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Gennaro Costanzo

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I 50 anni di Franklin, il primo Peanuts di colore

  • Pubblicato in Focus

Il 31 luglio 1968 compariva sulla strip dei Peanuts per la prima volta il personaggi di Franklin. La sua apparizione sembrerebbe assolutamente normale oggi, ma in realtà rappresentò una vera e propria rivoluzione. La storia viene raccontata dalla pagina Facebook The Jon S. Randal Peace Page.

Franklin è "nato" dopo che una maestra di scuola, Harriet Glickman, aveva scritto una lettera al fumettista Charles M. Schulz dopo l'assassinio di Martin Luther King. Glickman era particolarmente consapevole del potere dei fumetti tra i giovani. Inoltre, aveva notato che i bambini bianchi e neri non erano mai stati raffigurati insieme a scuola.

"Dopo la morte di Martin Luther King, mi sono chiesta cosa posso fare per aiutare a cambiare quelle condizioni nella nostra società che hanno portato al suo assassinio e che contribuiscono al vasto mare di incomprensione, odio, paura e violenza", ha dichiarato la Glickman.

La maestra chiese così a Schulz se potesse considerare di aggiungere un personaggio nero alla sua popolare striscia, che sperava avrebbe mostrato al Paese che le persone di colore che non sono escluse dalla società americana. Aveva scritto anche ad altri fumettisti, ma questi temevano che fosse troppo presto, che poteva costar caro alle loro carriere, che il sindacato li avrebbe licenziati se avessero osato fare una cosa del genere.

Charles Schulz non era tenuto a rispondere alla sua lettera, avrebbe potuto semplicemente ignorarla e tutti se ne sarebbero dimenticati. Ma, Schulz si è preso il tempo di rispondere, dicendo che era incuriosito dall'idea, ma non era sicuro se sarebbe stato giusto che se ne fosse occupato lui, non voleva peggiorare le cose. Così i due hanno continuato a scriversi, con la Glickman che invito alcuni amici di colore a dare suggerimenti su come introdurre il personaggio e cosa questo avrebbe rappresentato per loro. La conversazione andò avanti fino a quando Schulz disse a Glickman di controllare il giornale il 31 luglio 1968.

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In quella data vediamo Charlie Brown incontrare sulla spiaggia un nuovo personaggio di nome Franklin. Franklin era solo un ragazzo come tanti, non contava il suo colore. Inoltre, suo padre era in Vietnam. Dopo tre strip Charlie invita Franklin a passare la notte a casa sua. Non c'è stato un grande annuncio, non c'è stato niente di che, solo una conversazione naturale tra bambini, le cui differenze non hanno avuto importanza per loro. E, il fatto che il padre di Franklin stesse combattendo per la nazione è stata anche una dichiarazione molto forte da parte di Schulz.

Anche se il fumettista non ha mai fatto grossi proclami per l'inclusione di Franklin, c'erano molti lettori, soprattutto al sud, che ne erano sconvolti e che hanno fatto un caso nazionale. Un editor disse: "non mi dispiace che tu abbia un personaggio nero, ma per favore non farli vedere a scuola insieme."  Schulz ebbe una conversazione con il presidente della società di distribuzione del fumetto, che si preoccupa dell'introduzione di Franklin e di come potrebbe influenzarne la popolarità. Molti giornali in quel periodo minacciarono di tagliare la striscia. Il fumettista rispose, infine, che la strip o sarebbe andata in stampa così com'era stata da lui disegnata o si sarebbe licenziato. Alla fine Franklin divenne un personaggio regolare nelle strisce a fumetti.

Di recente, Franklin è stato protagonista di un dibattito sui social a causa di uno speciale animato del 1973 per il giorno del ringraziamento. Alcune persone hanno dato la colpa a Schulz per aver mostrato Franklin seduto da solo sul tavolo del ringraziamento, mentre gli altri personaggi erano di fronte a lui. Ma, Schulz non aveva lo stesso controllo sul cartone animato di una rete televisiva di quanto ne avesse sulla serie a fumetti dove ha coraggiosamente deciso di prendere posizione in un periodo storico non semplice.

La strada per combattere il razzismo fu lunga, con i bambini che avevano difficoltà ad andare a scuola, insultati e ostacolati dai bianchi. Ma la strip di Shulz mostrò che Franklin era uguale a tutti gli altri bambini.

