare spazio alla nascente Italsider. Ne conseguiva la mutazione genetica del tessuto sociale della città: pescatori e contadini, la cui produzione era stata danneggiata dall’avvento dell’industria e dal conseguente inquinamento,  divennero la manodopera necessaria al funzionamento dell’impianto siderurgico. Un nuovo proletariato che si trovò ben presto a lottare per un salario e condizioni di lavoro dignitose. Le lotte operaie di quel periodo si inserirono nel contesto più ampio dei fermenti rivoluzionari successivi al ’68: movimenti studenteschi di contestazione, rivendicazioni di diritti civili. In questi anni nasce e si sviluppa l’esperienza più significativa della storia della sinistra extraparlamentare: Lotta Continua.

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Movimento di orientamento comunista, rivoluzionario e operaista, Lotta Continua fu un prima fila nelle manifestazioni di piazza del periodo. Inizialmente a favore della lotta armata, si distinse dagli altri gruppi dello stesso colore politico per il movimentismo più spiccato e per la critica ai regimi comunisti. Suo organo ufficiale fu il settimanale, poi quotidiano, dallo stesso nome. L’apporto fondamentale fornito dal gruppo e dal giornale alle battaglie sociali nell’Italia degli anni ’70 rivive in L’ora X – Una storia di Lotta Continua, graphic novel che segna il debutto di un autore prestigioso come Erri De Luca nel fumetto, coadiuvato ai testi da Cosimo Damiano Damato, per i suggestivi disegni di Paolo Castaldi. De Luca, scrittore animato da una forte passione civile (vedi il sostegno alla causa no tav con parole forti, pronunciate durante un’intervista, che gli procurarono un rinvio a giudizio per istigazione a delinquere, accusa dalla quale è stato successivamente prosciolto), aderì a Lotta Continua durante gli anni della gioventù. In quel periodo ebbe modo di frequentare Taranto a più riprese e conobbe in maniera diretta i problemi della città. Quell’esperienza, oltremodo formativa per il giovane De Luca, riecheggia in L’Ora X, che non vuole però essere in alcun modo un’autobiografia dello scrittore quanto un incoraggiamento a non interrompere mai la battaglia per i propri diritti, valido in ogni epoca.

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La storia pensata dalla coppia formata dallo scrittore napoletano e dal suo collaboratore, il regista Cosimo Damiano Damato, in origine non era destinata a un fumetto ma a un lungometraggio. Il passaggio di un media all’altro si deve all’intuizione dell’editore, che ha proposto la sceneggiatura all’illustratore Paolo Castaldi. Né è nata un’opera suggestiva, poetica, certamente militante, volutamente fuori moda in tempi cinici come questi che vedono comunque di giorno in giorno aumentare la forbice sociale tra ricchi e poveri, tra sfruttati e sfruttatori. Le vicende dell’Italsider nella Taranto degli anni ’70 sono accompagnate, come una musica di sottofondo, dalla presenza di Lotta Continua, quotidiano distribuito dai giovani volontari Sara e Sebastiano. Si tratta di un duo molto affiatato, tanto nell’impegno politico quanto in quello sociale, testimoniato dalla loro vita di coppia in cui la donna non è subordinata all’uomo ma condivide con esso una pari dignità. Questo li porta a scontrarsi con la mentalità retrograda delle loro famiglie, mentre prosegue il loro volontariato politico nel difficile contesto industriale del colosso siderurgico pugliese. Il tutto è narrato non dalle loro voci ma dai testi originali degli articoli di Lotta Continua dell’epoca e da estratti di opere che hanno segnato l’impegno del giovane De Luca, come le poesie di Nazim Hikmet e le canzoni di Fabrizio De André. Una sorta di flusso di coscienza che accompagna le vicende, molto sfumate, dei protagonisti, che se da una parte pregiudica l’identificazione di quest’ultimi con i lettori e li allontana, dall’altra assume una valenza universale che unisce i lavoratori di tutte le epoche.

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Al suggestivo risultato finale concorre egregiamente l’arte di Paolo Castaldi, un connubio evocativo di grafite, acquarelli e tinte color seppia che ben traduce in immagini la forza degli ideali di giustizia sociale promossi dall’opera. Principi e valori che da quei tempi lontani arrivano fino ai giorni nostri, dove i colori tenui dei ricordi lasciano il campo a quelli caldi del presente. Per restare alla vicenda dell’ex Italsider e ex Ilva, mentre scriviamo rimbalzano le notizie su trattative incessanti tra governo e azienda per salvare migliaia di posti di lavoro, per dare una risposta al dramma di tanti lavoratori che sono stati messi di fronte alla brutale dicotomia lavoro/salute. La lotta per un’ occupazione che non sia causa di gravi malattie, per un salario capace di permettere una vita dignitosa ai lavoratori e alle proprie famiglie attraversa i decenni della storia del nostro paese restando, purtroppo, tuttora tristemente attuale in attesa di "un’ora x" che coinciderà con un futuro più equo e più giusto.

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