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Luca Tomassini

Luca Tomassini

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Cofanetto X-Men: The Classic Collection, recensione: la nascita di una leggenda

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Quando nel fatidico 1975 fece la sua comparsa nelle edicole americane Giant Size X-Men 1 nessuno, compresi i lettori e i creativi coinvolti, avrebbe potuto immaginare quale impatto profondo avrebbe avuto questo albo speciale di lunghezza extra sulla storia del fumetto e della cultura popolare in genere. Tra tutte le serie Marvel create da Stan Lee e Jack Kirby nei favolosi anni ’60, X-Men era stata quella di minor successo, soprattutto per il repentino abbandono della coppia di creatori che aveva preferito concentrare i propri sforzi su titoli come Fantastic Four e The Mighty Thor. Nonostante alcuni numeri di straordinaria qualità realizzati da geni come Jim Steranko e Neal Adams, la serie sospese la pubblicazione di materiale inedito col numero 66 del 1970 trasformandosi in una collana di ristampe, con i mutanti di Xavier che si specializzarono in ospitate nelle testate di altri eroi. Ma l’ambizione di rilanciare il gruppo non aveva mai abbandonato le menti del Bullpen, il mitico ufficio creativo della Casa delle Idee.

L’occasione propizia si presentò nel 1975 quando Albert Landau, presidente tanto della Cadence, società allora proprietaria della Marvel, quanto della Transworld, agenzia che trattava i diritti di pubblicazione dei personaggi della casa editrice all’estero, suggerì a Stan Lee e a Roy Thomas di creare un gruppo con personaggi di diverse etnie, in modo da allargare il bacino di lettori a livello internazionale. Il compito venne affidato a Len Wein, giovane sceneggiatore allora in forze alla Marvel che, su The Incredible Hulk 181, aveva appena fatto debuttare un canadese dal carattere scontroso destinato ad una straordinaria carriera: Wolverine. Wein pensò bene di recuperarlo, e di inserirlo nella nuova squadra internazionale di X-Men insieme ad altri personaggi che avrebbero fatto epoca come l’africana Ororo Munroe, Tempesta, il tedesco Kurt Wagner, Nightcrawler, il russo Piotr Rasputin, Colosso, ed altri. La fortuna dello scrittore e della Marvel fu quella di trovare l’artista in grado di tradurre in immagini la fucina di idee partorite da Wein. Dave Cockrum era un disegnatore dalla fervida immaginazione, insuperabile nell’ideare il look dei personaggi, e quello dei suoi X-Men diventò iconico. Fu il lavoro della sua vita, quello per cui verrà sempre ricordato.

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Wein & Cockrum posero le basi per quella che diventerà la saga a fumetti più amata di tutti i tempi, grazie a soprattutto a Chris Claremont che prese il posto, fin dal secondo numero, di un Wein promosso ad editor in chief della Marvel. Nella sua gestione della serie, durata sedici anni, Claremont scriverà un lungo feuilleton a fumetti popolato da personaggi indimenticabili, caratterizzati in modo realistico e tridimensionale, attraversato da trame avvincenti e sottotrame portate avanti per mesi, se non anni, prima di deflagrare davanti agli occhi del lettore. Un’epopea dei nostri tempi, che Panini Comics celebra con X-Men: The Classic Collection, un cofanetto che contiene due volumi imperdibili.