Il cast de I Guardiani della Galassia scrive una lettera aperta per reintegrare James Gunn

  • Pubblicato in Screen

Il cast della saga de I Guardiani della Galassia hanno firmato una lettera aperta rivolta alla Walt Disney Studios con lo scopo di reintegrare il regista James Gunn dopo il suo licenziamento.
Come ricorderete, 10 giorni fa ci fu l'annuncio fatto dal presidente dei WDS Alan Horn che dichiarava "Gli atteggiamenti offensivi e le dichiarazioni scoperte sul feed Twitter di James sono indifendibili e incoerenti con i valori del nostro studio, e abbiamo interrotto i nostri rapporti commerciali con lui".

Horn fa riferimento a dei controversi tweet di 10 anni fa che il regista aveva postato e che la destra ultra-conservatrice aveva riportato a galla.

Ora Chris Pratt, Zoe Saldana, Dave Bautista, Bradley Cooper, Vin Diesel , Karen Gillan, Sean Gunn, Pom Klementieff e Michael Rooker, hanno postato sui loro profili social una lettera aperta in difesa di Gunn che si apre così:

"Sosteniamo pienamente James Gunn. Siamo rimasti tutti scioccati dal suo improvviso licenziamento la scorsa settimana e abbiamo intenzionalmente aspettato questi dieci giorni per rispondere al fine di pensare, pregare, ascoltare e discutere. In questo frangente, siamo stati incoraggiati dall'enorme sostegno da parte di fan e membri dei media che desiderano vedere James reintegrato come regista del Vol. 3 e scoraggiati da quelli che sono stati così facilmente ingannati dalle tante teorie cospirative stravaganti che circondano su di lui“.

Potete leggere la lettera completa qui di seguito:

Gunn aveva dichiarato, dopo aver cancellato i tweet incriminati: "Molte persone che hanno seguito la mia carriera mi conoscono da quando ho iniziato, mi considero un provocatore, facendo film e raccontando barzellette considerate oltraggiose e tabù. Come ho spiegato pubblicamente molte volte, sono maturato come persona, così come il mio lavoro e il mio umorismo".

Hulk Grigio, recensione: oltre il bianco e nero

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Dopo Daredevil Giallo e Spider-Man Blu, il duo Jeph Loeb e Tim Sale nel 2003 pubblica a ruota il terzo capitolo della loro tetralogia del colore, ovvero Hulk Grigio. Il colore scelto, come tradizione, oltre a identificare un periodo del personaggio, è rappresentativo del tono della storia: “Ecco il problema di non vivere in un mondo in bianco e nero. È possibile che non sia tutto bianco o nero. Hai la possibilità del… grigio”. In questo caso, si vuole sottolineare la natura complessa del protagonista, difficile da inquadrare e da comprendere per gli altri.
Anche in questa occasione, vengono riproposte le caratteristiche salienti delle due saghe precedenti. Si parte dal racconto del protagonista del proprio passato e dal ricordo di una persona amata e perduta ritrovandoci, dunque, dinanzi a una rinnarrazione delle prime storie del personaggio. Similmente a Daredevil Giallo, si pesca proprio dall’esordio della serie, tuttavia - mentre la ricostruzione delle origini dell’eroe cieco appariva più articolata a filologica - con Hulk si sceglie una strada differente.

L’incipit della storia vede Bruce Banner fuggitivo confidarsi con l’amico e psicologo Leonard Samson. L’uomo racconta i primi momenti di vita di Hulk, il salvataggio di Bruce Jones, il conseguente incidente, la trasformazione e la caccia al mostro effettuato dal generale Ross.
In particolare, però, sotto i riflettori troviamo la storia d’amore con Betty Ross, figlia del generale, fidanzata con Bruce. Hulk, senza il filtro di Banner, ma con reminiscenze della sua personalità, fa prigioniera la donna con Loeb che richiamava il classico cliché cinematografico del mostro che rapisce la bella.

