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Watchmen: confronto fumetto/film

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Watchmen: confronto fumetto/film

Quando si parla dell’adattamento cinematografico di un fumetto, di solito mettere a confronto il film con l’opera o la serie originale è un esercizio poco utile e poco significativo: si rischia di dimenticare che il film è un prodotto nuovo, con una sua peculiarità, che non necessariamente deve essere la traduzione letterale del fumetto, ma che anzi può ben giovarsi di innovazioni e contributi originali rispetto alla fonte. Ma quando l’intento di tradurre l’opera è il punto di partenza, la scintilla motrice che dà vita alla produzione di un film, il discorso si capovolge, e un confronto tra pellicola e fumetto diventa quasi un obbligo. O comunque un passaggio imprescindibile per analizzare appieno il valore del prodotto.

Fatta questa premessa – e rinviandovi anche alla recensione del film preso singolarmente – un confronto tra il punto di partenza in vignette e quello di arrivo in fotogrammi è proprio ciò che faremo in questa sede con "Watchmen", film per il quale il regista Zack Snyder ha scelto di adottare un metodo simile a quello che già lo aveva portato ai fasti di "300": una traduzione fedele, appunto, dell’opera originale.
Con "300", il lavoro era riuscito piuttosto bene: partendo da un fumetto di impostazione già cinematografica – quasi uno storyboard per sua stessa natura – si era realizzato un film probabilmente anche migliore dell’opera di Frank Miller, dotato di una potenza visiva di rara bellezza, e più che capace di sostenere la narrazione di una trama in sé non molto complessa. Ma questo perché, come abbiamo detto, 300 è da subito in un certo senso più film che fumetto.

Watchmen è un altro paio di maniche. Negli ultimi vent’anni è stata citata fino alla nausea la frase secondo cui "Watchmen non è filmabile". Il più delle volte si è interpretata questa affermazione pensando alla complessità di un’opera florida di spunti di riflessione, sottotrame che si intrecciano, si aggrovigliano, dipartono e si riuniscono, caratterizzazioni ricche e profonde, una struttura non lineare e stratificata, molteplici livelli di lettura. Tutto vero, tutto giusto. Ma si è probabilmente persa di vista la ragione principale per cui "Watchmen non è filmabile", ed è la più semplice di tutte: Watchmen è un fumetto. O graphic novel, se ci volessimo dare un tono. Ma anche con questa definizione ci allontaneremmo dal punto: e cioè che Watchmen è un fumetto. Ciò significa semplicemente che Watchmen usa un linguaggio fumettistico. Il problema, allora, è che in questa opera particolare sostanza e forma, contenuti e linguaggio non sono separabili: Watchmen è Watchmen perché le cose che dice le dice in fumettese (ci si passi il neologismo). E questo ricomprende tutto l’elenco di problematiche che abbiamo richiamato sopra.

La questione si riflette poi sotto molteplici aspetti, a partire dai più ovvi come la perdita del piano di lettura metafumettistico, o l’annullamento della struttura narrativa della tavola, così particolare e fondamentale nella lettura dell’opera. Ma questi sono, per certi versi, il dazio minimo da pagare nel passaggio da un medium all’altro, un sacrificio che si poteva anche sostenere a cuor leggero, nella consapevolezza che "Watchmen" in quanto film ne sarebbe potuto uscire solo migliorato.
Ma il vero problema è che Watchmen parla del tempo, e in questo senso contenuto e linguaggio non sono scindibili. Lo ha chiarito anche Alan Moore, ma non è che ci volesse lui per spiegarlo a chi ha un minimo di familiarità con la lettura di fumetti: leggere fumetti è un’azione creativa, in quanto è il lettore stesso che impone i suoi tempi, si concentra su una cosa o ne tralascia un’altra, collega momenti fisicamente distanti attraverso associazioni visive e/o verbali. Il lettore contribuisce a creare il fumetto nel momento stesso in cui lo legge nel suo modo particolare, e in Watchmen questa lettura creativa è fondamentale.

Lo spettatore è invece una spugna: assorbe tutto e subito, e casomai rielabora in seguito, ma è meno libero di gestire la fruizione della storia, di riorganizzare le idee nel momento stesso in cui gli si presentano. E Watchmen richiede proprio questo, perché è stato pensato dai suoi creatori a questo fine. Da un certo punto di vista, ci si potrebbe sorprendere che a non accorgersene (forse) sia stato proprio Dave Gibbons, che con i suoi disegni fu l’artefice principale della scansione dei tempi "suggeriti" dall’opera, e che ingabbiando la storia in tavole così rigide e identiche, rese ogni momento così uguale agli altri da poter essere intercambiabile e, appunto, ri-organizzabile dal lettore, come un flusso circolare che non costringe a sostare in un angolo.

Proprio perché il problema è di carattere linguistico nel passaggio da fumetto a film, la pur straordinaria fedeltà estetica, ma anche di contenuto, non è sufficiente a replicare Watchmen. La sensazione che si ha è allora quella di un’eco un po’ lontana che perde molto in termini di ricchezza del suono. Il fiume di dettagli, rimandi e spunti di riflessione che il film tenta di conservare dal fumetto, va irrimediabilmente perso nel flusso temporale imposto dalla visione cinematografica, senza permettere allo spettatore di fermarsi, concentrarsi, farlo proprio. Chi già conosce l’opera è avvantaggiato perché intende a priori le implicazioni di ciò che accade, e ciò nonostante anche in questo caso deve stare dietro al ritmo cinematografico, lasciandosi alle spalle i tanti piccoli sentieri laterali che Watchmen permette di imboccare riportando poi sempre al punto di partenza.

Per questi stessi motivi, sarebbe stato fallace anche tentare di realizzare un adattamento diverso dalla mera traduzione, o – come pure è stato proposto – produrre una serie per il piccolo schermo. Le incompatibilità linguistiche tra medium e medium si sarebbero riprodotte tali e quali.
E attenzione: non abbiamo detto che "Watchmen" è un film fallito o brutto. Abbiamo detto solo che Watchmen non è filmabile.


Valerio Coppola
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