Il primo, Tributo a Wein & Cockrum, è il remake del mitico Giant Size X-Men 1 offerto per gentile concessione di alcuni dei migliori talenti in forze attualmente alla Marvel. Un team di disegnatori “all-star” illustra la sceneggiatura originale di Len Wein, disegnandone una pagina a testa. Riviviamo così la prima avventura dei nuovi X-Men, reclutati dal Professor Xavier per correre in soccorso del gruppo originale, disperso durante una missione sull’isola di Krakoa. Una storia classica in cui, per la prima volta, si intrecciano i destini di reclute che diventeranno pietre angolari del team, come i già citati Wolverine, Tempesta, Nightcrawler e Colosso, e di membri fondatori come Ciclope, Marvel Girl, Angelo e Uomo Ghiaccio. Il motivo d’interesse principale del volume è costituito dalla parata di artisti accorsi per fornire il loro contributo ai festeggiamenti. Una rappresentativa dei migliori talenti oggi in forze alla Marvel: si va da maestri come Alex Ross e Kevin Nowlan a veterani come Leinil Francis Yu, Chris Samnee e Phil Noto, da giovani star come Pepe Larraz, R.B. Silva e Mike Del Mundo ad una folta schiera di artisti italiani che da anni collaborano con la Casa delle Idee come Emanuela Lupacchino, Valerio Schiti, Marco Checchetto e Matteo Lolli. Ciascuno di loro, e i molti altri presenti in una lista troppo lunga da elencare, apporta il proprio talento donando nuova vita e uno storytelling fresco allo script di Wein.

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A seguire, viene riproposta anche la versione originale, disegnata da Cockrum, per stimolare un confronto tra classico e moderno. Pagine talmente iconiche da meritare l’esposizione in un ideale museo del fumetto, che ancora oggi colpiscono per la vitalità a loro conferita da un’artista alle prese col lavoro della sua vita. Chiudono il volume un commovente ricordo degli scomparsi Wein & Cockrum da parte delle rispettive vedove e un pezzo scritto dallo stesso Chris Claremont, che rievoca l’inizio di una leggenda a cui avrebbe contribuito in maniera determinante.

Ad X-Chris sono dedicate invece tutte le luci della ribalta del secondo volume presente nel cofanetto, la versione estesa di un altro classico che non ha bisogno di presentazioni: Dio ama, l’uomo uccide. Si tratta di una delle storie più celebri degli X-Men e di una prova d’autore di qualità assoluta da parte di Claremont, giunta al culmine di una fase importante della vita degli Uomini X. Sulla serie regolare, infatti si stava consumando la fine del secondo ciclo di Dave Cockrum come disegnatore, tornato su Uncanny X-Men dopo l’addio della superstar John Byrne che, in coppia con Claremont, aveva lanciato la testata verso vette qualitative inarrivabili grazie a classici come la Saga di Fenice Nera e Giorni di un futuro passato. Il ritorno di un Cockrum meno ispirato coincise con un momentaneo calo qualitativo del comparto grafico, che riprese quota grazie all’arrivo del giovane e talentuoso Paul Smith.

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Intanto, la Marvel aveva varato una linea di graphic novel, albi di grande formato ispirati al modello francese che ospitavano storie di maggiore ambizione autoriale rispetto a quelle che apparivano nella gran parte delle testate regolari. Gli X-Men, all’epoca, erano il più grande successo dell’editore, quindi apparve del tutto logico dedicare anche a loro un’uscita speciale della nuova linea a vocazione d’autore. Claremont, suggestionato dall’ondata conservatrice e reazionaria portata dal governo Reagan e dalla proliferazione di predicatori televisivi retrogradi e bigotti che cominciavano ad imperversare nelle emittenti tv americane, scrisse l’opera che meglio di ogni altra definisce la grande metafora della lotta all’intolleranza che è alla base della saga degli Uomini X. In Dio ama, l’uomo uccide, i pupilli di Xavier non affrontano robot sterminatori come le Sentinelle o nemesi venute dallo spazio come la Guardia Imperiale Shi’ar, ma avversari dotati del peggiore dei poteri: l’odio. Odio puro, quello distillato dal reverendo William Stryker nelle sue dirette televisive, nei confronti dei mutanti presi a paradigma di tutto ciò che è diverso e che, quindi, suscita paura nell’uomo della strada. Una paura cavalcata da Stryker e dal gruppo di assassini da lui segretamente finanziato, i Purificatori, che non esitano ad uccidere bambini che hanno la sola colpa di essere mutanti. Un confronto che dovrà essere risolto dagli X-Men non tanto sul piano fisico quanto su quello filosofico, in un finale drammatico che vedrà Ciclope, Wolverine e soci allearsi col nemico di sempre, Magneto, per mettere fine alla minaccia rappresentata da Stryker.