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In evidenza vengono messi, dunque, le conflittualità dei personaggi: Hulk che odia Banner in quanto lo ritiene la sua prigione. Bruce che odia se stesso e che ritiene Hulk una sorta di punizione divina per aver creato una bomba piuttosto che utilizzare il suo cervello per scopi benefici. Il generale Ross che si scaglia contro “il mostro” e il suo problematico rapporto con la figlia che tenta di proteggere. La stessa donna, risoluta e forte, che si scaglia contro Hulk e, infine, Rick Jones, adolescente ribelle che si sente in colpa per quanto capitato a Bruce. Ogni personaggio vive, dunque, il suo piccolo grande dramma personale, che viene approfondito da Loeb in maniera attenta. Naturalmente, i riflettori sono puntati su Hulk, mostro ma anche vittima, sorta di bambino innocente ma in grado di far fuori un esercito e mettere in pericolo la donna che ama e che vuole proteggere.

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L’intreccio narrativo su cui si sviluppa il racconto non è molto articolato, a differenza di Daredevil Giallo e Spider-Man Blu, tuttavia Loeb lavora sulla psiche di Hulk, sul suo rapporto con Banner, sul suo amore per Betty, in una maniera davvero esemplare. L’autore si aggancia alla caratterizzazione psico-analitica della serie avvenuta con l’arrivo di Peter David sulla testata che donò profondità a un eroe che ormai sembrava non aver più nulla da dire.
Loeb, dunque, scrive una vera e propria psico-analisi di Hulk, giocando come suo solito con l’aspetto romantico e malinconico. L’autore fa un buon lavoro mettendoci molto del suo: in un albo delle saga Hulk si scontra con Iron Man, cosa mai “ufficialmente” accaduta nelle storie originali. Bisogna ammettere che l’esordio della testata del duo Stan Lee e Jack Kirby non fu certo dei migliori e il loro ciclo non viene particolarmente ricordato in quanto non all’altezza di altre loro serie del periodo. Per questa ragione, Hulk Grigio è sicuramente il modo migliore per approcciarsi alla storia d’origine del personaggio.

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Tim Sale, nella ricca sezione extra del volume Panini Comics, racconta delle sue influenze per disegnare l’Hulk che rappresenta tozzo e sgraziato. Oltre alle prime storie di Kirby, fondamentale è stato anche il Frankenstein cinematografico di James Whale nel film del 1931. In particolare, da sottolineare la scena in cui Hulk uccide “inconsapevolmente” un coniglio che sta accarezzando, una sequenza che ricorda la morte accidentale della bambina nel film di Whale per mano del mostro. Il lavoro dell’artista è, come sempre, eccellente, sia per quanto riguarda la regia delle tavole che la raffigurazione dei sentimenti dei personaggi.

Hulk Grigio viene ricordato meno rispetto agli altri lavori del duo e forse in questo influisce molto la proposizione di un periodo non particolarmente amato del Gigante di Giada. Tuttavia, seppur forse un gradino sotto gli agli altri capitoli della tetralogia del colore, resta un ottimo racconto, oltre che una storia fondamentale per approcciarsi al personaggio.

Disney/Fox: luci e ombre dell'affare del secolo

  • Pubblicato in Focus

Dopo settimane di rumor che si rincorrevano all’impazzata, lo scorso dicembre giunge la news ufficiale: la Disney fa un’offerta per la 21th Century Fox da 52,4 miliardi. L’affare, che sembra concluso, ha in realtà due grossi intoppi. Quello dell’Antitrust e il tentativo di intromissione da parte di Comcast che ha costretto la Disney a rilanciare l’offerta a 71,3 miliardi di dollari. Lo scorso 27 luglio, dopo circa 8 mesi, arriva l’ufficialità definitiva: la Fox è della Disney.
Una mossa del genere ha ripercussioni enormi nel mondo dell’intrattenimento, con non poche perplessita, tanto che qualcuno parla di monopolio ed è preoccupato dal nuovo scenario. Altri, invece, gioiscono all’idea della fusione dei due colossi. Vediamo, dunque, alcuni dei vantaggi e svantaggi di questa acquisizione, cosa comporti e perchè sia stata effettuata.