Si prova un senso di forte disagio a rileggere dopo tanti anni Dio ama, l’uomo uccide. Se all’epoca della sua uscita  rappresentava un monito affinché alcune pagine buie della storia non si ripetessero, oggi il capolavoro di Claremont risulta attuale più che mai. Attraversato da una narrazione tesa, cupa e a tratti disperata, questa classico del fumetto sembra ora solo un pallido riflesso del rigurgito di intolleranza che popola il nostro tempo, segnato da crisi di ogni tipo che favoriscono l’ascesa di seminatori d’odio e di cattivi maestri. Opera senza tempo, al cui risultato finale contribuì anche il tratto grezzo di Brent Anderson, costretto ad una sintesi del suo stile dai tempi di consegna molto stretti. Ne scaturirono invece pagine suggestive, dominate da un’energia nervosa che si sposò perfettamente con la sceneggiatura vibrante di Claremont. Dal 1982, anno della sua uscita, Dio ama, l’uomo uccide è una delle storie degli X-Men più celebri e ristampate, grazie alla sua capacità di riassumere nell’arco della sua durata le qualità migliori della grande epopea mutante di Chris Claremont. Non a caso è la fonte d’ispirazione principale per una delle migliori pellicole dedicate agli X-Men, il secondo capitolo della saga cinematografica mutante firmata da Bryan Singer.

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Il volume presente nel cofanetto ne presenta una versione estesa, con una cornice aggiuntiva firmata dagli autori originali che non aggiunge però nulla a un’opera che era già perfettamente compiuta. Molto interessanti sono invece gli extra, che presentano interviste agli stessi Claremont e Anderson, e le pagine a matita, mai mostrate prima, disegnate dall’artista originariamente previsto per la graphic novel, il grande Neal Adams. Adams completò solamente sei pagine prima di abbandonare il progetto, e la loro pubblicazione contribuisce a fare del volume una chicca imperdibile, come il cofanetto che lo ospita, per tutti gli appassionati della saga leggendaria degli X-Men.

Hellblazer: Ascesa e Caduta #1, recensione: il vecchio caro John Constantine

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Il 2020 appena trascorso, annus horribilis per gran parte dell’umanità, è stato prodigo di iniziative dedicate a John Costantine. Tra l’annuncio di un serial a lui dedicato dalla piattaforma di streaming Hbo Max, e il successo di critica dell’ottima, ma prematuramente cancellata, nuova iterazione di Hellblazer scritta da Simon Spurrier, non si può dire che lo stregone col trench se ne sia stato con le mani in mano. A smorzare la delusione dei fan per la chiusura della nuova testata dopo soli dodici numeri, è arrivata infine Hellblazer: Ascesa e caduta, miniserie di 3 numeri uscita per l’etichetta Black Label, linea editoriale dedicata ai prodotti della DC Comics pensati per un pubblico maturo. Scritta dall’astro nascente Tom Taylor per i disegni del veterano Darick Robertson, la mini pesca a piene mani nelle atmosfere tipiche delle avventure di Costantine, con l’ambizione di presentarlo ad un pubblico nuovo.

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Il desiderio di fornire un agevole punto d’ingresso ad eventuali nuovi lettori è evidente già dall’inizio della storia, che ripercorre la nascita traumatica di John Costantine, culminata con la morte della madre. John cresce con un padre alcoolista e, per evadere dalla squallida realtà domestica, sviluppa ben presto una fascinazione per l’occulto. È proprio durante un esperimento di magia, nel quale John coinvolge i suoi amici Billy e Aisha, che qualcosa va storto segnando irrimediabilmente l’infanzia del trio. Ed è a questo triste episodio ormai lontano nel tempo che, forse, è legata la strana catena di omicidi che sta funestando Londra ai giorni nostri. Un’inquietante serie di miliardari e personaggi politici in vista che cadono dal cielo sfracellandosi al suolo, tutti con ali d’angelo attaccate alla schiena. Toccherà ad Aisha, diventata ispettrice di polizia, indagare sulla bizzarra serie di delitti, aiutata da un John Costantine pronto, come sempre, ad emerge dall’ombra con la sigaretta accesa.

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In questa prima uscita di Hellblazer: Ascesa e Caduta, Tom Taylor dispone sul tavolo tutte le carte tipiche di quel mazzo che costituisce la quintessenza di una storia di John Costantine. Il carisma del protagonista innanzitutto, il superficiale, iconoclasta e sarcastico bastardo dal cuore tenero che tutti conosciamo, e poi la minaccia soprannaturale e la critica sociale spietata che è l’ingrediente principale di ogni storia di Hellblazer che si rispetti. L’obiettivo, piuttosto evidente, è quello di dare un vestito “mainstream” ad una serie e ad un personaggio che sono sempre stati considerati di nicchia, dotandolo  dei disegni di una star consolidata come Robertson, esaltati ulteriormente dal formato gigante della linea Black Label. Il difetto più grande di tutta l’operazione è il suo svolgimento a tratti pedissequo e didascalico, che potrebbe offrire un non indifferente senso di déjà vu ai lettori di vecchia data. Quelli nuovi, invece, non mancheranno di essere catturati dalla irresistibile caratterizzazione di Costantine fornita da Taylor, che si riallaccia alla tradizione classica di Hellblazer dando ad alcuni personaggi secondari i nomi di creativi che hanno fatto la storia della collana, come Jamie Delano e Steve Dillon.

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Sul fronte grafico, il nome di Darick Robertson non ha certo bisogno di presentazioni. Il disegnatore di cult come Transmetropolitan e The Boys si scatena in tavole intrise tanto di humor quanto di horror. L’arte di Robertson è un’aggiunta ideale al nutrito e prestigioso pantheon degli illustratori di Hellblazer, grazie ad un tratto robusto che sa coniugare registro grottesco, gusto per l’ironia e la muscolarità mutuata dalla lunga militanza dell’artista nel fumetto di supereroi. La palette di colori di Diego Rodriguez, che oscilla tra lo scuro e il livido, contribuisce ad alimentare le venature horror dell’intera vicenda.

La riuscita di questo primo numero di Hellblazer: Ascesa e Caduta si gioca tutto sulla diversa percezione che ne avranno i lettori che vi si approcceranno. I nuovi estimatori delle gesta di John Costantine ne rimarranno sicuramente catturati, mentre i suoi vecchi supporter avranno l’impressione di essere tornati nel pub preferito della loro giovinezza per bere una birra in compagnia di un vecchio amico.

Falcon & Winter Soldier: Taglia una testa, recensione: un Buddy Movie su carta

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La sinergia tra cinema e fumetto, che dal debutto del Marvel Cinematic Universe contraddistingue la produzione della Casa delle Idee, ha fatto in modo che personaggi prima conosciuti solamente dai lettori di comics diventassero popolarissime star del grande schermo, capaci di attrarre un gran numero di spettatori. Tra i tanti eroi proposti dal MCU nei suoi 13 anni di vita spiccano sicuramente Falcon e il Soldato d’Inverno, comprimari storici delle avventure di Capitan America, di cui è da poco partito un serial a loro dedicato su Disney+. Sam Wilson e James Buchanan “Bucky” Barnes hanno accompagnato nel corso dei decenni le gesta di Steve Rogers, come alleati o addirittura sostituendolo nei periodi di indisponibilità della Leggenda Vivente.