Come scrivevamo a novembre 2017: “il motivo che spingerebbe la Fox a vendere sarebbe dovuto al nuovo scenario del mondo dei media che vede l'ingresso in campo di colossi digitali come Google, Amazon, Facebook e Netflix e che richiede forze per contrastarle che la Fox non ha, ma la Disney sì. La Fox, dunque, sarebbe così più competitiva. Ricordiamo che la Disney avvierà una propria piattaforma di streaming nel 2019.
Per Disney, il vantaggio è rappresentato dall'opportunità di assumere il controllo di un altro studio cinematografico e di un asset di produzione televisiva significativa per la propria offerta streaming, espandendosi anche fuori patria grazie alla partnership Sky in Regno Unito, Germania e Italia.
Oltre allo studio cinematografico, alla produzione televisiva e alle attività internazionali come Star e Sky, Disney avrebbe anche reti di intrattenimento come FX e National Geographic.”

L'accordo comprende, dunque, 20th Century Fox, Fox Searchlight Pictures, Fox 2000, 20th Century Fox Television, FX Productions, Fox21, FX Networks, National Geographic Partners, Fox Sports Regional Networks, Fox Networks Group International, Star India le quote Fox di Hulu, Sky ed Endemol Shine Group.

Rupert Murdoch, presidente esecutivo della 21st Century Fox, dichiarava: “Siamo estremamente orgogliosi di tutto ciò che abbiamo costruito alla 21st Century Fox, e credo fermamente che questa combinazione con Disney darà ancora più valore agli azionisti dato che la nuova Disney continua a impostare il ritmo in un'industria eccitante e dinamica”.
Dal canto suo Bob Iger, Presidente e Amministratore delegato di The Walt Disney Company, che manterrà la propria posizione fino al 2021, rilanciava:
"Siamo onorati e grati che Rupert Murdoch ci abbia affidato il futuro delle aziende che ha curato per tutta la vita, e siamo entusiasti di questa straordinaria opportunità di aumentare in modo significativo il nostro portafoglio di franchise e contenuti amati per migliorare notevolmente la nostra crescente offerta ai consumatori. L'accordo amplierà inoltre la nostra portata internazionale, consentendoci di offrire storytelling di livello mondiale e piattaforme di distribuzione innovative a più consumatori nei mercati chiave di tutto il mondo."

Il vantaggio, dunque, per le due realtà è reciproco, con la Fox che iper-valuta il proprio catalogo e Disney che mette le proprie mani su un’enormità di franchise ultra-redditizzi (Simpson, Avatar, Alien e infiniti altri). Questo non solo consentirà a quest'ultima di poter sfruttare le potenzialità della prima, ma soprattutto di offrire un pacchetto enorme in chiave pay-tv e piattaforma streaming. Su quest’ultima la Disney punta molto, tanto da annunciare serie inedite create appositamente per la piattaforma, come il ritorno di Star Wars: The Clone Wars e molto altro, a cui si affiancherà tutto il catalogo Disney, Marvel, Lucasfilm e, ora, quello Fox, inclusi canali tematici come National Geographic. Naturale che un'offerta del genere faccia gola ad ogni spettatore.

Ma l’aspetto su cui i fan si sono soffermati maggiormente è il ritorno a casa dei personaggi Marvel di cui la Fox possedeva i diritti, ovvero X-Men e Fantastici Quattro. Quando la Disney comprò la Marvel, per accordi precedenti, non poteva realizzare pellicole su personaggi i cui film erano in sviluppo presso altri studi se non dopo 5 anni di inutilizzo (vedi i casi di Daredevil e del Punitore). Per molti, dunque, l’arrivo sotto l’ala Disney di questi personaggi è un atto dovuto, al di là del lavoro che la Fox ha fatto soprattutto sui mutanti. L’idea di vedere sotto lo stesso tetto, e nello stesso film, eroi come Wolverine, Spider-Man e Capitan America, o di veder rilanciati degnamente i Fantastici Quattro, è il sogno di ogni nerd.

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Altri vantaggi sarebbero quelli di poter sfruttare le proprietà Fox anche per i parchi a tema e per i negozi Disney Store in tutto il mondo.
Per la Disney, infine, questa mossa consolida lo strapotere e la supremazia sugli altri studi che ora dovranno scontrarsi contro un colosso di proporzioni disumane.