Personaggi dalla storia editoriale ricca e simbolica: Falcon è il primo supereroe afroamericano (considerando Pantera Nera, primo supereroe di colore, residente nello stato fittizio del Wakanda e quindi africano), creato da Stan Lee e Gene Colan nel 1969. Il Soldato d’Inverno fa invece il suo debutto nel 1941 nelle vesti di Bucky, il giovane aiutante di Capitan America durante la Seconda Guerra Mondiale creato da Joe Simon e Jack Kirby ed esponente, come Robin, della tradizione dei “sidekicks” dei fumetti americani del periodo. Creduto morto da Steve (e da generazioni di lettori) durante uno scontro col nazista Barone Zemo, Bucky viene ritrovato dai sovietici, che gli praticano il lavaggio del cervello, e lo costringono ad agire come killer al loro servizio. Come “Soldato d’Inverno”, inizia quindi una carriera da agente segreto avvolta nella leggenda, spietato assassino senza rimorso immemore del suo passato. Dopo il fatidico incontro con Steve, a più di mezzo secolo dall’incidente che li aveva divisi, Bucky recupererà la memoria e cercherà di fare ammenda del suo passato macchiato di sangue indossando i panni di Capitan America dopo la “morte” di Steve successiva alla Guerra Civile dei supereroi. Dopo aver ripreso il suo posto nel pantheon degli eroi Marvel, Bucky ha vissuto nuove avventure col redivivo Steve Rogers e con Sam Wilson, che servirà a sua volta per un periodo come Capitan America. Tra i due ex aiutanti del Discobolo nasce un’amicizia speciale, esplorata nel serial The Falcon & The Winter Soldier interpretato dai volti cinematografici dei due personaggi, Anthony Mackie e Sebastian Stan.

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Per accompagnare l’uscita della serie televisiva, la Marvel ha messo in cantiere una serie di iniziative dedicate ai due personaggi, tra cui spicca la miniserie omonima scritta dal romanziere Derek Landy per i disegni dell’italiano Federico Vicentini. Si tratta di un avventura straripante di azione che vede Falcon e il Soldato d’Inverno alle prese con un lotta tra fazioni all’interno dell’Hydra, l’organizzazione terroristica più pericolosa dell’Universo Marvel. L’inizio è subito al fulmicotone, con Bucky che viene attaccato nella propria abitazione da una squadra d’assalto paramilitare decisa ad eliminarlo. Costretto alla fuga, scopre che l’agenzia governativa con la quale collabora, allo scopo di rintracciare i campi di addestramento dell’Hydra e distruggerli, è stata sgominata ed i suoi membri trucidati, tranne il suo contatto, scampato miracolosamente al massacro. L’arrivo di Natural, un giovane sicario allevato da una famiglia di fanatici di Capitan America, gli dà la conferma che qualcuno sta cercando di scalare posizioni all’interno dell’Hydra e di prenderne il controllo. Coinvolto anche Sam Wilson nelle indagini, i due non avranno altra scelta che stringere un’alleanza forzata col Barone Zemo, il capo dell’organizzazione terroristica, per stanare il misterioso avversario.

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Taglia una testa (e ne cresceranno due, recita il classico adagio dell’Hydra che ogni Marvel fan ben conosce), è la versione su carta di un classico “buddy movie”, con due “caratteri” dalle personalità ben distinte che sono costrette dalle circostanze a collaborare. Falcon agisce cercando di non uscire dal perimetro che la sua posizione di eroe gli impone; Il Soldato d’Inverno, invece, quel limite lo ha superato da un pezzo. Ciò nonostante, conduce una lotta costante contro il suo lato oscuro cercando di guadagnarsi il rispetto di amici ed alleati come Sam. Su questo contrasto e sulle situazioni che ne scaturiscono, Landy costruisce una trama improntata prevalentemente all’azione, mettendo in secondo piano l’approfondimento psicologico. Le personalità dei due protagonisti sono mutuate più dalle loro controparti cinematografiche che da quelle cartacee, riproducendo le dinamiche da loro prodotte sullo schermo. Il tono è scanzonato, dominato da scambi di battute che condiscono di ironia al limite del grottesco anche le scene potenzialmente più drammatiche. La stessa caratterizzazione degli avversari è sopra le righe, si veda ad esempio il ritratto fornito dallo scrittore di un villain classico come Zemo, anche in questo caso più vicino alla versione cinematografica interpretata da Daniel Brühl che a quella cartacea. In ogni caso, la sceneggiatura di Landy svolge diligentemente il compito di fornire un supporto più che adeguato ad un’opera che non intende andare oltre i confini del prodotto d’intrattenimento, seppur di qualità. Pregio che dal punto di vista grafico è garantito dall’ottima prova del nostro Federico Vicentini, alle prese con l’incarico che lo segnala definitivamente come uno dei migliori talenti del fumetto italiano. Con uno stile che sembra nato apposta per illustrare il rocambolesco script di Landy, Vicentini imprime alla storia uno storytelling scatenato e forsennato, ricco di dinamismo e azione che esplode letteralmente da ogni tavola, grazie ad una matita tagliente capace di attribuire ai personaggi un look moderno ed accattivante.