Naturalmente, c’è l’altra faccia della medaglia, nonché diverse perplessità.
La prima riguarda quello che alcuni hanno definito un "monopolio dell’intrattenimento" o, comunque, una posizione ultra-dominante. La faccenda qui è alquanto complessa e delicata.
Chiariamo, se l’Antitrust ha dato l’ok è perché nell’acquisizione non erano inclusi canali di informazione come Fox news e quelli sportivi, visto che la Disney ha già i propri (ricordiamo che possiede la ABC). Il pericolo maggiore è stato dunque scansato a monte. D’altronde, la Disney non aveva un vero interesse nella loro acquisizione.

Riguardo invece le proprietà intellettuali, è difficile qui quantificare concretamente la soglia di dominio o monopolio che un’azienda possiede. Certo, la Disney ha già dalla sua un mondo sconfinato - e con la Fox ha raddoppiato le sue proprietà - tuttavia, esistono studi forti come la Warner, la Universal, la Columbia, oltre le nuove piattaforme come Netflix, che garantiscono una concorrenza valida sia sul fronte cinematografico che televisivo.
A livello di proprietà, inoltre, il mondo dei videogame e quello giapponese di anime e manga, offrono tutta una serie di marchi che possono competere a livello di immaginario contro quello Disney/Fox. Ma resta innegabile che la Disney ha ora una grossa fetta dell'intrattenimento occidentale nelle sue mani, sebbene concorrenza e varietà restino ancora presenti.

Altro aspetto che desta preoccupazione è la gestione delle proprietà Fox che adotterà la Disney, ossia una potenziale “snaturamento” dalla visione della casa di Topolino e dalla loro politica interna. È ovvio che al momento risulta poco chiaro come quest’aspetto si evolverà. In particolare non è chiaro se gli studi FOX manterranno un assetto proprio e il più indipendente possibile, o se verranno modificati in maniera massiccia. Nel pacchetto Fox ci sono prodotti come I Griffin e Alien che poco si conciliano con la politica Disney, e registi come James Cameron che hanno un potere pressoché illimitato nelle loro produzioni. È dunque plausibile che la Disney possa concedere una certa indipendenza ai prodotti Fox, ma al momento nulla è trapelato, dunque dovremmo attendere gli ulteriori sviluppi.

In particolare, la preoccupazione maggiore è quella di un’uniformità contenutistica e artistica. Fox e Disney non erano solo due studi concorrenti (tra l’altro, i rapporti fra i due sono sempre stati pessimi e – per questo – la loro unione risulta ancora più sorprendente) ma rappresentavano anche modi differenti di fare cinema e tv. Come si concilieranno è tutto da vedere, ma è ovvio che una visione univoca a livello artistico possa impoverire solamente l’offerta. Dunque, ben venga la possibilità di vedere un film degli X-Men impostato come una pellicola Marvel Studios, ma se questo valesse per tutta la produzione sarebbe un vero peccato.

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Un aspetto poco preso in considerazione riguarda invece la distribuzione. Le produzioni Fox e Disney si sono sempre mosse in modo indipendente, ma dal momento in cui nasce l'unione delle due, potrebbero ostacolarsi a vicenda. Sarà dunque necessario creare un calendario che non crei problemi ai singoli film nelle sale, e non è detto che il numero di pellicole non possa diminuire per non mettersi da soli i bastoni fra le ruote. Senza contare, inoltre, che studi differenti hanno maggior interesse a sviluppare i propri franchise. Per la Disney sarà un’impresa dedicare la stessa attenzione a ogni proprietà ed è difficile che i loro sviluppi non si intralcino fra loro. Pensiamo, ad esempio, come la Fox abbia valorizzato un franchise come il Pianeta delle Scimmie, la Disney avrebbe profuso gli stessi sforzi se avesse posseduto i diritti della saga?
Gli stessi X-Men hanno prosperato al cinema grazie a questa divisione, e i Marvel Studios si sono concentrati su personaggi che difficilmente avremmo visto al cinema (Ant-Man, Guardiani della Galassia) se avessero avuto i diritti anche sui mutanti e sugli F4.

Dobbiamo dunque attendere per valutare le conseguenze di questa acquisizione. La nascita di questo colosso porterà vantaggi soprattutto nella creazione di una piattaforma digitale e televisiva, ma nasconde criticità in ambito creativo che al momento non possiamo ancora valutare. Bisognerà attendere qualche anno per considerare appieno gli effetti di questa operazione e se per i consumatori sia stato un bene o un male.

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