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Panini Comics pubblica Falcon & The Winter Soldier in un bel volume della sua consolidata linea di cartonati soft-touch, accompagnandolo con un brossurato di formato tascabile e dal prezzo invitante (9,90€) dallo stesso titolo che ristampa alcune tra le storie più significative del collaudato duo, compendio necessario ad una fruizione più consapevole della serie tv.

Superman di Geoff Johns 1 - L'ultimo figlio di Krypton, recensione: Rinnovare l'Uomo d'Acciaio

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Quando nel 1999 debuttava nelle fumetterie americane Stars and S.T.R.I.P.E., recupero da parte della DC Comics di vecchi personaggi di epoca bellica aggiornati per il nuovo millennio, nessuno avrebbe immaginato che il soggettista di quella serie dalla durata effimera sarebbe diventato l’autore maggiormente associato all’editore per tutti gli anni a venire. Geoff Johns iniziava in sordina una carriera che lo avrebbe visto diventare in pochi anni l’architetto assoluto dei maggiori eventi del DC Universe, il “Re Mida” capace di trasformare in oro qualsiasi serie da lui toccata. La sua capacità di estrarre le caratteristiche iconiche di personaggi classici e un po’ datati, come la maggior parte di quelli appartenenti alla library DC, per inserirle in un contesto attuale e renderle di nuovo appetibili, aveva contraddistinto le sue lunghe e felici gestioni di Flash, JSA e Green Lantern.

La sua consacrazione definitiva avviene nel 2005, quando la DC decide di festeggiare il ventesimo anniversario della pubblicazione dell’epocale Crisis on Infinite Earths con la pubblicazione di un evento altrettanto ambizioso, Infinite Crisis. Nella mini di 6 numeri, e in una pletora di speciali e tie-in associati, Johns e gli altri autori coinvolti celebrano la tradizione immaginifica dell’editore di Burbank, riportando in scena il Multiverso che era stato cassato dalla precedente “Crisi” ed elementi classici ad esso associato. In tal senso, Crisi Infinita rappresentò il culmine di una tendenza, quello del recupero di stereotipi della Silver Age rimossi dall’universo DC ai tempi della prima “Crisi”, che era iniziato sulle collane dedicate a Superman dirette dagli editor Eddie Berganza e Matt Idelson. L’evento, scritto da Johns per i disegni di Phil Jimenez e George Pérez, ebbe un forte impatto sul pantheon di personaggi DC e ne avrebbe condizionato le vicende per gli anni successivi. L’editore decise per un rilancio “morbido” delle sue principali collane, escludendo di azzerarne la numerazione a favore di nuovi scenari narrativi e di nuovi e prestigiosi team creativi. Così, mentre Grant Morrison iniziava la sua lunga gestione di Batman, Geoff Johns prese in carico le testate dedicate all’Uomo d’Acciaio, in quello che rappresentò il punto d’arrivo della sua carriera. Si sarebbe occupato principalmente di Action Comics, mentre avrebbe aiutato a lanciare il nuovo corso di Superman lasciandola poi nelle mani del suo co-autore e esimio collega Kurt Busiek.

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Panini Comics ha iniziato a raccogliere l’intera run scritta da Geoff Johns per le collane dell’Azzurrone in prestigiosi volumi cartonati, di cui il primo raccoglie le due saghe iniziali firmate dall’autore: Su, su e via!, sceneggiata insieme a Busiek per i disegni di Pete Woods e Renato Guedes, e L’Ultimo Figlio di Krypton. Quest’ultima è il piatto forte di questo primo tomo, perché vede la collaborazione ai testi tra Johns e Richard Donner, il mitico regista del primo Superman cinematografico, per i disegni della superstar Adam Kubert.

Entrambe le saghe si svolgono un anno dopo la conclusione di Crisi Infinita. La DC infatti stabilì che le proprie collane avrebbe effettuato un salto temporale di un anno dopo la conclusione del cross-over, un lasso di tempo in cui Superman, Batman e Wonder Woman si sarebbero momentaneamente ritirati, lasciando ad altri eroi il compito di proteggere il mondo. Questo gruppo di storie sarebbero state raccolte sotto l’ombrello denominato One Year Later. Le vicende di un mondo privato della sua iconica trinità di eroi sarebbe stato invece raccontato nel settimanale antologico 52.

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Su, su e via! è il classico “starting-point” post-evento editoriale, in cui si fa il punto sull’essenza di un personaggio per poi lanciarlo verso il futuro. Ritroviamo un Superman privato dei suoi poteri, a seguito dello scontro con il malvagio Superboy – Prime nel finale di Crisi Infinita, che da un anno si limita a vestire esclusivamente i panni di Clark Kent. La carriera di giornalista e il matrimonio con Lois Lane vanno a gonfie vele, ora che i compiti di supereroe sono appannaggio dei suoi colleghi della Justice League e della Justice Society of America. Inutile dire che minacce come Lex Luthor, l’Intergang e altri villain della colorata gallery degli avversari dell’Uomo d’Acciaio non tarderanno a ritornare più temibili che mai, mettendo sotto pressione un Clark depotenziato ma determinato a ritrovare le capacità per affrontare i suoi avversari.
Su, su e via! è tanto una classica “origin story” quanto una tipica avventura di Superman, all’interno della quale l’Uomo d’Acciaio compie un “viaggio dell’eroe” in otto capitoli, dal quale esce rinvigorito e rafforzato. Johns e Busiek riescono a rivitalizzare brillantemente tutti i classici comprimari delle storie dell’azzurrone come Lois Lane, Jimmy Olsen, Perry White e Lex Luthor, e ad approfondire il loro rapporto con Clark, così come si fanno apprezzare le nuove versioni di villain classici come Kryptonite Man, Bloodsport e Prankster. I due sceneggiatori scrivono una lunga lettera d’amore al personaggio, con un trasporto che ne fa perdonare l’eccessiva lunghezza, di almeno un paio di capitoli. Sul fronte artistico, Pete Woods e Renato Guedes svolgono un lavoro diligente ma senza particolari guizzi stilistici. L’impostazione della tavola è piuttosto classica, ma il tratto di entrambi, improntato alla linea chiara e esaltato dai colori luminosi di Brad Anderson, non manca di soddisfare il palato del lettore, soprattutto nelle numerose scene d’azione.

Per L’Ultimo Figlio di Krypton, la seconda saga contenuta nel volume e reale inizio della gestione Johns dopo il lungo prologo in tandem con Busiek, lo sceneggiatore decise di avvalersi della collaborazione di Richard Donner, il mitico regista del Superman del 1978 e suo mentore di gioventù. Ancora fresco di laurea, infatti, il giovane Geoff Johns aveva cominciato la sua carriera nel mondo dell’entertainment proprio come assistente del cineasta.
Il coinvolgimento di Donner nelle sceneggiature della collana storica di Superman, Action Comics, avviene in un momento in cui molte personalità del cinema stanno collaborando con le major dei fumetti, basti pensare alle storie di Kevin Smith per Daredevil e Green Arrow, di Reginald Hudlin per Black Panther e Spider-Man, o all’acclamato ciclo di Joss Whedon per Astonishing X-Men. Ma la presenza al fianco di Johns di colui che regalò il Superman di Christopher Reeve al mondo ha in sé un valore metatestuale e metaforico molto forte, perché l’eco di quel film epocale e spartiacque è ben presente in L’Ultimo Figlio di Krypton. Comincia qui un topos che sarà presente in molti lavori successivi dello scrittore, la rielaborazione personale delle opere fumettistiche e cinematografiche fondanti per la generazione a cui appartiene Johns, quella nata negli anni ’70. Se in questa saga lo sceneggiatore affronta il mito del Superman di Donner, nel futuro Doomsday Clock farà i conti col Watchmen di Alan Moore, mentre Three Jokers sarà un omaggio al The Killing Joke di Alan Moore con echi del Batman di Tim Burton.

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L’Ultimo Figlio di Krypton si apre con un Superman nuovamente nel pieno delle sue forze, intento ad ascoltare le registrazioni a lui lasciate dal padre Jor-El, in una Fortezza della Solitudine composta da cristalli come nel film del 1978. La routine della sua doppia vita come supereroe e giornalista viene improvvisamente sconvolta dall’arrivo, in una navicella atterrata direttamente a Metropolis, di un ragazzino che sostiene di essere l’ultimo sopravvissuto di Krypton. Una rivelazione che sconvolge tutte le certezze acquisite di Clark, che non potrà perdere troppo tempo in riflessioni per salvare il bambino, insieme a Lois, dalle mire dell’esercito. Intanto fa il suo arrivo sulla terra il Generale Zod con i suoi alleati Ursa e Non, per cercare il figlio del loro antico avversario, Jor-El, che li aveva esiliati nella Zona Fantasma.

La saga imbastita da Johns e Donner è un’epopea di respiro cinematografico, un vero e proprio blockbuster su carta che esplode nelle splash-page spettacolari di Adam Kubert, che si trasferì alla DC dopo un decennio in esclusiva alla Marvel per coronare il sogno di disegnare Superman. Una permanenza effimera, durata solo un paio d’anni prima di far ritorno nei lidi più familiari della Casa delle Idee, che hanno prodotto però tavole interessanti come quelle di questo Last Son of Krypton. L’artista si trovava in un periodo della sua carriera in cui non disdegnava sperimentalismi, evidenti tanto nelle bellissime copertine dipinte in tono di seppia per Action Comics, quanto nella scelta di dare al colorista, in questo caso Dave Stewart, tavole prive di chine che producono una piacevolissima sintesi cromatica tra matite e colori.

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L’ispirazione proveniente dalle due pellicole dirette da Donner è evidente (compreso Superman II che venne girato in larga parte dall’autore ma accreditato a Richard Lester) e Last Son ne trascina nella modernità gli elementi più iconici, a partire da Zod e dai suoi alleati, qui alla prima apparizione post-Crisis (senza contare le versioni provenienti da realtà alternative come quella apparsa in For Tomorrow di Brian Azzarello e Jim Lee). L’iconico avversario interpretato da Terence Stamp non aveva ancora fatto il suo reale debutto a vent’anni dal rilancio operato da John Byrne, che aveva stabilito che Clark fosse l’unico sopravvissuto di Krypton. Ma gli echi della varie versione cinematografiche dell’Uomo d’Acciaio echeggiano in tutta la saga, dal Superman Returns di Bryan Singer allora appena uscito (vedi il rapporto padre – figlio) a, incredibile a dirsi, il Man of Steel di Zack Snyder che sarebbe stato girato solo sette anni più tardi ma il cui finale ricorda molto da vicino quello di Last Son.

Al di là delle possibili ispirazioni e contaminazioni cinematografiche, il volume proposto da Panini Comics mette in luce tutto quello in cui eccelle un autore come Geoff Johns: la conoscenza assoluta dei “ferri” e dei trucchi del mestiere di sceneggiatore di fumetti, la capacità di distillare gli aspetti più complessi della lunga storia di personaggi iconici e di restituirli al lettore come nuovi e facilmente accessibili. E di trovare, in queste storie così popolari e spesso abusate, il potenziale per offrirne versioni rinnovate eppure rispettose della propria leggenda.

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